Al lavoro per una legge regionale sull’economia solidale

Legambiente: “Importante riconoscere giuridicamente i profughi ambientali come rifugiati”. La Provincia presenta un Chianti Waste-less

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
21 maggio 2011 22:09
Al lavoro per una legge regionale sull’economia solidale

FIRENZE– Una legge regionale che possa sostenere le realtà sempre più diffuse della cosiddetta “economia solidale”, a partire dai gruppi di acquisto solidale e popolare e dalle altre forme di autorganizzazione dei consumatori. E’ questa l’ipotesi su cui lavorerà il governo regionale, in un percorso partecipato fin dalle sue prime battute, per individuare il miglior modo per condividere buone pratiche e mettere in rete esperienze sempre più significative sia per l’economia che per le relazioni sociali.

Questo quanto ha annunciato questa mattina l’assessore alle politiche sociali Salvatore Allocca nell’ambito di un convegno sull’economia solidale che si è tenuto a Terra Futura. “L’economia solidale – ha sottolineato l’assessore – si sta dimostrando una realtà sempre più importante sia per rispondere alla crisi economica, consentendo a cittadini di beneficiare di prodotti di qualità a prezzi più accessibili, sia per soddisfare un diffuso bisogno di socialit&ag rave;.

E’ una realtà in crescita in Toscana con diverse province che ormai hanno registrato la nascita di veri e propri Distretti di economia solidale che richiamano un diveso modello di sviluppo. Si tratta di esperienze che si incrociano con importanti settori di un’economia innovativa e sostenibile, dall’agricoltura imperniata sulla filiera corta alla green economy. Ritengo che sia importante individuare strumenti per sostenerla, senza ovviamente snaturarne i valori di autonomia e di partecipazione dal basso che la ispirano.

Per questo da oggi cominciamo un percorso di confronto e riflessione partecipata assieme a tutti i soggetti interessati”. Finora in Italia solo due regioni, l’Umbria e il Lazio, si sono dotate di strumenti legislativi, anche se limitati al sostegno ai gruppi di acquisto. “La nostra idea – sottolinea Allocca – sarebbe quella di puntare a una legge di più ampio respiro, capace di abbracciar e tutta la realtà dell’economia solidale”. Un territorio con meno rifiuti: è quello che è stato presentato questa mattina nel corso del convegno “Meno rifiuti: esperienze a confronto”, introdotto dall’Assessore all’Ambiente della Provincia di Firenze Renzo Crescioli e al quale hanno partecipato i Sindaci dei Comuni del Chianti, Orsola Bolognani di Ambiente Italia, il deputato e Presidente della Fondazione Symbola Ermete Realacci e molti altri relatori.

Il progetto presentato da Palazzo Medici Riccardi è “Chianti Waste-less”, promosso da Provincia di Firenze e Life+. Grazie alle molte azioni combinate di “Chianti Waste-less” si prevede di raggiungere entro la fine del 2013 la riduzione di 100 chili di rifiuti per abitante all’anno. La situazione attuale del territorio chiantigiano vede una produzione pro capite di 611 kg all’anno ed una percentuale di differenziata pari al 40,5%. Oltre ad una serie di campagne di comunicazione, “Chianti Waste-less” prevede anche il coinvolgimento attivo di larghe fette della società e di soggetti istituzionali: enti, scuole pubbliche, negozi, bar e ristoranti.

Inoltre si procederà ad iniziative quali la promozione di soluzioni in grado di ridurre effettivamente il carico di rifiuti: dai fontanelli pubblici, all’incentivazione dell’uso di pannolini lavabili e ai mercati di seconda mano. A Terra Futura la Provincia porta anche i tanti progetti sulla cooperazione internazionale riuniti nel tema "Africa, visioni di un futuro comune". Proseguono domani - domenica ultimo giorno - a "Terra Futura" gli eventi di "recuperiamoci!" il network solidale - e da settembre 2010 associazione no profit con sede a Prato - delle esperienze lavorative esistenti dentro il “pianeta carcere”.

Una rete di esperienze su cui si è fatto il punto sabato alla tavola rotonda coordinata da Pietro Raitano, direttore Altreconomia e curatore del libro “Il mestiere della Libertà” a cui sono intervenuti Paolo Massenzi presidente associazione “recuperiamoci!” di Prato, Salvatore Rigione funzionario amministrazione penitenziaria, Carmine Torchia, progettista, Daniele Steccanella, coop. IT2 Bologna progetto “R.a.a.e. In carcere”, Claudio Bonfanti, presidente associazione Amici di Aretè Bergamo, Emore Rubini, responsabile attività formative Bologna esec.penale C.e.f.a.l, Luciano Giusti educatore Dipartimento Salute Mentale Asl, 4 di Prato.

"In Italia su un totale di circa 70mila detenuti - ha esordito Raitano - sono 14mila quelli che attualmente lavorano e di questi solo 2000 sono impiegati in realtà cooperative". Realtà che Paolo Massenzi con il progetto "Rete &conomia Carceraria (R&C)" sta cercando di far interagire per creare una vera e propria rete dell'economia carceraria. Nel suo "Jail tour" ha censito 112 realtà produttive carcerarie, 470 prodotti di ogni tipo dall'abbigliamento ai generi alimentari ai mobili. Attualmente la Rete &conomia Carceraria comprende 5 progetti in fase di avvio, con 10 cooperative coinvolte, rappresenta una potenzialità lavorativa per 30 detenuti ed entro 36 mesi lo sarà per un totale di 200.

Sono fino a ora 10 le direzioni di carceri che si sono dimostrate sensibili e disponibili. Obiettivo comune, emerso da tutti gli interventi: "fare impresa uscendo dalla logica dell'assistenzialismo con formazione mirata e sul campo, e potenziare per adesso le realtà che già ci sono". Solo nel 2010 sono state 40 milioni le persone costrette a lasciare le proprie terre a causa dei cambiamenti climatici. E’ questo l’allarme lanciato da Legambiente che, nel corso di Terra Futura, la mostra-convegno sulle buone pratiche a Firenze fino al 22 maggio, ha presentato il dossier “Profughi ambientali: Cambiamento climatico e migrazioni forzate”.

Secondo il dossier, se fino a qualche anno fa erano le guerre la causa principale delle emigrazioni di massa, oggi gli eventi metereologici estremi causati dal surriscaldamento del Pianeta rappresentano il fattore in assoluto predominante. Basta pensare che nel 2008 ben 20 milioni di persone sono state costrette a spostarsi temporaneamente o definitivamente in seguito ad alluvioni, desertificazione e fenomeni atmosferici estremi, contro i 4,6 milioni di profughi creati da guerre e violenze. Un fenomeno dai tratti inquietanti se si considera che, secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e l’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni, entro il 2050 si arriverà a 200, forse addirittura a 250 milioni di rifugiati ambientali con una media di 6 milioni di persone all’anno.

Ma secondo lo studio di Legambiente a pagare già oggi le conseguenze di tsunami, desertificazione, alluvioni e eventi metereologici eccezionali sono i popoli del Sud del mondo dove ben l’80% non può permettersi di fuggire. La conferma arriva anche dallo UNDP secondo cui dei 262 milioni di persone colpite da disastri climatici tra il 2000 e il 2004 ben il 98% viveva in un paese in via di sviluppo. Ma oltre alla correlazione tra impatti ambientali e povertà, quello che emerge dal dossier è che a pagare le conseguenze dei danni provocati dai mutamenti climatici è in primo luogo il genere femminile.

Le donne, infatti, sono le prime vittime dei disastri ambientali con un rapporto di 3 a 1 rispetto agli uomini per la loro posizione di svantaggio sociale rispetto al genere maschile nelle aree povere del mondo. Lo dimostra anche uno studio della London School of Economics, secondo cui su un campione di 141 paesi presi in considerazione dal 1981 al 2002 si è constatato che i disastri naturali uccidono più donne che uomini o donne in età più precoce rispetto agli uomini. “Gli effetti dei cambiamenti climatici sono già una drammatica realtà in molti Paesi che pagano un prezzo alto in vittime e sfollati– ha dichiarato Maurizio Gubbiotti, coordinatore della segreteria nazionale di Legambiente -.

Non si può pensare di intervenire solo in modo emergenziale sugli eventi catastrofici, è necessario, invece, affrontare l’emergenza climatica e umanitaria, partendo da efficaci politiche di cooperazione internazionale. In questo senso il primo importante passo da compiere è l’immediato riconoscimento giuridico dei profughi ambientali, ad oggi ancora non riconosciuti come ‘rifugiati’ dalla Convenzione di Ginevra del 1951, né dal suo Protocollo supplementare del 1967” . Per ripercorrere gli eventi del 2010 che hanno determinato lo spostamento di 40mila persone a causa dei mutamenti climatici bisogna partire dalla Thailandia, dove a causa delle inondazioni dello scorso ottobre quasi 7 milioni di persone si sono ritrovate senza casa, senza infrastrutture e senza mezzi di sussistenza.

In Pakistan i numeri sono ancora più drammatici: le piogge e inondazioni di luglio hanno provocato 2mila morti e coinvolto 20 milioni di persone. In Cina i morti sono stati più di 3mila, oltre mille i dispersi, 200 milioni le persone colpite dagli effetti delle inondazioni, di cui almeno 15 milioni gli sfollati e evacuati in massa. Maltempo e inondazioni non hanno risparmiato nemmeno lo Sri Lanka con 27 morti e più di 1 milione di persone costrette a lasciare le proprie case. Anche il continente africano non è immune da questo tipo di rischi, esattamente come previsto negli studi Intergovernmental Panel on climate change (IPCC), l'istituzione delle Nazioni Unite incaricata di monitorare i cambiamenti climatici il 2010 è stato un anno nero per la Somalia , colpita da una micidiale ondata di siccità che ha provocato 431.000 rifugiati ambientali che hanno oltrepassato il confine e si sono spostati in Kenya e altri 300.000 rifugiati che, invece, si sono posizionati vicino alla frontiera kenyota.

Nel gennaio del 2011 l’Africa è nuovamente oggetto di cronaca: Botswana, Mozambico, Namibia, Zimbabwe, Zambia e Sud Africa hanno dovuto far fronte a pesanti piogge e inondazioni che hanno provocato più di 20 mila sfollati. In Sud America il caso eclatante è quello della Bolivia, dove persistenti piogge hanno provocato inondazioni, frane e smottamenti nella capitale La Paz , specialmente nei suoi quartieri più poveri, causando il crollo di 400 abitazioni e colpendo almeno 5.000 persone. Sempre nello stesso anno è il Brasile a esser colpito da violente piogge che inondano le aree attorno a Rio de Janeiro e causano più di 700 morti e 14.000 sfollati.

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