Don Ciotti: «Che fine ha fatto la confisca dei beni dei corrotti?»

L'intervento del procuratore nazionale antimafia Piero Grasso: «La mafia ha paura del silenzio, noi bisogna parlare. I successi ci sono stati, ma ora è il momento di tagliare le relazioni»

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
10 dicembre 2009 19:42
Don Ciotti: «Che fine ha fatto la confisca dei beni dei corrotti?»

«Che fine ha fatto quella disposizione della finanziaria 2006 che prevedeva la confisca dei beni ai corrotti e l'uso sociale di questi beni? Non ne abbiamo saputo più nulla». È con questa domanda che Don Luigi Ciotti, presidente nazionale di Libera, ha concluso il suo intervento al Meeting sui diritti umani di Firenze, dopo aver affrontato le varie questioni che riguardano la battaglia per la legalità e contro la criminalità organizzata in Italia. Con la consapevolezza che certi silenzi non devono illudere e che la mafia oggi è diversa da quella che siamo abituati a considerare.

«Attenzione ad abbassare la guardia – ha ammonito – nei prossimi anni dovremo parlare di una quinta mafia, rappresentata dall'intreccio tra colletti bianchi, segmenti della politica, cosche, una mafia che non fa rumore, ma che fa affari». Ed è da tutto questo che si deve partire anche per parlare di possibilità di riconciliazione. «Non basta pentirsi, bisogna convertirsi. Non basta dire parole, bisogna restituire qualcosa alle comunità, rimettere in gioco la propria vita». E tutto questo rimanda anche a un impegno portato avanti in prima persona: «Impegno che è anche il miglior modo di fare memoria, facendo in modo che le idee e i sogni di chi non c'è più possano camminare sulle nostre gambe.

Non basta una giornata della memoria, ci vogliono 365 giorni di impegno. E non basta chiedere allo Stato, perché siamo chiamati tutti a fare la propria parte». Don Ciotti è ritornato anche sulla questione dei beni confiscati alla mafia, oggetto in questi giorni di un emendamento della Finanziaria. «La legge che ha permesso queste confische c'è ancora, può essere migliorata, ma non deve venire meno lo spirito che ha fatto in modo che i beni mafiosi fossero messi a disposizione delle comunità.

Il governo ora dice che ci sono 3 mila beni confiscati inutilizzati e quindi da mettere all'asta. Ma se andiamo a vedere quali sono questi beni, il 36% è sotto ipoteca bancaria, il 30% è occupato, mentre altri sono divisi in varie quote. Se c'è bisogno di un emendamento è per creare le condizioni per rendere disponibili questi beni». Ma legalità significa portate avanti progetti e valori nelle scuole. E per questo agli studenti del Palamandela Don Ciotti non ha mancato di ripetere, ancora una volta, le parole che Antonino Caponnetto, il magistrato fiorentino che costituì il pool antimafia di Palermo, pronunciò quando nacque Libera: «La mafia teme più la scuola che la giustizia.

L'istruzione taglia l'erba sotto i piedi della cultura mafiosa» «I successi ci sono stati, è indubbio, ma molto c'è ancora da fare, ci vuole qualcos'altro. Se la mafia fosse solo un fenomeno criminale, una questione di ordine pubblico, questa guerra l'avremmo già vinta. Ma la mafia vuol dire relazioni e non finirà solo arrestandone la parte militare. È necessario tagliare le relazioni con tutto il resto». È questo il concetto che il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso ha voluto sottolineare con forza, parlando agli studenti toscani riuniti al Mandela Forum per il Meeting sui diritti umani.

Cosa vuol dire riconciliazione nei territori di mafia? È a questa difficile domanda di Gad Lerner che il magistrato ha provato a rispondere, spiegando in primo luogo che la mafia è guerra e che il primo passo verso la riconciliazione è sapere da che parte st are e isolare i mafiosi, dicendo no alle collusioni, ai finanziamenti illeciti dei partiti, agli appalti comprati con le bustarelle o a colpi di lupara. E poi non dimenticare, opporre le parole al bisogno di silenzio e di omertà della criminalità organizzata.

«La mafia che uccide i giornalisti e i parroci è una mafia che ha paura di perdere il consenso, che teme le parole. Per questo noi bisogna parlare, ogni giorno di più». E questo è un impegno collettivo di cui ognuno è una parte importante. «Un impegno concreto – ha sottolineato ancora il procuratore, come quello dei giovani toscani che ogni anno d'estate trascorrono le loro vacanze a lavorare nei campi confiscati alla mafia, o come quello di chi ha raccolto fondi per comprare trattori per le terre liberate.

Ormai c'è una grande rete di giovani in tutta Italia». Una realtà grande e in crescita che, tra le altre cose, evidenzia quanto sia decisivo il ruolo della scuola. «La legalità fatta a scuola – ha concluso Grasso – serve anche a spingere gli adulti indifferenti o cinici. Perché questo è un fatto che riguarda tutti noi».

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