Alan Parsons: emozioni in primo piano al Saschall

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
21 ottobre 2004 10:22
Alan Parsons: emozioni in primo piano al Saschall

Ieri sera, alle 23.15, tutto il Saschall ha salutato in piedi,con una splendida “standing ovation” il barbuto Alan Parsons e il suo gruppo, alla fine di uno spettacolo da brivido. Tutto era cominciato appena due ore prima, con l’opener per eccellenza di ogni incarnazione dell’Alan Parsons Project: “I, Robot”. Ipertecnologica come non mai, questa perla senza tempo del pop elettronico, ha fatto capire fin da subito che il gruppo di Parsons avrebbe dato il maggior spazio possibile ai classici passati firmati dall’artista inglese.

Un’ “operazione nostalgia” per palati fini, che non ha risparmiato i maggiori ispiratori di Parsons: i Beatles e i Pink Floyd (i primi omaggiati con il riff finale di “Let It Be”, i secondi citati più e più volte nel corso della serata, con ammiccamenti e reminescenze psichedeliche). Il set è stato una vera rincorsa di emozioni, di quelle forti. Grazie a brani ben ritmati (spesso riarrangiati rispetto alle versioni originali) e dalla forte componente emotiva, la noia è stata scacciata dal Saschall con forza e veemenza.

Hanno colpito duro le classiche “The Crow” (e il suo ritornello cantato a squarciagola dalla sala), e la rivisitazione acusticheggiante di “Mammagamma” (proposta in una versione completamente diversa sia dall’originale, sia dalla sua versione techno dell’ultimo disco di Parsons). La celeberrima “I wouldn't want to be like you”, proposta in una versione identica all’originale coi il suoi profumi disco e le reminescenze floydiane, ha fatto scaldare la platea del Saschall, invero molto attenta e un po’ troppo “statica”.

Dal nuovo album di Parsons, “A Valid Path” sono stati estratti tre brani (forse i più riusciti): “Return to Tunguska” (che ha visto il bravo chitarrista Godfrey Townsend cimentarsi con successo nel lirico assolo suonato nel disco da David Gilmour), “More Lost Without You” e “We Play the Game” (con protagonista assoluto il cantante PJ Olsson). Lo spettacolo ha continuato a mietere successi e ritornelli assassini fino al gran finale, scoppiettante nell’esecuzione di “Primetime” e del classico senza tempo “Eye in the Sky”.

Il bis non si è fatto attendere più di cinque minuti, e ha di nuovo regalato grandi emozioni e grande carica vitale. E’ infatti iniziato alla grande con l’orecchiabile e lirica “(The System of) Doctor Tarr and Professor Fether” e concluso ancor meglio con l’incalzante hit “Games People Play”. In definitiva, oltre due ore ad alto tasso emozionale, che hanno riassunto in modo eccellente, e mai autocelebrativo, quasi trent’anni di carriera di un grande musicista e produttore. Chi aveva dei dubbi sulla nuova incarnazione del Project è stato smentito dai fatti: ognuno dei musicisti in scena aveva molte qualità a proprio favore. In primo luogo il batterista Steve Murphy si è dimostrato un vero mostro di tecnica e di potenza, oltre ad avere una bella voce, che ha usato più volte da solista nel corso della serata.

Il bassista Joe Montagna, forte della sua tecnica rocciosa e della sua voce potente, ha dimostrato di non far rimpiagere la presenza di David Paton. Il tastierista Manny Focarazzo è stato a mio avviso un po’ sottotono (anche durante il suo assolo al pianoforte durante “Primetime”), ma tutto sommato ha una grande preparazione tecnica. Il chitarrista Godfrey Townsend era una vera scheggia: ha rielaborato in chiave “nineties” tutti gli assoli del Project con una lucidità impressionante, e in certi passaggi ha ricordato la tecnica di Pat Thrall, ex chitarrista degli Asia.

Inoltre l’axeman ha dimostrato di avere anche talento al canto e al pianoforte. Il cantante PJ Olssen è stato il vero folletto della serata: instancabile sul palco, autore di mille piroette e con una voce veramente incisiva ed espressiva, degna del miglior Chris Rainbow. Infine il leader Alan Parsons. Un uomo, un mito vivente della musica. E’passato instancabilmente dalle tastiere, al canto, alla chitarra acustica, senza moine da “primadonna” ma con molto mestiere. Ha lasciato buona parte dello spazio (qualcuno potrebbe pensare che sia stato un po’ troppo) ai suoi giovani compagni di palco, ma questo è un atteggiamento di chi la sa lunga, di chi ha esperienza.

Ben fatto. In due parole, ieri sera al Saschall (al gran completo, o poco ci mancava), si è visto uno spettacolo che si ricorderà per molto tempo. Grandi emozioni e poche chiacchiere, in pratica grande Musica. Marco Lastri

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