La Toscana perde 3.6 miliardi: la manovra rischia di 'mangiarsi' l’export

Già quest’anno la Toscana potrebbe dover contare su 187 milioni in meno da spendere, investimenti compresi, che diverranno 190 in meno nel 2012, 1 miliardo e 56 milioni nel 2013 e 1 miliardo e 717 milioni nel 2014

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
20 luglio 2011 18:08
La Toscana perde 3.6 miliardi: la manovra rischia di 'mangiarsi' l’export

Firenze – La manovra appena varata dal governo e licenziata dal Parlamento diminuisce i trasferimenti agli enti locali: un taglio che si somma alla sforbiciata già pesante della manovra di qualche mese fa. Già quest’anno la Toscana nel suo complesso – Regione, Province e Comuni – potrebbe così dover contare su 187 milioni in meno da spendere, investimenti compresi, che diverranno 190 in meno nel 2012, 1 miliardo e 56 milioni nel 2013 e 1 miliardo e 717 milioni nel 2014. A questi andranno aggiunte le maggiori tasse che i toscani, sempre in conseguenza della manovra appena varata, saranno costretti a pagare e che non necessariamente resteranno nelle casse degli enti toscani.

Sono 123 milioni in più, tra imposte dirette e indirette, già quest’anno, che saliranno a 428 milioni l’anno prossimo, 887 nel 2013 e 1 miliardo e 935 milioni nel 2014. Il saldo tra tre anni, sommando gli uni e gli altri, è di 3 miliardi e 600 milioni che la Toscana rischia di perdere. Certo, al momento sono solo stime. Ancora non c’è troppa chiarezza su come i tagli previsti dalla manovra del governo saranno spalmati sulle diverse regioni. Ma lo scenario, insostenibile, potrebbe essere questo.

Con ulteriori conseguenze sull’occupazione e sullo sviluppo. La Toscana cresce infatti principalmente grazie all’export, in questi anni. Le previsioin indicano un aumento medio delle esportazioni del 10 per cento, che per la Toscana significa 3,3 miliardi di euro in più ogni anno. Ma la manovra appena varata rischia di dimezzare nel 2013 la crescita attesa e mangiarsela tutta praticamente nel 2014. Gli effetti sarebbero infatti di una diminuzione di 223 milioni sul Pil nel 2011, 389 nel 2012, 1 miliardo e 734 milioni nel 2013 e 3 miliardi e 364 milioni nel 2014. Ultimo capitolo: l’occupazione.

La manovra avrà infatti effetti negativi sul valore aggiunto regionale, soprattutto nel 2014, e questo in termini di posti di lavoro, secondo i calcoli dell’Irpet, l’istituto regionale di programmazione economica, significa 27 mila unità in meno nel 2013 e fino a 51 mila in meno nel 2014. Senza considerare la frenata sui consumi. Se le famiglie toscane, soprattutto quelle più povere, avranno meno soldi da spendere perché più tassate o perchè qualcuno perderà il posto di lavoro, spenderanno anche meno, il che avrà una ricaduta sulla domanda interna e rallenterà a sua volta, ulteriormente, la possibile crescita economica.

Un serpente, insomma, che morde la coda. Di numeri e versioni ne sono girate parecchie in queste settimane. Alla fine l’esito netto è che per raggiungere il pareggio di bilancio entro il 2014 occorrono circa 48 miliardi di saldi (2,3 punti di Pil) rispetto alla previsione iniziale di 25 miliardi. Gli interventi previsti dal Governo produrranno risultati rilevanti solo dal 2013 in poi (prima il saldo è zero) e, per più di un terzo, sono affidati a una delega fiscale il cui contenuto è tutt’altro che definito, in assenza della quale scatta comunque un “clausola di salvaguardia” per reperire risorse da una fonte sicura: la riduzione lineare uguale per tutti, il 5% nel 2013 e il 20% nel 2014, delle detrazioni su imponibile Irpef e Irap.

Questo graverà soprattutto sulle fasce deboli, perché chi ha stipendi medio-alti non ha detrazioni o molto poche. Con questo meccanismo sarebbero tagliati di un quinto, nel 2014, le detrazioni sugli interessi sul mutuo per la casa ad esempio, lo sconto fiscale sulle spese mediche, le spese per l’istruzione o i figli a carico. Gli effetti toccheranno anche la casa. Il taglio delle detrazioni rintroduce infatti l’Irpef sull’abitazione principale, oggi esente: da pagare non sull’intera rendita ma sul 20 per cento, sempre a partire dal 2014.

Il che per un appartamento di 80 metri quadri e una rendita di mille euro vuol dire dai cinquanta ai novanta euro l’anno, a seconda del reddito. Meno spese Fra i tagli di spesa, la parte del leone della manovra consiste nel taglio ai: - trasferimenti a Regioni, Province e Comuni (7,4 miliardi); - alla spesa sanitaria (7,5 miliardi), gestita dalle Regioni; - ai Ministeri che, a regime, dovrebbero raggiungere i 9,5 mdl; - le pensioni contribuiscono con circa 2,8 miliardi ma, alla luce del ritocco dell’indicizzazione solo per le pensioni con più di 2300 euro mensili, il contributo netto dovrebbe essere inferiore. Soprattutto più tasse Le maggiori entrate provengono invece: - dalle imposte regressive, come l’imposta sui depositi titoli (che raggiungerà fino a 3 miliardi e mezzo); - dalle tasse sui giochi (750 milioni), praticati soprattutto da persone con redditi medio-bassi; - dalla maggiorazioni all’Irap su banche e assicurazioni (quasi 1 miliardo di gettito nel 2012) con una logica incoerente rispetto alla necessità di sostenere la capitalizzazione degli istituti di credito; - dalla delega fiscale che dovrà reperire 15 miliardi in aggiunta a quelli necessari per finanziare la rimodulazione delle aliquote Irpef che deve avvenire, secondo quanto sostenuto dal Governo, senza peggiorare la posizione di alcun contribuente. Niente sviluppo Nella manovra del governo mancano inoltre misure significative per lo sviluppo.

C’era una liberalizzazione degli ordini professionali. Ma poi è saltata. E’ rimasto solo l’imposta sostitutiva di Irpef e Irap del 5% per chi apre un impresa con meno di 35 anni. Ma in Italia, dicono gli esperti, più che gli avviamenti il problema è far crescere le imprese: i tassi di natalità sono infatti più o meno in linea con gli altri paesi Ocse. Per far crescere le imprese sarebbe fondamentale affrontare temi come l’accesso al credito, gli strumenti per la crescita delle dimensioni delle aziende, per l’innovazione e l’internazionalizzazione.

Ma di questo non c’è traccia. Non si parla neppure di privatizzazioni, né di diminuire la tassazione sul lavoro o alle imprese, che in Italia sono già alti (la prima come la seconda).

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