Nullità matrimoni, non conta il tempo trascorso ma lo spirito di coppia

Riaperta la possibilità per le 3000 coppie che ogni anno chiedono la nullità ai Tribunali Ecclesiastici di ottenere il riconoscimento anche nella Repubblica Italiana. Una coppia di Massa Carrara apre nuovi orizzonti sul tema

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
28 febbraio 2012 15:14
Nullità matrimoni, non conta il tempo trascorso ma lo spirito di coppia

La Corte di Cassazione ribalta le precedenti sentenze che avevano stabilito che le decisioni dei Tribunali ecclesiastici di nullità del matrimonio non potevano essere riconosciute nella Repubblica Italiana quando il matrimonio fosse durato più di un anno o comunque un tempo considerevole. Non sono, invece, né il tempo né la convivenza a sancire la validità definitiva o meno di un matrimonio, ma lo spirito con cui viene vissuto. A sancirlo è stata la prima sezione civile della Corte suprema di Cassazione.

Una decisione che influirà fortemente sul futuro delle circa 3000 coppie che ogni anno chiedono di vedere annullato il matrimonio contratto in Chiesa. La Corte contraddice, o meglio interpreta in senso favorevole al riconoscimento delle sentenze di nullità matrimoniali dichiarate dai Tribunali della Chiesa, altre due sentenze, l’una della Cassazione a Sezioni unite del 2008 (n.19809) e l’altra della sezione unica del 2011 (n.1343): sancivano che la convivenza tra i coniugi prolungata per più di un anno, è da considerare espressiva della volontà di accettazione del matrimonio.

Di conseguenza anche se il Tribunale ecclesiastico annullava il vincolo matrimoniale, il Giudice Italiano non poteva riconoscere tale scelta: la decisione ecclesiastica, dicevano i giudici, è incompatibile con l’ordine pubblico italiano per effetto della lunga convivenza protrattasi tra i coniugi dopo la celebrazione del matrimonio. Dal 2008 a oggi dunque numerose coppie che avevano chiesto la nullità si potevano veder negato dal Giudice italiano il riconoscimento della cancellazione del matrimonio ottenuta dal Tribunale ecclesiastico con la conseguenza, ad esempio, che l'eventuale assegno di divorzio non veniva spazzato via.

Infatti, in generale, con il riconoscimento della nullità canonica nella Repubblica Italiana viene eliminato l'assegno di separazione (o divorzio) stabilito dal Giudice civile italiano. Ma la nuova sentenza della Cassazione (n.1780 dell’8 febbraio 2012) ribalta la situazione. Il caso specifico riguarda una coppia di Massa Carrara che ha vissuto un lungo e travagliato fidanzamento, spesso interrotto con altre storie sentimentali vissute dall’uomo. È lui stesso a raccontare, nella memoria difensiva curata dall’avvocato del foro ecclesiastico Alfio Alessio Franzoni, di essere stato indotto al matrimonio dalle insistenze della madre e della fidanzata, ma di aver subito chiarito di voler continuare a vivere in maniera ‘libera’ e che, nel caso le cose non fossero andate bene, di voler ricorrere al divorzio.

Nonostante queste premesse, la donna decise comunque di sposarlo. Il matrimonio (da cui è nata una figlia) è stato contraddistinto da numerose avventure extraconiugali del marito, conosciute e accettate dalla consorte. É stata proprio lei a 15 anni dal giorno delle nozze a chiedere la separazione, con conseguente assegno di mantenimento per la moglie a carico del marito, dapprima addossandone la colpa alle ‘scappatelle’ dell’uomo, poi in modo consensuale. Nelle more della separazione, l’uomo introdusse richiesta di nullità matrimoniale al competente Tribunale Ecclesiastico, ottenendola nel 2007: il matrimonio concordatario è nullo, quindi delibabile.

Di conseguenza la Corte d’Appello di Genova, contraria la donna, dichiarava efficace in Italia la nullità pronunziata dai Tribunali Ecclesiastici. Ma la signora si oppose al riconoscimento, ricorrendo in Cassazione, della nullità matrimoniale, e quindi alla perdita del diritto all'assegno di mantenimento, appellandosi proprio alle due sentenze del 2008 e 2011 che impedivano tale riconoscimento in forza della prolungata coabitazione. Ma anche in questo caso – e ora in maniera definitiva – viene dato torto alla signora: avrebbe dovuto dimostrare che la convivenza, scrivono i giudici, deve essere “significativa di un’instaurata affectio familiae” tale da “dimostrare l’instaurazione di un matrimonio-rapporto duraturo e radicato, nonostante il vizio genetico del matrimonio-atto” non essendo sufficiente coabitare o dormire sotto lo stesso tetto per dimostrare che si sta vivendo appieno il senso del matrimonio: ci vuole un sentimento, un legame vero, il rispetto dei diritti e degli obblighi reciproci.

“Con tale motivazione - precisa l'avvocato Iacopo Tozzi, uno dei legali dell'uomo - non solo é stato mutato il precedente orientamento, ma si é addirittura ampliata la possibilità di far riconoscere le sentenze ecclesiastiche di nullità in piena aderenza dello spirito del Concordato che stabilisce che il mancato riconoscimento deve rappresentare l'eccezione. Con i precedenti orientamenti, invece, si era verificato proprio il contrario e ciò é contrastante con lo spirito delle norme che disciplinano i rapporti tra la Repubblica Italiana e la Chiesa”.

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