Gli aspetti meteorologici nella Divina Commedia e l'evoluzione della fisica dell’atmosfera dai tempi di Dante a oggi, sono al centro della conferenza che tiene stamani il tenente colonnello Alessandro Fuccello agli allievi delle quinte classi della Scuola militare aeronautica Giulio Douhet di Firenze.
Nel 700° anniversario della morte di Dante Alighieri, padre della lingua italiana, l'iniziativa di oggi all'ISMA celebra il suo genio, facendo conoscere alle nuove generazioni un contributo insolito della cultura a tutto campo del poeta fiorentino.
Laureato in fisica, matematica e navigazione, Alessandro Fuccello è Capo della 1^ Sezione Analisi e previsioni a brevissimo termine del 1° Servizio Analisi e Previsioni dell’Aeronautica militare.
Approfondimenti
“Nell'enciclopedica conoscenza del sapere del suo tempo, Dante ha permeato le sue opere e in particolare la Commedia, di moltissime narrazioni dei fenomeni naturali, spaziando dall’astronomia alla geografia ed alla meteorologia” spiega a Nove da Firenze il tenente colonnello Alessandro Fuccello.
“La parola pioggia compare 14 volte nel poema, vento addirittura 42, neve la troviamo 10, come nebbia. Ma non è solo la frequenza dei lemmi meteorologici che dà la cifra dell’attenzione di Dante ai fenomeni atmosferici, quanto l’efficacia delle descrizioni, talvolta funzionali alle similitudini ed alle allegorie, talvolta alle suggestive ambientazioni infernali. Nell’attacco del XXIV canto dell’Inferno, chiama la brina la sorella bianca della neve e ne descrive in modo mirabile la sua breve durata mattutina; nell’ XI del paradiso, nel dipingere i luoghi di origine di San Francesco, evidenzia come dal Subasio scendano venti per cui Perugia sente freddo e caldo da Porta Sole, e chi scrive, avendo vissuto cinque anni nel capoluogo umbro, conosce bene questi aspetti climatici”.
Qual'è la differenza tra la percezione della natura odierna con quella degli antichi?
“Avevano una percezione diretta e immediata. Oggi riceviamo informazioni tramite la tecnologia e i media (internet). L'esperienza diretta e personale era invece la caratteristica degli antichi, sino quasi ai giorni nostri, basta ricordare l'importanza dei segni premonitori nella vita agricola. Pensate alla capacità di leggere il tempo tipica di contadini e pescatori”.
Che cosa era il cielo per Dante?
“Dante parla del cielo della luna, di quel ciel c'ha minor li cerchi sui, ma non si tratta certo della concezione astronomica di oggi. Le antiche sfere celesti non hanno nulla a che fare con le distinzioni fisiche con cui definiamo l'atmosfera terrestre e la sua rarefazione verso lo spazio siderale”
Qual'era la percezione degli antichi per gli eventi metereologici estremi?
“Fenomeni estremi ci sono sempre stati, magari interpretati in chiave mitologico religiosa. Non esisteva evidentemente la statistica e la climatologia. Emblematica la narrazione dantesca della sorte di Bonconte da Montefeltro, personaggio che compare nel canto V del Purgatorio a proposito della Battaglia di Campaldino. Il cadavere del nobile cavaliere viene villipeso dal Demonio, che per punirlo del suo pentimento in extremis, scatena un temporale violentissimo, probabilmente verificatosi per davvero, che fa scempio del suo corpo”
Quale fu la fase climatica storica all'epoca di Dante?
“Il trecento segna la conclusione della fase calda che ha il culmine intorno all'anno 1000. Si avvia di seguito la piccola glaciazione che troverà il suo apice tra '500 e '600. La little ice age documentata con frequenza dall'arte e la letteratura. Ad esempio ho ritrovato nella mia Umbria documenti parrocchiali che narrano dell'impossibilità di dire messa per il congelamento delle sacrestie nel XVI secolo. L'epoca di Dante si può definire una fase mediana, come potrebbe essere la nostra, se non fosse condizionata dai cambiamenti climatici che stiamo registrando negli ultimi decenni”.