Il dibattito postelettorale a sinistra: secondo Claudio Martini un buon risultato dell'Ulivo

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
16 maggio 2001 16:11
Il dibattito postelettorale a sinistra: secondo Claudio Martini un buon risultato dell'Ulivo

"L'Ulivo rafforza le sue radici in terra di Toscana -scrive il Presidente della Regione Toscana nella propria newsletter settimanale- Dalle urne sono usciti risultati soddisfacenti, in netta controtendenza. Da noi l'Ulivo registra il miglior risultato nazionale. Al Senato passiamo dal 50,8 del 1996 al 52%, ottenendo 13 dei 14 seggi uninominali; alla Camera passiamo dal 46,8 del '96 all'attuale 48,7%, con 27 seggi su 29. Complessivamente perdiamo solo 3 seggi, contro i 10 a rischio. Possiamo perciò dire, a chiare lettere, che la vittoria del Polo, qui in Toscana, non cancella la nostra.

Credo si debba prendere atto con serenità e rispetto del pronunciamento degli italiani, con la stessa serenità e lo stesso rispetto con cui bisogna chiedere al nuovo governo di essere il governo di tutti gli italiani, anche di quelli che hanno votato in modo diverso, così come accade in tutti i Comuni e in tutte le Regioni.
In Toscana ci porremo in un'ottica di collaborazione istituzionale con il nuovo governo, così come abbiamo fatto di fronte a qualsiasi esecutivo e ci aspettiamo che altrettanto faccia Palazzo Chigi.

Che "Casa delle libertà" sarebbe se non rispetta chi è diverso? Se non rispetta chi in Toscana è legittimato a governare? Il confronto con il governo ripartirà da ciò che abbiamo deciso e sottoscritto. Mi riferisco in particolare al progetto di autonomia speciale della Toscana nel settore dei beni culturali, all'attuazione degli investimenti previsti, ai 5 Accordi di programma siglati con il governo nazionale: infrastrutture, dalla variante di valico al completamento del corridoio tirrenico; sanità; assetto idrogeologico; opere previste dal piano di bacino dell'Arno; patti territoriali.
La realizzazione di questi impegni deve essere garantito da una collaborazione tra tutte le istituzioni - Parlamento, Governo, Regioni ed Enti locali - nel rispetto della logica del federalismo e della sussidiarietà, senza condizionamenti ed invasioni di campo sulle materie di competenza regionale.

Mi aspetto questa apertura di dialogo da parte di Berlusconi, anche se nei confronti della nostra Regione ha spesso avuto parole molto negative, corrette solo tardivamente ed in modo maldestro: non si può fare una distinzione tra la Toscana ed i suoi governanti, perché essa è quello che è anche grazie alla cultura di governo di chi la amministra da tanti anni.
Infine una riflessione di carattere nazionale: perché in Toscana i risultati sono stati positivi per l'Ulivo? Perché qui c'è una maggiore cultura della coalizione, meno lacerazioni, più federalismo.

Se il centrosinistra vuole invertire la negativa tendenza nazionale credo debba uscire dalla logica delle ricette interne ai palazzi romani, per dare spazio e ruolo alle esperienze territoriali che hanno ottenuto migliori risultati".

Secondo invece Pier Francesco Pratesi dell'associzione politica "Firenze al Futuro": "Il centrosinistra ha subito una severa sconfitta alle elezioni politiche di domenica, su cui sarà necessario riflettere attentamente, ma, pur non essendo io un esperto di flussi elettorali, alle considerazioni politiche mi sento di premettere delle riflessioni che i dati mi suggeriscono.
I dati parlano chiaro: fra i due schieramenti, al maggioritario della Camera, la differenza è di nemmeno 2 punti percentuali.

Ciò significa che, nonostante tutto, siamo andati molto vicini a vincere. Ma abbiamo davvero fatto di tutto per vincere?
Confrontando, da profano, le percentuali delle votazioni dal ’94 ad oggi, noto un fatto che contrasta con quanto affermato comunemente e vorrei che qualcuno mi spiegasse perché: sostanzialmente i due poli mantengono, più o meno, le stesse dimensioni, semmai con redistribuzioni interne dei voti. La vittoria o la sconfitta quindi dipendono solo dall’unità, ovvero se le forze contrarie a Berlusconi fossero state unite domenica, come nel ’96, avrebbero agevolmente vinto.

Se, d’altra parte, il Polo non fosse riuscito a fare il patto con la Lega, avrebbe perso.
Era davvero impossibile fare con Di Pietro un patto simile a quello fatto con Rifondazione? Infatti, il patto con Bertinotti ha dato buoni effetti al maggioritario della Camera, se sui candidati dell’Ulivo fossero giunti anche i voti dell’Italia dei Valori, di nuovo, avremmo vinto.
Nonostante i voti di Rifondazione, i candidati nei collegi uninominali, non hanno manifestato la stessa capacità di attrarre gli elettori, vista in altre occasioni.

E’, a mio avviso, indispensabile smettere di paracadutare nei collegi personaggi esterni, poco conosciuti e con poco legame territoriale, magari con storie personali non limpidissime. Questo fenomeno si verifica maggiormente quando le classi dirigenti cercano di perpetuare se stesse.
Il sistema elettorale vigente, catalizza l’attenzione sui due candidati premier, lasciando sullo sfondo i partiti. In questo senso c’era da aspettarsi una crescita delle formazioni direttamente collegate ai due concorrenti ed un ridimensionamento degli altri.

Il problema però si pone soprattutto per i DS che hanno pagato moltissimo la “scelta” di darsi poca visibilità. Ritengo che si sia giunti ad un punto di non ritorno: o si ricostruisce un partito di sinistra, con i suoi margini d’iniziativa politica autonoma e visibilità, oppure si costruisce un unico partito del centrosinistra.
L’azione dei quattro governi succedutisi nella legislatura appena conclusa, non è stata negativa, è stata però poco coraggiosa. L’Italia è un paese con delle sacche di arretratezza, di inefficienza e di privilegio impressionanti, su queste non siamo intervenuti con la necessaria durezza.

Siamo riusciti a convincere gli Italiani della necessità di una misura drastica come mettere una tassa in più per un obiettivo condiviso come l’ingresso nell’Euro, la stessa convinzione doveva essere cercata su altri obiettivi, ne faccio una breve lista, non certo esaustiva:
 il sistema giudiziario;
 l’istruzione;
 la sanità;
 i trasporti;
 la burocrazia.
Questo non vuol dire che non si è fatto nulla, anzi, specie in alcuni campi, si è fatto molto, ma il mandato ottenuto dagli elettori nel ’96 era per fare di più e con più decisione.

Si è creato anche un problema d’immagine, con una coalizione poco coesa e quindi l’impossibilità di comunicare un profilo adeguatamente decisionista, come il paese chiedeva. Il decisionismo porta certamente allo scontro con i beneficiari dei privilegi che si intende eliminare, ma se la battaglia è chiara e limpida, l’appoggio dell’opinione pubblica è garantito ed è il fattore che la fa vincere, facilmente. Dall’altra parte, infatti, Berlusconi, per vincere, conta proprio sulla sua immagine di decisionista.
Guardando i dati veri, l’unico effetto che la lunga campagna orchestrata da Berlusconi, sembra aver avuto, è stato quello di convincere gli stati maggiori del centrosinistra, che avremmo perso.

In termini brutali, infatti, non sono mancati i voti, per battere il Polo, è mancato invece un gruppo dirigente in grado di sfruttarli al meglio. In questo modo si è scatenata una corsa al si salvi chi può, al collegio sicuro, al posto garantito: un 8 Settembre più che una Waterloo, con uno dei comandanti più importanti ed autorevoli, Veltroni, che addirittura non partecipa alla battaglia principale, ma si concentra su una secondaria, dando l’impressione di essere interessato più ai propri destini che a quelli del paese.

Un bruttissimo colpo all’immagine che sarà difficile recuperare.
La Margherita è partita con il piede giusto, aiutata in questo dal successo elettorale, confermando Rutelli come leader. Diverso il panorama nei DS dove invece si preannuncia un clima da faida e scontri senza quartiere. Se l’effetto della sconfitta sarà solo un feroce scontro interno, il destino della Quercia è segnato, sparirà in breve tempo. Se invece si cercherà di imparare dagli errori, ci sarà molto da ricostruire ma c’è molto spazio per farlo e le idee non mancano.
Berlusconi governerà per tutta la legislatura, e assicurerà al nostro paese una stabilità inusuale.

I numeri che ha in Parlamento lo garantiscono da qualunque sorpresa da parte della Lega ed AN è destinata a tornare alle percentuali del vecchio Movimento Sociale, riassorbita da Forza Italia, ma non ha alternative credibili. Si tratta quindi di organizzarsi al meglio per fare opposizione, consci che la possibilità d’incidere sull’azione di governo e maggioranza sarà pressoché nulla. Si tratta quindi di costruire l’opposizione nel paese e, in questo caso, di batterci soprattutto sul terreno della cultura, dove, per cultura s’intende l’insieme dei modelli di riferimento condivisi, cioè il sistema dei valori, le priorità della vita di ciascuno, gli oggetti di emulazione.

Alla base di tutto ciò c’è una domanda ancora senza risposta: cosa vuol dire essere di sinistra oggi?
Nella sconfitta secca dei DS c’è secondo me anche il ritorno a casa, la Margherita, di quei centristi che votavano la Quercia perché volevano dare un segno stabilizzante e non si riconoscevano nelle piccole e rissose formazioni centriste. Quindi, la risposta al quesito se si deve andare verso un partito unico del centrosinistra, o ricostruire i DS mi sembra scontata: a sinistra c’è uno spazio enorme, vuoto, che va riempito e non può farlo Rutelli.

I DS devono quindi riorientare la propria azione, smettendo di inseguire il centro, che ora ha le gambe per camminare da solo e ricostruire la propria immagine di autentico partito di sinistra. Eccoci al punto, come si fa ad essere di sinistra oggi? La risposta a questa domanda non è affatto scontata, come invece sostengono in molti. La difesa dei lavoratori, per esempio, caposaldo della sinistra negli ultimi 150 anni, si è arricchita di sfumature e contraddizioni che vanno colte e superate: quali lavoratori? Solo i dipendenti? E il popolo delle partite IVA? E poi, solo i lavoratori italiani o, al limite europei, o anche quelli africani e/o asiatici? E come si può conciliare, credibilmente, questi interessi così diversi? Ci aspetta un lungo e difficile lavoro, vorrei però dare un contributo introducendo un punto di partenza: l’economia, similmente al comunismo, non porta alla felicità e gli interessi del singolo, le sue aspirazioni ad una vita migliore e la sua libertà effettiva, non possono essere calpestate, né in nome del popolo, né, tanto meno, in nome dell’economia (ovvero dei profitti di pochi)".

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