De Capitani porta in scena il Tennessee Williams più intimo e doloroso

Un’intensa Elena Russo Arman rievoca fra le righe la vicenda della sorella del drammaturgo americano, e s’interroga sulla malvagità dell’ipocrisia. Al Teatro della Pergola, fino a domenica 8 febbraio.

04 febbraio 2015 11:43
De Capitani porta in scena il Tennessee Williams più intimo e doloroso

FIRENZE - Un testo drammaturgico che diviene occasione per affrontare i fantasmi del passato, quasi un estremo tentativo di vincere il rimorso e immaginare un finale diverso. È questa l’urgenza che portò Tennessee Williams a scrivere Improvvisamente l’estate scorsa, il più intimo, il più dolorosamente poetico per la dimensione onirica che tocca, nell’inutile ricerca di una spiegazione, a sé stesso, del perché di tanta malvagità nell’animo umano.

L’impianto è quello classico di Williams: la provincia americana borghese, una madre ossessiva e ipocrita, il tabù dell’omosessualità, il disagio che nasce da un clima così oppressivo. L’iperprotettiva Violet Venable, già vedova, vive nel culto del figlio Sebastian, anch’egli scomparso, del quale continua a serbare gelosa memoria di uomo retto, appassionato naturalista e poeta e a tempo perso, che era solita accompagnare nei suoi viaggi attorno al mondo. All’ultimo, però, non ha potuto prendere parte, sostituita da Catherine Holly, sua nipote e cugina del figlio.

Ma su una remota spiaggia spagnola, “improvvisamente l’estate scorsa”, Sebastian muore. Per coprire la verità, che si presume scabrosa, e della quale Catherine è l’unica testimone, Violet è ben decisa a far passare per folle la ragazza e a sottoporla a un intervento di lobotomia, e a tale scopo interpella il dottor Cukrowicz, giovane neurologo che sta sperimentando questa nuova “tecnica”.

Elio De Capitani allestisce quello è è il testo meno teatrale e più intimo fra quelli di Williams, ambientandolo in un cupo giardino tropicale dai molteplici significati: a prima vista, non è altro che la riproduzione di quegli ambienti tropicali, come la Galapagos, che Sebastian ha visitato nei suoi lunghi viaggi. Ma, attraversato com’è da stridii, che si presumono di qualche uccello rapace e che forse sono reali forse immaginari, il giardino si rivela luogo scenico concettuale, scrigno delle paure, delle frustrazioni, della claustrofobia dell’essere umano sottoposto alla “censura dell0anima”, ovvero a quel sistema di convenzioni che l’America si era (si è) autoimposta.

La ricca, inconsolabile Violet, interpretata da una convincente Cristina Crippa, si rinchiude in questo soffocante giardino per soffocarsi a sua volta nell’illusorio ricordo del figlio perfetto, dall’animo casto e puro, cui niente faceva difetto. E per tacitare eventuali voci contrarie, è disposta a tutto, persino a corrompere il medico con una generosa offerta per una fondazione scientifica. Movenze aristocratiche, quelle di Crippa, alle prese con un personaggio complesso e instabile, che si crede ancora giovane e piacente, e tenta lascivi approcci on lo stesso dottor Cukrowicz. Una dizione tagliente, completa la resa scenica di una donna --------------

Il dottor Cukrowicz, da parte sua, resta turbato dalla determinazione di Violet, e chiede di poter avere un colloquio con Catherine, per capire se l’intervento, rischioso, sia effettivamente necessario. Nell’unico personaggio del dramma - oltre a Catherine -, che dimostri una certa dose di sensibilità umana, Cristian Giammarini appare perfettamente a suo agio, affrontando con flemma la disturbante e imbarazzante conversazione con la donna, la cui tranquillità nei confronti del destino cui vorrebbe condannare la nipote appare ripugnante. Cukrowicz indaga con tatto psicanalitico,

La prima parte del dramma riguarda i tentativi di Violet di convincere il medico a praticare l’intervento di lobotomia su Catherine. Nella seconda, invece, conosciamo la ragazza, che arriva in visita dalla zia accompagnata da una suora, infermiera dell’ospedale in cui è attualmente ricoverata. Da subito si comprende il clima oppressivo che circonda la ragazza, alla quale è proibito persino fumare una sigaretta; la madre e il fratello, Mrs Holly e George Holly - rispettivamente Corinna Agustoni e Enzo Curcurù -, anch’essi in visita, rimasti sola con la congiunta cercano di spiegarle l’opportunità di tacere la presunta fine di Sebastian, allo scopo di non indisporre Violet e sbloccare in tal modo quel lascito di centomila dollari che Sebastian destinò a Catherine e a George.

All’uomo, quei soldi servono per lanciarsi in società, con la compiacenza della svampita Mrs Holly, totalmente in balìa della cognata. Agustoni e Curcurù danno vita a due borghesi-tipo del menzognero American Dream, desiderosi di allontanare verità scomode per non sminuire le loro ambizioni e per non sollecitare inutili mormorii.

In mezzo, la vera protagonista (assieme allo scomparso Sebastian), di questo dramma della memoria, ovvero Catherine, interpretata da Elena Russo Arman. È lei, ragazza dolce, incapace di odiare, nemica dell’ipocrisia e delle menzogne, la vittima di chi si ostina chiudere gli occhi davanti alla realtà, a non voler ammettere situazioni che possano sembrare sconvenienti. Sin dal suo ingresso sul palcoscenico, s’intuisce una personalità libera, pura, spaventata da quello che le accade, e traumatizzata dalle terapie subite in ospedale.

Cardine della pièce, il lungo colloquio con il medico, e la rievocazione di quanto accadde “l’estate scorsa”; per Williams, scrivere questa scena fu un modo per tentare di spiegare la dolorosa vicenda occorsa alla sorella Rose, lobotomizzata per volontà della madre nel 1943, e ridotta allo stato vegetativo. L’autore non poté impedire la decisione della madre (di cui Violet è specchio), ma ne portò sempre il rimorso dentro di sé; ed ecco che questo testo diventa occasione per una sorta di auto-seduta psicanalitica, in cui lascia a Catherine/Rose la possibilità di difendersi, di esternare le sue sensazioni, e soprattutto di squarciare il velo che copre la verità dei fatti; un atto d’accusa, quest’ultimo, contro l’ipocrisia della società americana, della malvagità che riesce a esprimere difendendo, all’apparenza, ineccepibili valori morali.

Nella dolorosa rievocazione dell’estate scorsa, emerge un Sebastian insofferente verso la madre iperprotettiva, che affida ai taccuini il suo malessere, e omosessuale represso vocato alla pederastia, che incontrerà una morta violenta

Su una spiaggia spagnola (una sinistra anticipazione delle vicende pasoliniane dei “ragazzi di vita”). È questa la realtà, e Catherine ha soltanto tentato di salvare Sebastian dall’autodistruzione, accompagnandolo in Europa in un estremo tentativo di fuga dalla madre oppressiva e alcolizzata, rimasta vittima di un collasso. Una rievocazione scenicamente resa con profonda, esteticamente toccante drammaticità, grazie alla bravura di Elena Russo Arman, che estrapola dal suo corpo tutto il malessere di una ragazza costretta a nascondersi, a reprimere il suo istinto di libertà e purezza; Russo Arman grida, corre, si agita sul palcoscenico gridando la sua solitudine.

E il medico si convince di come non sia folle, ma soltanto traumatizzata dalla scomparsa del cugino, forse l’unico essere umano che sentiva affine a sé stessa, e per il quale provava un sincero affetto materno. L’intervento di lobotomia non si farà, e Catherine può tornare a casa, accolta dalla madre e dal fratello, che rinunciano al lascito e cambiano i loro piani.

È questo l’unico finale lieto della drammaturgia di Williams, dolorosa illusione per un passato che invece non si può cambiare, estremo tentativo di scusarsi con Rose per la sua tragica sorte che non ha saputo impedire.

Lo spettacolo, affascinante e toccante, ha meritati gli applausi del pubblico; una regia discreta, che lascia spazio ai contenuti esistenziali, comunica tutto lo sgomento di Williams (e di Catherine/Rose), per un’umanità incapace di provare pietà e comprensione. Temi attuali, scomodi e dolorosi, ma non per questo inopportuni da affrontare.

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