Un omaggio a Tarkovskij

Una breve nota dedicata al grande regista russo, celebrato agli Uffizi in occasione del 90°anniversario della nascita.

Alessandro
Alessandro Lazzeri
09 aprile 2022 17:08
Un omaggio a Tarkovskij

Andrei Tarkovskij, il più importante regista russo degli ultimi anni aveva eletto Firenze a sua patria d’elezione e avrebbe realizzato nella città toscana importanti progetti se una morte prematura non glielo avesse impedito. Il regista che era anche scrittore, pittore, musicista, è stato forse uno degli ultimi illustri russi che hanno abitato a Firenze. Nella tradizione dei Demidoff, di Dostoevskij e di Alexander Blok, anche Tarkovskij era rimasto affascinato dalla bellezza di Firenze e della Toscana e aveva messo casa In San Niccolò.

Anzi era stato proprio il Comune di Firenze, che gli aveva conferito la cittadinanza onoraria, a concedergli una casa. Ed è questa un’abitazione che sembra ricordare con i suoi corridoi e le sue scale, i labirinti dei suoi film. Nell’appartamento mobili austeri, antichi tappeti e cristalleria fanno pensare alla Russia, mentre la riproduzione di un’opera di Leonardo “L’Adorazione dei Magi” ci ricorda, a un tempo, sia la collocazione fiorentina della casa che l’ultimo film del maestro russo “il sacrificio”.

Nel film il protagonista dice: “Questo quadro mi fa paura”. Sono queste le parole, come ha riferito qualche anno fa la moglie in un’intervista, che il regista proferì quando agli Uffizi vide per la prima volta il quadro di Leonardo. Tarkovskij era affascinato dal genio di Leonardo e dalla storia culturale di Firenze e della Toscana. E se nello studio di San Niccolò ha iniziato a lavorare al “Sacrificio” ed è qui che ha fatto il primo montaggio, il rapporto con l’Italia era cominciato molti anni prima quando nel 1962 era venuto in Italia e il suo film “L’infanzia di Ivan” aveva vinto il Leone d’oro a Venezia.

Ma fu prima di girare “Nostalghia” nel 1983 che Tarkovskij scoprì la Toscana. Viaggiando insieme a Tonino Guerra, che avrebbe sceneggiato il film, attraverso l’Italia alla ricerca dei luoghi più adatti per la sua opera, fu folgorato dalla bellezza della Toscana. Il colpo di fulmine fu per il regista russo la scoperta di San Galgano uno dei luoghi più suggestivi di tutta la Toscana. I resti di questa grandiosa abbazia, dove i muri perimetrali con gli slanciatissimi pilastri racchiudono un prato verde e si protendono verso un tetto che non c’è più, colpirono l’immaginazione del regista che inserì questa immagine nel suo film e accesero quella passione per la Toscana e per Firenze che avrebbero indotto Tarkovskij a scegliere questi luoghi come dimora e terra d’adozione.

Dopo anni di esilio aveva finalmente trovato un luogo che lo accoglieva a braccia aperte, offrendogli una casa dove abitare con tutta la famiglia. Il gesto di ospitalità del Comune di Firenze aveva consentito al regista di poter riprendere con tranquillità e fiducia la sua attività cinematografica. Un’attività che gli ha permesso di realizzare soltanto sette intensissimi film in venticinque anni. E questo per le difficoltà che l’artista ha avuto nel suo paese contro gli schemi dell’ideologia dominante che lo avrebbero voluto ossequioso al potere costituito, e anche fuori dal suo paese nell’ambito di un’industria cinematografica che ricerca sempre la spettacolarità e il profitto.

L’arte di Tarkovskij è filmare per raccontare l’emozione personale e metterla a contatto con le esperienze più generali, è una visione della storia come magma dialettico tra patimento collettivo e spinta individuale. Il regista s’impose all’attenzione mondiale con “Andrej Rublev, storia di un pittore d’icone nella Russia del Quattrocento. Un bellissimo film che conteneva già il segno della sua scelta ideologica. Ritrovare l’uomo al di là degli schemi e delle generalizzazioni, alla ricerca di quell’armonia che l’uomo deve trovare con se stesso e con la storia.

Alla nostalgia dell’armonia, questa la definizione che Tarkovskij ha dato del suo cinema, e al valore della memoria sono riconducibili tutti i film che hanno preceduto la sua ultima opera “Sacrificio”. Questa è la chiave di lettura per analizzare una produzione che ha, in qualche modo, affrontato tutti i generi. Se “ L’infanzia di Ivan” può sembrare il classico film di guerra, abbastanza di moda in quegli anni (1962), non si può disconoscere l’estremo anticonformismo nel trattare un tema abbastanza consueto nella cinematografia sovietica e non, quello dell’ eroe bambino, rappresentando l’incubo della guerra senza alcuna concessione alla spettacolarità.

Anche “Andrej Rublev” (1969), che rivisita uno dei momenti più travagliati della storia russa quale il XV secolo attraverso la figura di un pittore di icone, sarà per il regista l’occasione di parlare dell’ “ impossibilità di creare trascurando i desideri e le speranze del popolo, dell’aspirazione dell’artista a esprimere il suo animo e il suo carattere e della dipendenza dell’artista dalla situazione storica”. Anzi quest’autentico film storico, forse il più importante della cinematografia russa dopo “Ivan il terribile” di Ejzenstein, permetterà a Tarkovskij di riflettere sul ruolo dell’artista nella vita del popolo, un problema esemplato da Rublev e dalla vicenda storica che riguarda anche la realtà contemporanea.

Anche “Andrej Rublev” incontra difficoltà censorie in Unione Sovietica, dove verrà distribuito dopo tre anni dal suo compimento. E anche il regista dovrà attendere fino al 1972 per creare il suo film successivo. E’ ancora una volta la rivisitazione di un genere, in questo caso la fantascienza, che permette a Tarkovskij di continuare la sua riflessione sull’uomo. Il film è Solaris e, come ha fatto Kubrick nel suo “2001 odissea nello spazio, il regista coglie l’occasione per un’acuta riflessione sul destino dell’umanità, sul valore della memoria, sul concetto di responsabilità morale.

Il momento forse più critico dell’esperienza umana e artistica del regista è forse rappresentato da “Lo specchio” (1974), dove per l’unica volta egli fa dell’autobiografia piuttosto esplicita, per realizzare poi nel 1979 un’ altra opera per così dire di “ fantascienza morale” con “Stalker “ (la guida). Nel viaggio che due uomini condotti da una guida, compiono nell’esplorazione di un metaforico territorio proibito, la cui conoscenza potrebbe svelare segreti innominabili, si consuma l’avventura della coscienza messa di fronte all’ignoto e al rischio che comporta l’affrontarlo. Dopo un’altra lunga pausa, dovuta anche alle spigolosità e all’intransigenza dell’uomo e dell’artista, è la volta del film girato in Italia. E’ il 1983 e Tarkovskij gira nelle campagne toscane.

“Nostalghia”. E’ un film tanto bello nelle immagini quanto tortuoso nella vicenda che vede uno studioso russo di arte italiana che, al suo primo incontro con i capolavori, che ha visti e amati soltanto nelle riproduzioni, entra in crisi. Il film, che non è il migliore dei suoi, ha un buon successo, e induce il regista a preparare quello che sarebbe poi stata la sua ultima opera “Sacrificio” del 1986. In quest’opera è riuscito a esprimere la più elevata sintesi della sua poeticità e, nel dilemma vissuto da una piccola comunità svedese di fronte all’annuncio di un fatale incidente e all’ipotesi della fine del mondo, ci ha lasciato un ritratto memorabile e amaro dell’umanità allo scadere del secolo non senza un avvertimento sui rischi di sopravvivenza nel ventunesimo secolo.

Molti erano i progetti anche extra cinematografici che Tarkovskij voleva realizzare a Firenze. Tra questi la realizzazione di alcune regie per il Teatro Comunale, dove avrebbe voluto dirigere il suo Amleto e anche il progetto di una grande accademia riservata agli uomini di spettacolo . “A Firenze- diceva Tarkovskij il rapporto tra allievi e maestri ha dato nei secoli frutti ricchissimi. Questa città ha la tradizione e le risorse per chiedere ai maggiori protagonisti della cultura internazionale di venire qua a insegnare.”. Al termine dei corsi allievi e maestri avrebbero dovuto “aprire alla città i risultati del loro incontro creativo”.

Purtroppo La malattia e una morte prematura hanno lasciato ogni progetto a livello di sogno. La Toscana stessa è stata per Tarkovskij, nei lunghi mesi di lotta contro la malattia, un sogno, il simbolo della salute riconquistata, la terra della salvezza promessa. Con la moglie e con la sua famiglia finalmente riunita, il regista era felice di tornare a vivere a Firenze, vicino a quei luoghi, come Bagno Vignoni, Monterchi, San Galgano, che come icone indimenticabili erano state consegnate all’immaginario collettivo, nel suo film italiano “Nostalghia” .

In evidenza