Per un difetto genetico gli italiani non digeriscono il latte

Redazione Nove da Firenze
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20 ottobre 2000 18:49
Per un difetto genetico gli italiani non digeriscono il latte

Il 70 per cento degli italiani adulti non digerisce il latte a causa di un particolarissimo difetto genetico. Ne ha dato notizia il professor Michele Di Stefano, della Cattedra di Gastroenterologia dell’Università di Pavia, intervenendo stamani a Firenze al congresso internazionale Il nostro amico scheletro promosso dalla società Acqua e Terme di Uliveto in occasione della Quinta Giornata Mondiale dell’Osteoporosi.
Si tratta del risultato di una ricerca quinquennale, iniziata nel 1995, che ha analizzato le reazioni alimentari di 2000 persone comprese tra i 18 e gli oltre 90 anni. “Come tutti gli esseri umani del pianeta”, ha spiegato il professor Di Stefano, “anche gli italiani nascono con un enzima, chiamato lattosi, che interviene nel processo digestivo di latte e latticini.

Un difetto genetico di origine sconosciuta provoca però, con l’invecchiamento, una progressiva riduzione dell’attività di questo enzima e, di conseguenza, una crescente incapacità di digerire latte e derivati. In molti casi si arrivare a una vera e propria intolleranza che da origine a diarree, gonfiori dell’addome, flatulenze”.
Per ovviare al problema, ha aggiunto Di Stefano, occorre ridurre, senza però abolirlo, il consumo di latticini sostituendoli con i formaggi fermentati, ovvero con una delle principali fonti alimentari di calcio.

Il calcio è appunto la sostanza indispensabile per sviluppare e mantenere un’ossatura sana.
Per gli italiani, gravati da un deficit enzimatico di natura genetica, diventa perciò doppiamente importante un regime alimentare che assicuri fin da piccoli adeguate quantità di calcio. Lo scopo è di costruirsi uno scheletro quanto più sano e resistente (quello che gli specialisti chiamano “picco osseo”) prima dell’inevitabile decadimento fisico che dovrà appunto fare i conti anche una difficile convivenza alimentare con i latticini.
“La ricerca”, ha ricordato il professor Di Stefano, “si basa sugli importanti contributi teorici del professor Auricchio, della Cattedra di Pediatria dell’Università di Napoli”.

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