L'importanza di chiamarsi Ernesto (26 febbraio/3 marzo) al Teatro della Pergola

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
21 febbraio 2002 23:55
L'importanza di chiamarsi Ernesto (26 febbraio/3 marzo) al Teatro della Pergola

Di Oscar Wilde è l’esito ultimo, la conclusione del ciclo dei “Drammi di società” dei quali fa parte con Il ventaglio di Lady Windermere, Una donna senza importanza e Un marito ideale. Debuttando a Londra nel febbraio 1895, anticipò di poco le accuse di immoralità e lo scandalo che travolse carriera e vita di Wilde. L’importanza di chiamarsi Ernesto, o di essere “serio”, come talora si traduce giocando allo stesso modo dell’idioma inglese sulla parola earnest che compone il titolo originale, approda alla Pergola nell’allestimento dello Stabile di Calabria, per la regia di Mario Missiroli.
Per Masolino D’Amico, la cui traduzione va in scena in questa occasione, è la commedia più rappresentata in assoluto.

Di certo, esprime la quintessenza del teatro di Wilde: l’eleganza formale, lo straripare fulmineo dei dialoghi, il susseguirsi ficcante di battute, il costante affacciarsi sul nonsense. La vicenda di John Worthing, messo sotto esame dalla terribile Lady Bracknell che intende valutarne le doti di venturo marito della figlia, risponde secondo Missiroli ai criteri di un vero e proprio atto di fondazione del “teatro dell’assurdo”, incarnato cinquant’anni dopo da Eugène Ionesco. Perché costruito su uno spettacolare castello di finzioni (John e l’amico Algernon si inventano una vita e una famiglia che non hanno), e su un puro gioco nominale: se Giulietta dietro ispirazione del Bardo era disposta a sposare Romeo quale che fosse il suo nome, Gwendolen e Cecily pretendono un Ernesto.

La qual cosa obbliga Wilde ad una spettacolare agnizione finale, che trasformi le finzioni in realtà.
La scelta registica di Mario Missiroli è quella di rendere la commedia rappresentativa del secolo che ha inaugurato, considerati anche la collocazione temporale e il recentemente trascorso centenario della morte dell’autore; e di eliminare le più vistose emergenze dell’aplomb britannico e della patina “brillante” che sovente si stende su Wilde. Va dimenticata la pièce bien faite, della quale l’Ernesto in forma di parodia celebra il requiem.

Senza cancellare la rappresentazione della fatua mondanità della società inglese di fine Ottocento, agli attori è lasciata grande libertà di espressione, e di accentuazione dei toni comici. L’ambientazione si divide tra due luoghi deputati dello stile albionico, il salotto e il giardino, circondati da un paesaggio non idilliaco che evoca la rivoluzione industriale e le desolazioni (a venire) del Novecento.

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