Andy Sheppard e soci omaggiano il jazz di Broadway

Allo Student Zone dei Murazzi, nell’ambito del TJF Fringe, il prestigioso quartetto riunito per l’occasione, che ha omaggiato gli standard del jazz degli anni d’oro. Nel ricordo del trombettista Marco Tamburini, scomparso venerdì, cui l’amico e collega Di Castri ha voluto dedicare la serata.

31 maggio 2015 11:00
Andy Sheppard e soci omaggiano il jazz di Broadway

TORINO - Il jazz è luce, donne eleganti, atmosfere soffuse, trasgressione, ordine e disordine, è un’ideale città sonora che si scopre puttana con un certo compiacimento, la stessa anima della New York fra gli anni Venti e gli anni Quaranta, la cui vita notturna si concentrava a Broadway, incastonata come un diamante fra l’Hudson e il Greenwich Village, una Broadway ormai tramontata, cui ha voluto rendere omaggio il saxofonista inglese Andy Sheppard, attorniato sul palcoscenico da Fabio Gorlier al pianoforte, Furio Di Castri al contrabbasso, e Mattia Barbieri alla batteria.

Un ensemble anglo-italiano, che ha deliziato il pubblico con un concerto di omaggio agli standard dei mostri sacri del jazz, da Gershwin a Porter, e che ha dimostrato la capacità del jazz di raccontare un determinato ambiente in un determinato periodo storico, anche ambiguo se vogliamo, come l’America della prima metà del secolo scorso, ma pulsante di vita e d’idee, che lo sforzo bellico in Europa contribuiva paradossalmente a elettrizzare.

La serata si è aperta con Rhapsody in Blue di Gershwin, con il dialogo fra la vibrante batteria di Barbieri e il dinamico sax di Sheppard, all’insegna delle sfavillanti luci di Broadway, e dietro al sax non è difficile scorgere una luna d’argento sospesa sui grattacieli. Il brano è avvolgente, giocato su una perfetta simbiosi sonora, nel più puro stile delle atmosfere di club, con brevi incursioni pianistiche nel music-hall.

Il concerto prosegue con un altro brano di Gershwin, It ain’t necessarily so, aperto da un vivace dialogo fra il contrabbasso e la batteria, su cui s’innesta il sax di Sheppard, svolazzante come una rondine su Central Park, un’atmosfera che evoca eleganti signore in tubino di seta, uomini in completi Brooks Brothers, conversazioni ammiccanti e calici di champagne. La New York di Scott-Fitzgerald, sentimentalmente impegnata, che non disdegnava le frivolezze mondane. In accordo a queste atmosfere, Sheppard e soci costruiscono un jazz rotondo e robusto, incentrato sull’armonia degli strumenti, e la particolare versatilità di Gorlier al pianoforte, che spazia dal music-hall all’hard-bop, e la piacevole batteria che fa largo uso delle percussioni.

L’America spensierata e scintillante del primo American Dream, che inneggia alla joie de vivre - come la Belle Époque aveva fatto a Parigi trent’anni prima -, e che Woody Allen ricorda ancora con nostalgia, in pellicole come Manhattan o Radio Days.

A confermare quest’idea di città ormai quasi scomparsa, la splendida Bess, You Is My Woman Now, ancora di Gershwin, aperta da uno struggente pianoforte di sapore schubertiano, un lungo assolo che evoca l’Hudson inargentato, su cui s’innesta il sognante sax di Sheppard. E un’impercettibile batteria suonata con le spatole. Un brano che idealmente esce da Broadaway e vagabonda per il Greenwcih Village, o fra le archietture dei Cloisters. Atmosfere che si ritrovano nelle pagine più ispirate di Faulkner, Bellow, Roth, Fitzgerald, fatte di pensosa virilità e decadenti pose à la Adam Patch.

Ma Andy Sheppard è un britannico gentleman del sax, che infonde a ogni brano una goccia di humour della sua terra, dall’aspro sapore di un Islay centenario. Una verve che si nota in particolare nell’unico bis della serata, la vivace jam session Broadway, che riassume il carattere della serata.

Un concerto che tira fuori l’anima newyorkese e la deposita delicatamente sulle rive del Po, un’anima con le sue storie di party scintillanti e di prostitute ai margini delle strade, di famiglie operaie e di magnati dell’industria, un’anima squallida e attraente insieme. Un concerto che ha toccato il suo probabile apice con Nice Work If You Can Get It, scritta da Gershwin e portata al successo, fra gli altri, da Billie Holliday. Un brano dal ritmo lento e introspettivo, che tocca corde introspettive, un pilastro nella storia della musica, per aver ispirato le atmosfere di She smiled sweetly, uno dei blues più toccanti del Rolling Stones.

Il sax tenore di Sheppard tiene una lunga nota di bordone, sostenuta dal pianoforte impegnato su un motivo a tre sole note, fino al climax in cui l’esplosione sui registri acuti e l’intensificarsi della batteria creano un orgasmo sonoro apparentabile, per intensità, al finale del Grande Gatsby. Come a dire che Broadway - e per estensione New York e qualsiasi città del mondo -, ha anche un’anima prosaica, non sempre necessariamente gentile, bensì fatta di compromessi, inganni,violenza, quel lato oscuro dell’American Dream, quando si spengono le luci e si resta soli con i propri guai.

Atmosfere ancora oggi attuali, a confermare l’universalità temporale della “musica del diavolo”.

Niccolò Lucarelli

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