Shalom in Ucraina: diario di un viaggio (quinta puntata)

Il Generale Zarcone ripercorre le tappe di un'esperienza che cambia la vita

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
28 agosto 2022 20:43
Shalom in Ucraina: diario di un viaggio (quinta puntata)

(E' possibile trovare prima, seconda e terza e quarta puntata nelle pagine del nostro quotidiano on line).

Nel primo pomeriggio siamo rientrati a Przemyśl per visitare la stazione ferroviaria. Questo è un edificio in neo barocco costruito tra il 1859 ed il 1860 sulla ferrovia che collegava la città a Leopoli. Ed è appunto per la vicinanza alla città più importante dell’ovest dell’Ucraina che con l’inizio dell’invasione russa la stazione è diventata punto di arrivo di migliaia di profughi in fuga dalla guerra. Davanti alla stazione era stata impiantata una cucina campale gestita dal WCK - World Central Kitchen, una organizzazione statunitense che interviene in occasione di crisi umanitarie. In una tenda c’era il posto per il confezionamento dei pasti caldi, in un’altra il posto per il confezionamento e la distribuzione dei pasti. 

Un breve scambio in inglese con la signora ai fornelli per apprendere che in questa struttura lavorava come volontario un ragazzo italiano, un diciottenne di Milano. Lei era di New York ed aveva con sé un figlio adolescente. Davanti le tende sostavano una ventina di persone, uomini e donne, che facevano capannello. All’inizio pensavamo che stessero aspettando di ricevere un pasto caldo e qualcosa da bere. Don Witold ci ha invitato a fare attenzione, a stare attenti. Non tutti erano profughi. Purtroppo, anche in questa emergenza, c’è chi approfitta della situazione: chi sfrutta l’occasione per commettere qualche furto e chi invece si avvicina ai veri profughi con la falsa promessa di un aiuto e chi invece vuole solamente sfruttarne la disperazione.

È accaduto anche da noi dopo le calamità naturali che hanno colpito l’Italia. Prestando una maggiore attenzione abbiamo notato alcune persone che si muovevano all’interno della piazza con circospezione, per verificare la presenza dei militari o delle forze di polizia polacche.

Approfondimenti

All’interno della stazione padre Pawel ci ha presentato un briefing su come la Caritas di Przemyśl con i suoi 1.200 volontari (90.000 in tutta la Polonia) ha fronteggiato l’emergenza. Tante immagini dei i primi giorni, con l’afflusso di una media di 1500 fuggiaschi per ogni treno, con una media giornaliera di 40.000 profughi al giorno. Gli ampi saloni delle sale d’aspetto erano stati convertiti in dormitori con le brande molto vicine per soddisfare l’esigenza di migliaia di posti letto.

Una delle salette invece era stata riservata ai bambini, per fornire uno spazio giochi ai più piccoli mentre i grandi potevano usufruire di un adeguato servizio di assistenza psicologica. Necessaria per chi aveva assistito ai bombardamenti, aveva perduto un amico o un familiare, o aveva dovuto abbandonare in fretta ciò che era stata fino a quel momento la propria vita. Oggi in una di quelle sale c’è un bar gestito dalla Caritas destinato ai numerosi volontari che ancora oggi prestano la propria opera in stazione. Alcune foto mettono in risalto l’uso di barelle e sedie a rotelle necessarie per lo spostamento dei numerosi malati, degli anziani e dei feriti. 

Nei primi giorni di emergenza i profughi sostavano in stazione per un massimo di due giorni. Durante questo periodo i volontari della Caritas provvedevano alla registrazione dei profughi e li interrogavano in merito alle loro intenzioni. Molti ucraini avevano già in programma di ricongiungersi con i propri familiari che si trovavano nei paesi della UE per cui venivano aiutati a raggiungere le destinazioni scelte. I restanti venivano inviati verso l’interno della Polonia e, a seconda delle necessità, suddivisi nei luoghi di accoglienza o nei luoghi di cura.

Adesso la situazione è tranquilla. I profughi sono stati distribuiti all’interno del paese, ospitati in strutture messe a disposizione dallo Stato, dalle Diocesi, dalle congregazioni e dagli istituti religiosi, dalle organizzazioni umanitarie. Il movimento in afflusso si è notevolmente ridotto mentre c’è uno spostamento, seppur limitato, di ucraini che invece tornano verso la nazione di origine. Vogliono verificare quanto è rimasto del poco che avevano, delle proprie case. Alcuni rientrano nelle zone occupate dai russi. Difficile comprenderne il motivo. C’è chi vede il prolungarsi del conflitto e si è rassegnato a rientrare a casa propria, chi vuole ricongiungersi ai parenti, chi si vuole affidare al fato. Nelle sale di attesa oramai non è così facile individuare il profugo dal normale viaggiatore. 

All’interno, nei pressi della biglietteria la sala per la registrazione. Tutti i profughi in arrivo in Polonia devono registrarsi immediatamente per poter godere dello status di profugo di guerra. Tanti manifesti in ucraino e polacco forniscono le indicazioni di cosa fare. Durante la nostra permanenza in Polonia una associazione umanitaria aveva chiesto a Shalom di portare in Italia due donne che si trovavano ancora nelle zone dei combattimenti prossime al Donbass. Purtroppo i tempi non ci permettevano di rispettare le norme stabilite dal governo polacco. Il Vescovo e Don Andrea hanno trovato la soluzione. Le due donne sarebbero arrivate a Przemyśl, dove, grazie al sostegno della Diocesi, sarebbero state assistite ed alloggiate per il tempo necessario al disbrigo delle pratiche burocratiche, quindi, nel rispetto delle procedure, sarebbero partite in treno per l’Italia. 

Ovviamente la Diocesi di San Miniato si è fatta carico delle spese necessarie. Lungo il primo binario c’era ancora un posto per l’accoglienza gestito dai militari polacchi. Erano presenti due soldate che ci hanno chiesto di non fotografarle. Non parlavano inglese ed abbiamo dovuto ricorrere al nostro Don Witold per avere qualche risposta sul compito che era stato loro assegnato. Distribuivano gratuitamente materiale per i profughi. Più o meno le stesse cose che vengono distribuite ai militari di tutto il mondo, le famose “spettanze”: un pacchetto di fazzolettini di carta, assorbenti, uno spazzolino, un tubetto di dentifricio, un pettine, un rotolo di carta igienica.

Lasciata la stazione ci siamo spostati verso il confine per raggiungere il posto di frontiera di Medyka. All’inizio non l’ho riconosciuto poi mi sono reso conto che era lo stesso posto per il quale ero transitato in occasione del mio viaggio verso Leopoli nel 2016. Non è cambiato molto. Prima della dogana ci sono alcuni piccoli stand realizzati in legno che ospitano bar, negozi, agenzie per il noleggio di veicoli. Questa volta, probabilmente perché eravamo già nel pomeriggio c’era poca gente.

La volta precedente era mattino presto. Era molto più affollato. Tante donne. C’erano numerosi veicoli a nolo, molti “abusivi”, per il trasferimento verso l’interno della Polonia. Ricordo le grosse borse di coloro che attraversavano la frontiera con i loro carichi di sigarette e alcolici. Probabilmente oggetto di scambio o contrabbando. Anche allora, come durante quest’ultima visita, una lunghissima fila di autocarri in attesa di espletare i controlli doganali.

Avvicinandoci al posto di frontiera non c’erano più le tende dei profughi. Oramai l’emergenza è finita. I profughi sono stati sistemati in strutture dedicate all’accoglienza, in istituti religiosi e presso famiglie. Le autorità polacche si preoccupano di mantenere efficiente la loro organizzazione. Lungo il viale che porta alla dogana poche persone valicavano la frontiera, in entrambe le direzioni. Abbiamo potuto incontrare una famiglia di migranti, forse arabi, che stavano rientrando in Ucraina e soprattutto delle donne e qualche bambino.

Per legge i maschi ucraini tra i sedici ed i sessanta anni non possono lasciare il proprio paese senza un permesso del Governo. Il rischio è quello di essere considerati dei disertori o peggio dei traditori. C’era una signora sui sessanta, che aveva subito un importante trattamento di lifting, con la figlia adolescente. Entrambe ben vestite sembravano estranee al paesaggio dal quale cercavano di distinguersi. Quando ci sono i soldi è sempre più facile affrontare la guerra ed attraversare i confini.Ai lati c’erano ancora le tende delle organizzazioni che forniscono i primi aiuti umanitari a coloro che giungono dall’Ucraina.

Le prime, quelle più frequentate, erano quelle del Word Central Kitchen. Qui una volontaria ed un volontario distribuivano buste di carta con all’interno bottigliette d’acqua e panini. Poi ancora le tende dell’United Sikhs, dell’Unicef, dell’UNHR, della Jewish Agency e la Medical Clinic di Sauveteurs San Frontieres. 

Sul cancello della dogana erano esposti alcuni disegni fatti da bambini di scuola materna e scritti in spagnolo: uno con delle mani di diverso colore che si univano in segno di amicizia; uno con fiori, cuori e stelline colorate con la scritta “No a la guerra. Mucho animo y fuerza para los niňos de Ucraina. No estais solos. Soy Sergio de Sevilla. No tenga miedos. Desde Espaňa os mando besos y abrazos”; uno con la terra verde illuminata da un sole raggiante su cui tanti bambini si danno la mano e con tanti cuoricini e la scritta “No a la guerra y Si a la Paz”.

Parole di conforto, di speranza e di pace indirizzate ai bambini ucraini.Terminata la visita alla zona di frontiera di Medyka, dove saremmo ritornati l’indomani mattina, siamo rientrati al seminario di Przemyśl. Qui abbiamo incontrato alcuni dei vescovi della chiesa greco cattolica ucraina partecipanti al Sinodo. Tra questi Mykola Bychock, vescovo greco cattolico ucraino dell’eparchia cattolica ucraina dei Santi Pietro e Paolo di Melbourne. Qualche scambio di parola con uno che parlava un buon italiano.

L’unico tra i vescovi presenti senza la barba ed in borghese, che poi ho scoperto essere Monsignor Dionisio Lachovicz, Esarca Apostolico per i fedeli cattolici ucraini di rito bizantino residenti in Italia. Poi di corsa a cena dove abbiamo ricevuto le indicazioni per il viaggio dell’indomani.

Partenza mattutina, bisognava essere alla frontiera prima delle 7 del mattino. La frontiera di Medyka dista appena 16 km, ma necessitavano almeno 45 minuti, che avrebbero potuto anche aumentare in relazione al traffico in ingresso in Ucraina, specialmente quello dei TIR. Era importante giungere prima del cambio del turno dei funzionari; per evitare il tempo morto del passaggio delle consegne o forse perché erano già stati presi accordi con quelli del turno precedente. Ci viene comunicato che per “facilitare” il passaggio della frontiera saremo accompagnati da due parlamentari polacchi.

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