"La famiglia, cellula fondamentale della società"

Camilla Bianchi, Garante per l’infanzia della Toscana, dopo la visita all’istituto penale per minorenni di Pontremoli parla di politiche familiari, formazione, reinserimento e principio di “territorialità della pena che dovrebbe essere centrale nella filosofia dell’intervento educativo”

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
18 febbraio 2020 18:32

“La famiglia è la cellula fondamentale della società. La funzione rieducativa degli istituti detentivi, sancita per Costituzione, ne è strettamente connessa così come il principio della territorialità della pena dovrebbe essere centrale nella filosofia dell’intervento educativo”. La Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza della Toscana, Camilla Bianchi, cita la Dichiarazione universale dei diritti umani per parlare dell’Istituto penale per minorenni (Ipm) di Pontremoli, unico in Italia esclusivamente femminile.

Dopo aver visitato la struttura inaugurata nel 2010 nella vecchia sede del carcere dove sono ospitate ragazze di minore età per la maggior parte straniere (croate, serbe, bosniache, bulgare, spagnole) con alle spalle situazioni difficili, se non drammatiche, la Garante affronta il tema delle politiche familiari, della formazione e del reinserimento senza tralasciare le analisi del direttore dell’Istituto, Mario Abrate. Una fra tutte riguarda l’ordinamento penitenziario e il concetto di territorialità della pena. “Dall’inaugurazione nessuna ragazza residente a Pontremoli o in zone limitrofe è mai stata detenuta in questo istituto e lo stesso si può dire per gli altri due Ipm presenti in Italia” ha dichiarato Abrate citando quelli di Roma e Nisida.

Da questa mancata opportunità di stare il più vicino possibile al proprio ambiente di origine, la Garante commenta quanto sancito nella Dichiarazione universale dei diritti umani adottata nel 1948 e apre ad una riflessione: “Il rispetto dell’individualità in una fase tanto delicata quanto quella evolutiva”. “Le esperienze delle detenute che ho potuto approfondire parlano di contesti così degradati che le limitazioni del carcere diventano, paradossalmente, costruttive e formative”. “Il modello di Pontremoli, con i diversi progetti rieducativi, l’impegno degli operatori e il grande coinvolgimento dell’associazionismo locale deve certamente essere preso a modello e ricordato.

Tuttavia occorre concentrarsi sulle possibilità che queste ragazze devono avere una volta uscite dal contesto detentivo, sul loro diritto a non interrompere il processo educativo iniziato in istituto e, cosa ancor più importante, far comprendere loro il valore di un ambiente familiare alternativo alle drammatiche esperienze vissute”.

Bianchi cita ancora quanto il Direttore dell’Istituto ha avuto modo di esporre nel corso della visita e se è convinta che Pontremoli abbia ‘sfruttato’ al meglio il mancato principio di territorialità – “la lontananza da contesti pericolosi o degradati e l’inserimento in un ambiente protetto aiuta a favorire l’autostima e la crescita individuale” – dall’altro torna sulla necessità che il percorso intrapreso all’interno degli Ipm “non venga disperso”. “La visione del ‘qui ed ora’ è importante ma quanto fatto da Abrate, dagli operatori e da tutta la comunità di Pontremoli deve necessariamente essere ripreso nei territori, portato a termine fuori dal contesto detentivo. Solo così per queste ragazze la speranza di un domani diventa progetto reale”.

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