A Nove Da Firenze l'avvocato Roberto Visciola risponde ai lettori

Da oggi ospitiamo la rubrica di un giovane avvocato fiorentino che sarà a disposizione dei nostri lettori per risolvere quesiti, dissipare dubbi o semplicemente per conoscere tutto ciò che occorre sapere in tema di diritto

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
05 settembre 2013 16:13
A Nove Da Firenze l'avvocato Roberto Visciola risponde ai lettori

Da oggi ospitiamo la rubrica di un giovane avvocato fiorentino che sarà a disposizione dei nostri lettori per risolvere quesiti, dissipare dubbi o semplicemente per conoscere tutto ciò che occorre sapere in tema di diritto L'avvocato Roberto Visciola affronterà inoltre alcuni argomenti di pubblico interesse in tema di diritti e doveri del cittadino, aiutandoci così a comprendere quegli aspetti del vivere quotidiano che spesso affondano le radici nella tanto temuta burocrazia.

Per inviare i vostri quesiti scrivete a: nove@nove.firenze.it MEDIAZIONE – FACCIAMO CHIAREZZA Si sente tanto parlare di mediazione, più precisamente dal 4 marzo 2010, data in cui, a mezzo del d.lgs. n. 28, fu introdotta a livello generalizzato la mediazione finalizzata alla conciliazione. Mediazione, questa, che non va confusa con quella svolta dalle agenzie immobiliari e riguardante compravendite o locazioni di immobili: qui il mediatore interviene tra le parti non per vendere, comprare o affittare un immobile, bensì per risolvere una controversia. Quando due o più persone entrano in lite, solitamente si affidano a un avvocato al fine di definire la situazione.

In tali casi, normalmente, o le parti raggiungono un accordo tra loro o sono costrette ad adire le vie legali attraverso l’attivazione di una causa. La mediazione, introdotta dalla recente normativa di cui sopra, altro non è se non una strada intermedia tra l’accordo puro e semplice e la causa, in quanto, grazie all’intervento di un soggetto terzo e neutrale quale il mediatore (e, al tempo stesso, alla buona volontà sia degli avvocati coinvolti che dei rispettivi clienti) si potrà definire la questione conciliando le parti ed evitando i tempi lunghi che comporterebbe un processo. Niente di così semplice e così complicato al tempo stesso.

Il problema, invero, sta nel fatto che non tutte le controversie possono essere conciliate, sia per motivi oggettivi, che soggettivi: oggettivi, in quanto possono essere oggetto di conciliazione solo le controversie civili e commerciali relative a diritti disponibili; soggettivi, in quanto la possibilità di conciliare varia da caso a caso, a seconda di quelli che sono gli interessi concretamente coinvolti e di quella che è la disponibilità delle parti a un’eventuale conciliazione. Certo è che sulla mediazione finalizzata alla conciliazione, dal 2010 ad oggi, è stata fatta molta confusione, specie per quanto riguarda la previsione della obbligatorietà della stessa: in certe materie precipuamente individuate dal legislatore la mediazione costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale, nel senso che occorre tentare la strada della mediazione prima di procedere (nel caso di insuccesso della stessa) a mezzo di un’ordinaria causa. Orbene, fin già dalla sua introduzione a mezzo del sovra citato decreto n.

28/2010, si è assistito, da un lato, a proclami trionfalistici da parte di chi ravvisava nell’istituto la panacea di tutti i mali, in grado di risolvere, grazie ai suoi presunti effetti deflattivi del contenzioso, ogni problema (sia della giustizia italiana, sempre più lenta, sia delle parti in lite) e, dall’altro, a ondate di proteste, sfociate finanche in ricorsi dinnanzi alle massime autorità giudiziarie, al fine di eliminarne la previsione della obbligatorietà. Come spesso accade, la ragione sta nel mezzo.

Da un lato, vi è stata una netta sopravvalutazione dell’istituto, che non può, da solo, risolvere tutti i mali della giustizia italiana, né, tantomeno, risolvere qualsivoglia controversia. Dall’altro, è indubbio che la disciplina originaria fosse stata mal formulata e non a caso vi è stato l’intervento della Corte Costituzionale che, con sentenza n. 272/2012, ha sancito l’incostituzionalità del decreto in oggetto, nella parte in cui ha previsto l’obbligatorietà della mediazione, ravvisando un eccesso di delega; tuttavia, l’obbligatorietà è stata ripristinata a mezzo del recentissimo c.d.

“decreto del fare” (D.L. n. 69/2013, convertito in L. n. 98/2013), in quanto si è ritenuto che solo attraverso la previsione – in verità un po’ forzata – della obbligatorietà si potesse dar modo all’istituto di esplicare i suoi effetti. Effetti che, allo stato attuale, sono ancora limitati: ben poche sono le cause che sono state conciliate, anche perché ben poche sono state le occasioni in cui le parti (assistite dai loro avvocati) si sono presentate dinnanzi al mediatore con l’effettiva volontà di conciliare. Il vero ostacolo all’efficacia dell’istituto consiste nel fatto che in Italia deve ancora diffondersi una cultura della mediazione, venendo privilegiata la cultura del conflitto.

Se solo si provasse a volte ad abbandonare la netta dicotomia tra ragione e torto e si provasse a collaborare, ripristinando un dialogo tra le parti in lite, si potrebbero conseguire risultati vantaggiosi per tutti. L’importante è saper distinguere quali sono le cause che possono esser conciliate e quali invece non lo sono. Decisivo, a tali fini, è il ruolo dell’avvocato, chiamato – laddove ne sussistano i presupposti – a invitare il cliente a evitare di andare in causa, consigliando la via della mediazione e tentando di realizzare un mutamento nello spirito delle parti, da combattivo a collaborativo. Un avvocato, dunque, non certo fomentatore di conflitti, ma al contrario elemento di stimolo per le parti alla mediazione.

Del resto, come ben dimostrato nei sistemi di matrice anglosassone, nei quali è assai diffusa la cultura della mediazione, è proprio quella dell’avvocato la categoria professionale maggiormente coinvolta in tale sede. Qualche elemento, in tal senso, è già presente nella disciplina italiana, in particolare ove si consideri l’informazione che l’avvocato è tenuto a dare al cliente fin già dal momento del conferimento dell’incarico circa la possibilità di risolvere la controversia a mezzo della mediazione, come del resto precisato dall’articolo 40 del codice deontologico forense (delibera del Consiglio nazionale forense del 17 aprile 1997). Non ci dobbiamo però attendere risultati immediati: negli stessi Stati di common law, la diffusione dei metodi alternativi di risoluzione delle controversie, quale risposta al congestionamento del sistema giudiziario, è stata lenta e progressiva. Per ora, in Italia, è ancora alto lo scetticismo sulla materia e tanti sono i dibattiti sull’efficacia dell’istituto: ma, come spesso si suol dire, l’importante non è che se ne parli bene o male, ma che se ne parli. Avv.

Roberto Visciola

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