Teatro: La Pelle con Marco Baliani a San Casciano in Val di Pesa

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
10 dicembre 2008 18:35
Teatro: <I>La Pelle</I> con Marco Baliani a San Casciano in Val di Pesa

SAN CASCIANO IN VAL DI PESA- Napoli alla fine della guerra. Un passato non troppo remoto nel quale Marco Baliani trova la chiave di lettura per descrivere le fragilità del nostro presente, le debolezze, i conflitti, della condizione umana. “La pelle” di Curzio Malaparte, romanzo tra i più discussi della nostra letteratura, è lo spettacolo che il Teatro Niccolini ospiterà domani, giovedì 11 dicembre. Marco Baliani è l’interprete e il regista di questa messa in scena, proposta in occasione del cinquantesimo anniversario della morte di Curzio Malaparte.
“La pelle” è un testo che apparentemente sembra parlare di Napoli alla fine della guerra: una Napoli senza commedia, che viene percorsa con l’andamento dantesco dei gironi infernali, ma che in realtà usa il conflitto e le sue derive dannate per parlare della condizione umana, di quella crosta sottile e fragile che viene definita civiltà, e degli abissi che la abitano.

Al tempo stesso parla della vitalità, della capacità di adattamento e resistenza della specie umana, della lotta per sopravvivere. È uno spettacolo sul nostro mondo, sul nostro oggi.
“Mettere il dito dove non si dovrebbe – commenta Marco Baliani - toccare la sostanza nascosta delle cose, il dentro, l'oscura materia che oscenamente riempie l'involucro. Non solo dei corpi composti di carne, ma anche delle anime fatte di sentimenti e di emozioni. Eppure noi umani dedichiamo tutte le nostre energie per cercare di salvare l'involucro, la pelle, appunto.

Né potremmo fare altrimenti, poiché il fantoccio che noi siamo necessita prima di tutto di una forma. E questa forma è una pelle sottile, fragile, una protezione delicata che si regge e alimenta in una vicendevole complice attestazione di esistenza. Sono gli sguardi degli altri a permettere alle nostre forme-involucro di esistere. Questo non riguarda solo noi individui ma anche il nostro gruppo, le nostre tribù, la nostra appartenenza ad un corpo più grande, la città, il Paese, a volte la patria.

Questo nostro coesistere ha bisogno altrettanto di una pelle che lo contenga, che lo delimiti e lo rafforzi. Ma appena questo nostro guardarci perde forza e sostanza, non appena gli occhi si fanno affamati, o disperati o indifferenti, ecco che tutte le nostre impalcature crollano. Il corpo biologico si fa catastrofe, il corpo sociale precipita e la forma stessa del mondo perde consistenza. E' allora che si apre il baratro. La crosta sottile, quella pelle che noi chiamiamo civiltà rivela di colpo tutta l'oscurità ancestrale e viscerale che dall'inizio dei tempi pulsa là sotto e che quel fragile prezioso involucro teneva strenuamente sotto controllo.

La Pelle di Malaparte credo parli soprattutto di questo…”

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