di Niccolò Lucarelli PISTOIA- Quando il jazz è fantasia, innovazione, meditazione. Accolto con entusiasmo dal pubblico del Teatro Manzoni, l'omaggio di Stefano Cantini e Enrico Rava al genio jazzistico di John Coltrane, innestato però su una scaletta che comprende sia brani suoi, sia composizioni del gruppo che standard classici. Ne risulta un concerto dinamico, elegante e informale insieme, organizzato sulla più genuina improvvisazione artistica, con i musicisti che sul palco hanno l’aria di divertirsi davvero.
Il pubblico lo intuisce, e lo scopre nota dopo nota, in un concerto che, in un’ora e mezzo circa, riconcilia con l’esistenza. Stagliati su un fondale completamente nero, sembrano emergere dalla profondità della notte newyorkese Stefano Cantini al sax, Ares Tavolazzi al Basso, Francesco Maccianti al pianoforte,e Piero Borri alla batteria. Il concerto si apre con Seeds, un intenso brano composto da Maccianti, caratterizzato da un’avvolgente atmosfera di ambiente urbano, grazie alla batteria cadenzata di Borri e il sax morbido di Cantini.
Ritmo e intensità e aumentano poco dopo, con l’inserimento del pianoforte che insiste sul registro acuto della tastiera, accompagnato dal sax che scioglie l’approccio e si scatena in lunghi e appassionati a solo. A rafforzare la raffinata atmosfera che si respira sul palco, il solare Out of this world, dall’intro caraibico-spagnoleggiante che scivola poco dopo nel cuore degli anni Ottanta più raffinati, del Greenwich Village più radical-chic, grazie ai passaggi pianistici di Maccianti che ricordano quelli di Bruce Hornsby, e al vivace sax tenore di Cantini.
Un brano che infonde coraggio, e spiega quel titolo suggestivo che invita a dare il meglio di sé per creare un mondo migliore. La bellezza è una chiave di volta, e certo non ne difetta il raffinato, introspettivo e scatenato jazz del quintetto. Sulle note di Real Stockolm, entra in scena Enrico Rava, attraverso un fitto dialogo sul registro acuto con il sax di Cantini, che quasi diventa una simbiosi fra i due artisti, dialogo cui si unisce poco dopo anche la sezione ritmica, e il pianoforte. Ne scaturisce un suono ricco di colori caldi, quasi una tavolozza di Veronese, sublimata dall’impetuoso finale di gusto verdiano, con sax e tromba trascinati dalla batteria.
Un brano che ha il piglio insieme affascinante a aggressivo del blues dei Rolling Stones, una caratteristica che conferma l’attenzione di Cantini e soci al variegato universo musicale di alto livello. Immancabile, a seguire, lo standard My funny Valentine, che ha formate generazioni di jazzisti, e ieri sera imperniato sui virtuosismi di Rava, che quasi schiodano il pubblico dalle poltrone. Il momento più alto, probabilmente, arriva con Miles’ Mood, una composizione di John Coltrane, che, in un ampio alternarsi di ritmi diversi, lascia ampio spazio alla sezione ritmica, per cui batteria e contrabbasso trovano ampi spazi d’espressione accompagnati dal pianoforte.
Qui, Rava s’inserisce con discrezione, con delicati svolazzi di jazz manouche, prima del forsennato fraseggio di chiusura fra sax e batteria. Chiude il concerto The each one, che innesta il sapore del jazz di New Orleans dell’introduzione, su atmosfere di gusto europeo, che si evidenziano in particolare nel lungo e suggestivo a solo pianistico di Maccianti, vicino alle sonorità di Roman Vlad. Un pastiche introspettivo, durante l’esecuzione del quale il pianista rimane simbolicamente da solo sul palco.
Al rientro dei colleghi, il brano riprende la sua atmosfere jazz, portandosi su un’atmosfera cool che non sarebbe dispiaciuta a Chet Baker. Spentasi l’eco dell’ultima nota, scroscianti e meritati applausi del numeroso pubblico in sala, per un concerto che ha regalate sensazioni d’intensa, commovente bellezza, spronando a combattere, a pensare a sognare, a essere uomini. Foto: courtesy Alessandra Frosini