Corte conferma legge Toscana: parenti partecipano alle rette RSA

Si è discussa la questione di legittimità costituzionale della legge regionale toscana n. 66/2008 in materia di Fondo per la non autosufficienza. Il commento di Aduc

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
03 gennaio 2013 15:05
Corte conferma legge Toscana: parenti partecipano alle rette RSA

Il 23 Ottobre 2012 si è svolta l'udienza di fronte alla Corte Costituzionale, dove si è discussa la questione di legittimità costituzionale della legge regionale toscana n. 66/2008 in materia di Fondo per la non autosufficienza, sollevata dal Tar Toscana nell'ambito di un giudizio promosso da un cittadino disabile, malato di SLA. La sentenza, n. 296/2012 è stata depositata lo scorso 19 dicembre. Il caso che ha dato origine al contenzioso, uno fra i tanti portati a Tribunale toscano, si basa sulla richiesta economica delle istituzioni al parente del ricoverato in Rsa – richiesta fondata, appunto, sull'art.

14 comma 2 della legge citata. Ad avviso del Tar toscana, ciò contrasta con il dettato di cui all'art. 3 comma 2 ter del Decreto Isee (D.lgs 109/98), dove invece tale partecipazione al costo delle rette di parte sociale è esclusa, e per questo solleva il conflitto fra le norme. Conflitto che ha trovato risoluzione nella prevalenza del dettato regionale su quello statale. "La pronuncia si pone, a nostro avviso - dichiara come Claudia Moretti, legale Aduc - un vero colpo di spugna sull'intero corpus normativo in materia di assistenza sociale, che viene ricostruito come inattuato e inutilizzabile, declassato a mera beneficenza. In sintesi ecco gli assunti della Corte: 1.

La norma regionale toscana (come quella di altre regioni corse ai ripari negli ultimi anni di giurisprudenza a loro contraria) non contrasta col principio contenuto nel Decreto Isee - quello dell'evidenziazione del reddito del solo assistito nei casi di percorsi residenziali e semiresidenziali per anziani ultrasessantacinquenni non autosufficienti e per i portatori di handidcap grave); 2. manca, infatti, l'emanazione del DPCM che avrebbe dovuto chiarire modalità e tipologie esatte di prestazioni cui la norma di mero principio fa riferimento; 3.

detto DPCM avrebbe dovuto non solo chiarire e coordinare le finalità indicate dalla norma (evidenziazione sì del reddito del solo assistito, ma anche favorire la domiciliarità della prestazione) 4. che, comunque, non è scontato che il principio in questione possa esser considerato di per sé un c.d. LIVEAS (un livello essenziale delle prestazioni sociali) e come tale, imponibile alle amministrazioni italiane tutte, su tutto il territorio nazionale, in qualsiasi regione; 5. senza una specifica normativa sui Liveas (la legge 328/2000 che è rimasta inattuata) non c'è modo di verificare se le prestazioni erogate ai soggetti indicati rientrino o meno nel suddetto principio della sola evidenziazione del reddito dei medesimi. 6.

Di tal ché, e fintanto che perdura l'inattuazione, le Regioni ben fanno ad organizzarsi per rendere il servizio a più soggetti possibili, con il contributo dei parenti e in modo finanziariamente sostenibile; 7. Le leggi in materia di diritti sociali (328/2000), sono per lo più lettera morta, perché inattuate e comunque superate dalla riforma del titolo quinto della Costituzione che trasforma e amplia la competenza regionale in materia. 8. Con legge 214/2011, anche il legislatore nazionale è corso ai ripari: è in cantiere un nuovo Decreto ISEE che tenga conto dei redditi esenti nel calcolo dell'Isee e dei redditi dei familiari, anche per le situazioni di anzianità e disabilità. La sentenza non può che rammaricarci: abbiamo perso in un sol colpo non solo i diritti sociali (desueti, pare), ma anche il diritto alle cure e alle terapie nei casi di disabilità grave, di non autosufficienza, e tutto il sociosanitario che pare, con questa sentenza, esser declassato a beneficenza. Non ci stupisce però: in tempo di vacche magre prevale la ragion di Stato".

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