Teatro della Villa Medicea di Poggio a Caiano: dopo due secoli la farsa in prosa con musica Il Conte Policronio, ovvero le bugie hanno le gambe corte

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
26 novembre 2007 17:20
Teatro della Villa Medicea di Poggio a Caiano: dopo due secoli la farsa in prosa con musica Il Conte Policronio, ovvero le bugie hanno le gambe corte

Al Teatro della Villa Medicea di Poggio a Caiano va in scena dopo due secoli, il 6 dicembre 2007 alle ore 21.00, la prima de Il Conte Policronio, Ovvero le bugie hanno le gambe corte, farsa in prosa con musica di Giuseppe Moneta. La produzione, promossa dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Poggio a Caiano in collaborazione con la Soprintendenza al Polo Museale Fiorentino e il Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, è diretta da Riccardo Cirri con i musicisti dell’orchesta del Maggio Musicale Fiorentino; la regia e le scene sono firmate da Franco Venturi e i costumi da Francesca Pipi.

Ad interpretare l’opera saranno Alessandro Luongo (Il Conte Policronio), Elena Cecchi e Gabriella Cecchi (Giulia), Anicio Zorzi Giustiniani (Silvio), Elena Bartolozzi (La Contessa Feliciana), Alessandro Calamai (Il Marchese Pillone), Simona Bottari (Donna Porzia) e Niccolò Ayroldi (Stoppino). L’opera sarà replicata sabato 8 e domenica 9 dicembre alle ore 21.00. La prima di giovedì 6 dicembre sarà preceduta da una conferenza, ore 17.00, su Il Conte Policronio e la figura del compositore Giuseppe Moneta, tenuta da Maria Luisa Pepi, Marcello De Angelis e Giovanni Vitali.
La messa in scena de Il Conte Policronio è stata possibile grazie all’eccezionale ritrovamento del libretto e delle musiche originali che hanno permesso per la prima volta di far luce su un’opera ritenuta fino ad oggi per molti aspetti misteriosa.
Il 18 settembre 1791, la Compagnia Comica Toscana di Pietro Andolfati rappresenta per la prima volta Il Conte Policronio davanti al Granduca Ferdinando III di Asburgo-Lorena e ai suoi nobili ospiti, nel teatro della Villa Medicea di Poggio a Caiano.

La rappresentazione ebbe un tale successo da esser replicata pochi giorni dopo a Firenze nel Teatro del Cocomero, l’odierno Niccolini, poi più nulla, di quest’opera si perdono le tracce per due secoli.
Il destino vuole che, in maniera assolutamente fortuita, il libretto originale dell’opera sia ritrovato da un collezionista di Poggio a Caiano in una bancarella di libri usati a Firenze. La scoperta spinge il Comune a cercare di mettere di nuovo in scena l’opera: da anni infatti l’amministrazione comunale ha intrapreso una politica di valorizzazione del patrimonio della Villa Medicea, riscoprendo alcune delle opere settecentesche qui rappresentate.
Il direttore d’orchestra Riccardo Cirri rintraccia la partitura presso la Biblioteca del Conservatorio Cherubini a Firenze.

Infine gli studi condotti dai musicologi Marialuisa Pepi e Giovanni Vitali fanno luce definitivamente su Il Conte Policronio e la figura di Giuseppe Moneta, compositore alla corte dei Lorena.
Il Conte Policronio è un misterioso benefattore dell’umanità che vanta un’età di poco meno di seimila anni. In realtà è un uomo che, grazie ai filtri e alle formule magiche, ha fatto dell’impostura un lavoro molto redditizio. Al suo fianco nelle furfantesche peregrinazioni c’è la moglie Feliciana, che saggiamente vuole ritirarsi dall’attività, e un assistente-iniziato detto Stoppino.

La storia si svolge tra esilaranti colpi di scena con Policronio che tenta di truffare dei clienti e sedurre la giovane Giulia: una volta smascherato il ciarlatano, tutti si ritrovano a cantare la morale: “l’impostura fin che dura è un gradito capitale”.
Sembrerebbe dunque di essere di fronte ad una tipica farsa dall’intreccio sentimentale, ma allora perché Il Conte Policronio ebbe un così tale successo da esser replicato pochi giorni dopo a Firenze? Perché vi si trovano continui e ripetuti riferimenti alla Massoneria, attraverso la parodia dei suoi riti e simboli?
La scoperta si deve alla musicologa Maria Luisa Pepe: il Conte Policronio è una parodia musicale dal tempismo impressionante, una vera e propria “istant opera” come si direbbe oggi.

Appena tre mesi prima della rappresentazione, il 3 maggio 1791, a Roma viene condannato al carcere a vita Giuseppe Balsamo, il Conte Cagliostro, leggendario personaggio, taumaturgo ed impostore. La condanna del Sant’Uffizio contro il fondatore della Massoneria di Rito Egizio è una notizia che scuote l’opinione pubblica, suscita un forte interesse e rappresenta un’occasione da cogliere al volo.
Policronio è dunque Cagliostro come dimostrano le numerose analogie tra la farsa e il libretto su il “caso Cagliostro” che Giuseppe Barbieri, zelante segretario del processo, prepara e fa distribuire prima della sentenza.

La conferma definitiva arriva dalla battuta rivolta al pubblico: “Diceva bene Morand, che era un impostore”. Morand altri non è che Théveneau de Morande, direttore del Courrier de l’Europe, giornalista senza scrupoli che a partire dal 1786 aveva scritto una serie di articoli diffamatori contro Cagliostro. Quest’opera è anche la prima ispirata a questo fatto di cronaca così clamoroso ad essere messa in scena. Tre mesi dopo la farsa fiorentina, a Weimar, sarà rappresentata la commedia in prosa Der Grob-Cophta scritta da Goethe e il teatro musicale scoprirà la potenzialità del soggetto non prima del 1825.

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