Mostar 20 anni dopo la distruzione

Sabato dibattito in Palazzo Vecchio sul futuro della Bosnia Erzegovina. Domani presentazione di ‘Nur. Un altro Afghanistan’ con la giornalista polacca Monika Bulaj

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
06 novembre 2013 21:47
Mostar 20 anni dopo la distruzione

Firenze, 6 novembre 2013- Il 9 novembre del 2013 ricorre il ventennale della distruzione dello Stari Most, il Ponte Vecchio di Mostar. La distruzione dello Stari Most rappresentò, anche simbolicamente, la definitiva separazione della città di Mostar in due parti, sancendone la divisione e la fine di un sistema di convivenza tra le comunità che era stato alla base della creazione della Jugoslavia. La tragedia della ex Jugoslavia e gli orrori della guerra furono anche la causa scatenante di un grande impegno di solidarietà tra gli enti locali e la società civile Italiana e in particolare quella Toscana che continua ancora oggi.

A 20 anni dalla distruzione dello Stari Most di Mostar ed a 18 anni dalla firma degli Accordi di Dayton, COSPE, Regione Toscana, Cesvot, Commissione Cultura del Comune di Firenze e con il patrocinio del Comune di Firenze e la collaborazione di Oxfam Italia, la Caritas, Centro Nord-Sud tutti membri del Tavolo Europa della Regione Toscana, propongono una giornata di dibattito (9 novembre 2013, palazzo Vecchio, sala della Miniatura, 10-17.30) sul tema della Pace in Bosnia Erzegovina, dell’impegno della comunità internazionale e della Toscana verso la Bosnia Erzegovina.

Tra gli interventi: Paolo Palchetti, Università di Macerata, Aldo Bonomi - A.A.S.TER e Lapo Pistelli - Vice Ministro Affari Esteri. Con la partecipazione di Murat Coric - Presidente del Consiglio Comunale di Mostar. Modera Wlodek Goldkorn, de L’Espresso. L’evento si articolerà in due momenti: una conferenza che analizzerà, grazie ad esperti, studiosi e ospiti da Mostar, i percorsi politico-sociali intrapresi dalla Bosnia Erzegovina nel dopoguerra, analizzando le cause del persistere delle divisioni, contribuendo ad individuare possibili percorsi di pacificazione e un convegno che celebri e ricordi il ruolo e l’impegno del volontariato Toscano verso le popolazioni della Bosnia Erzegovina con la partecipazione dei rappresentanti di ong, istituzioni e associazioni di volontariato da vent’anni lavorano in Bosnia.

A questa seconda parte si chiede in particolare di tornare a riflettere sull’impegno da parte del volontariato e degli enti locali italiani e toscani perché, se la guerra determinò un grande moto di solidarietà verso la Bosnia Erzegovina portando un ampio numero di attori del territorio ad intervenire in aiuto delle popolazioni colpite dal conflitto, oggi di tutto questo, oltre che dei tragici fatti determinati dalla guerra, si sta progressivamente perdendo memoria. La commemorazione del 9 novembre sarà dunque il momento per interrogarsi sui percorsi di cooperazione e di solidarietà internazionali intrapresi dalla comunità internazionale e dalla Toscana nella convinzione di gran parte degli attori coinvolti che la vera pacificazione della Bosnia Erzegovina possa essere cercata attraverso l’impegno politico delle istituzioni internazionali ed attraverso il comune percorso di integrazione nell’Unione Europea. Si aprirà domani, giovedì 7 novembre, con un incontro dedicato all’Afghanistan presentato dalla giornalista polacca Monika Bulaj e dal giornalista Emanuele Giordana la programmazione culturale della caffetteria della Biblioteca delle Oblate di Firenze (via dell’Oriuolo, 26), a cura di Cooperativa Archeologia e NEM – Nuovi Eventi Musicali; in cartellone, per il mese di novembre, vari eventi dedicati all’approfondimento, tra teatro, musica, libri, fotografia.

Nell’appuntamento di giovedì, alle ore 21 in caffetteria, si terrà l’incontro di presentazione di ‘Nur. Un altro Aghanistan’ (evento in collaborazione con l’Angolo dell’avventura di Firenze). È il racconto di un viaggio fotografico, fatto in solitaria nella terra degli afghani, ‘dividendo il cibo, il sonno, la fatica, la fame, il freddo, i sussurri, il riso, la paura; postandosi con bus, taxi, cavalli, camion, a dorso di yak’, dice la Bulaj. Dal confine iraniano a quello cinese sulle nevi del Wakhan, un report fatto armati solo di un taccuino e di una macchina fotografica Leica, da cui emerge un Islam tollerante che lì come in Bosnia l’Occidente si ostina a ignorare.

‘La culla del sufismo, un mondo odiato dai Taliban e minacciato dal nostro schema dello scontro bipolare. Un Paese nudo e minerale, dove un albero ha una maestà senza eguali e l’individuo non ha spazio per l’arroganza’, conclude la Bulaj. A coordinare l’incontro ci sarà il giornalista Emanuele Giordana (Lettera 22). ALTRI APPUNTAMENTI DEL MESE:

La programmazione culturale poseguirà martedì 12 novembre, alle ore 20.00, con lo spettacolo teatrale ‘La bicicletta di Bashir’, che racconterà la storia del poeta Bashir, rifugiato afghano che ha vissuto a Volterra con altri rifugiati provenienti da vari paesi, in fuga da guerre, oppressioni, persecuzioni.

La storia attraversa l’occupazione russa, l’arrivo dei talebani e la fuga in Europa: i versi di Bashir saranno intervallati dalla musica dal vivo di Marzio Del Testa. Il terzo appuntamento, giovedì 26 novembre, alle ore 21, sarà con la presentazione di ‘Una vita da dissidente’, racconto di Win Tim, braccio destro di Aung San Suu Kyi e cofondatore della Lega Nazionale per la Democrazia, grande voce della resistenza contro la giunta militare al potere in Birmania (evento in collaborazione con l’Angolo dell’Avventura di Firenze).

L’incontro, che sarà presentato da Cecilia Brighi (referente italiano del Consiglio dell'Unione birmana), racconta la storia di Win Tin, che, malgrado l’oppressione del regime, si è sempre battuto per la democrazia con le armi dell’intelletto e della scrittura, dapprima come giornalista e poi come attivista politico, subendo una lunga prigionia per propaganda antigovernativa. All’indomani della liberazione, ha continuato la sua lotta raccontando in questo libro-testimonianza la dura esperienza di prigioniero politico nel carcere di Insein, tristemente noto per le disumane condizioni di detenzione.

7000 giorni, diciannove anni della sua vita (dodici dei quali di isolamento), descritti in tutta la loro crudezza, nella speranza che conoscere la verità possa aiutare le persone a capire le sofferenze, di quanti si battono per la democrazia in Birmania.

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