Alla Corte del Vino: dibattito sulla tutela del paesaggio

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
29 maggio 2000 00:32
Alla Corte del Vino: dibattito sulla tutela del paesaggio

Introdotta da Duccio Corsini, che ha tenuto le fila della conversazione, la tavola rotonda su La tutela del paesaggio: da vincolo a risorsa ha fatto incontrare le diverse realtà che si preoccupano del paesaggio in Toscana. Innanzitutto Paolo Baldeschi, urbanista, che è stato consulente della Provincia di Firenze per l’elaborazione del Piano Territoriale di Coordinamento e responsabile del Piano Guida per la tutela del paesaggio chiantigiano, poi Michele Cassano (Presidente del Consiglio di Amministrazione e Coordinatore Operativo di Eurochianti), Paolo Socci (conduttore, comproprietario e coltivatore diretto, come ama definirsi, della Fattoria di Lamole), e, infine, Riccardo Conti, che oltre ad essere da pochi giorni l’Assessore all’Urbanistica e ai Trasporti della Regione Toscana è stato dal 1990 Assessore all’Economia e al Territorio e poi Presidente della Provincia di Firenze.
Ha avviato i lavori l’intervento di Paolo Baldeschi che ha subito sottolineato che il passaggio “da vincolo a risorsa” è in gran parte da compiere, ed è un percorso che deve affrontare una serie di problemi. Assumendo il Chianti come punto di riferimento, Baldeschi ha individuato 3 categorie di attività, tre temi, coinvolti nella tutela del paesaggio: abitare, viaggiare e produrre nel Chianti. Nell’abitare nel Chianti si concentra il ruolo fondamentale del paesaggio per la qualità della vita che si riflette sui valori economici delle proprietà immobiliari.

“Gran parte delle operazioni distruttive” ha detto Baldeschi “derivano da politiche di settore di enti parapubblici o in via di privatizzazione e per frenare questo processo, ha spiegato Baldeschi, è indispensabile che i Comuni chiantigiani si presentino uniti, quindi con più potere al tavolo delle trattative. Il secondo complesso di attività e tema cruciale per la tutela del paesaggio è quello del viaggiare nel Chianti. “Il turismo enologico in Italia” ha citato Baldeschi da una ricerca del Censis “ lo scorso hanno ha contato 3 milioni di arrivi e 8 milioni di presenze per un giro d’affari di 500 miliardi”.

Delle 327 doc presenti in Italia una cinquantina potranno svilupparsi in distretti eno-turistici. Per sviluppare un distretto eno-turistico “occorre offrire al turista” ha detto Baldeschi “non solo vino, ma anche attrattività, ricettività, ristorazione, prodotti tipici, identità tipica, eventi, passando da offerte materiali ad un sistema di offerte immateriali, come cultura, servizi, eventi: il contenuto di una bottiglia è metà vino e metà sogno e il sogno è dato dall’identità culturale del distretto”.

Adesso, regna l’anarchia: offerta turistica in parte improvvisata, standard inadeguati, informazioni lacunose, totale assenza di una rete. Per rendere concorrenziale l’offerta turistica del Chianti occorre “un grande sforzo di modernizzazione e soprattutto, un cambiamento di mentalità.”
Infine, Baldeschi ha affrontato il tema del produrre nel Chianti: “E’ qui che la tutela del paesaggio viene tradizionalmente sentita come vincolo.” In sostanza “la tutela del paesaggio è possibile solo quando i soggetti economici e gli imprenditori agricoli hanno una percezione matura dell’importanza del problema”.


Baldeschi ha sintetizzato brevemente alcuni risultati della ricerca che sta alla base del progetto di tutela del paesaggio mezzadrile chiantigiano: “cioè dove sono ancora presenti e recuperabili le tipiche sistemazioni idraulico agrarie che funzionano potenzialmente come un sistema.“ Nella Val di Greve e nel versante destro della Pesa, circa 230 kmq., sono ancora individuabili 1300 ettari di paesaggio mezzadrile, suddivisi in 13 areali di dimensioni variabili da 40 a 160 ettari: il 6% della superficie complessiva.

“In altre parole” ha spiegato Baldeschi “nel Chianti fiorentino è ancora recuperabile una quantità di paesaggio storico di dimensioni paragonabili a quelle di una grande fattoria tradizionale”. La ricerca ha chiarito che la quasi totalità dei costi sono da attribuire al ripristino delle sistemazioni idraulico agrarie tradizionali e il costo stimato per il ripristino dei muri a secco e degli acquidocci negli areali di paesaggio storico è pari a circa 23 miliardi di lire (prezzi 1998) con un’incidenza media di 17,5 milioni a ettaro.

E’ evidente che da un punto di vista pratico, oneri così rilevanti non possono che portare all’abbandono delle aree in condizioni più critiche.
“Il problema di fondo, dunque,” ha affermato Baldeschi “è la contraddizione fra benefici che vengono percepiti dall'intera collettività e costi che sono sopportati individualmente dai proprietari fondiari e dai produttori. Questa contraddizione rende in buona parte inefficaci le politiche di conservazione basate su vincoli e divieti.”
Le conclusioni e le soluzioni di Baldeschi: “incoraggiare, privilegiare e incentivare tutte quelle produzioni che sono in grado di utilizzare il paesaggio come risorsa, che incorporano e traducono il paesaggio nella qualità del prodotto; incentivi, alla produzione, alla manutenzione, al ripristino; unitarietà di intenti e di politiche delle amministrazioni; armonizzazione degli strumenti; capacità, in definitiva, di fare sistema, di evolversi in distretto, non seguendo uno slogan ma dotandosi di un'unica metodologia per l’elaborazione e la valutazione dei piani di miglioramento agricolo-ambientale nell’area chiantigiana.
Duccio Corsini ha dato la parola a Michele Cassano che ha voluto sottolineare l’evoluzione dalla storica arretratezza all’attuale sviluppo ed equilibrio sociale del Chianti: un processo di crescita “senza gravi fratture né contraddizioni”.

Gli ultimi venti anni, ha detto Cassano, sono serviti “al riassorbimento della crisi della fine della mezzadria.” E i risultati ottenuti non vanno dimenticati. Tuttavia nel futuro Cassano vede tre possibili elementi di crisi: “le variazioni intrinseche ai concetti di risorsa e valore, gli effetti della globalizzazione come incentivi alla competizione dei sistemi produttivi e l’esigenza di un continuo innalzamento degli standard di vita.” La strada è l’assunzione di una politica economica con un criterio di sostenibilità e programmazione che favorisca l’adesione spontanea ai suoi principi senza regole coattive.

Quindi con un “sistema di incentivi”. Un incentivo verrà dai consumatori che premieranno i prodotti che rispettano l’ambiente. E’ necessario incentivare ora quelle produzioni che sopportano costi maggiori adottando un sistema di produzione sostenibile e che sulla lunga distanza saranno favorite proprio da chi acquista. E gli strumenti per impostare una politica sostenibile, ha aggiunto Cassano, sono “strumenti urbanistici validi e concertati, misure economiche che bilancino le limitazioni all’uso dei fattori produttivi, procedure di certificazione di qualità.”
La parola è passata ad un produttore, Paolo Socci, che con l’esperienza di Lamole ha sintetizzato passato, presente e futuro dei problemi e delle speranza dei produttori della zona.

La viticoltura di Lamole, alle falde del San Michele, affonda le sue radici nell’Alto Medioevo, quando già, anziché all’autoconsumo (come molte delle zone di produzione attuali) offriva al mercato il suo vino. Fino a 50 anni fa si è fatta una utilizzazione esasperata degli spazi disponibili (terrazzamenti, drenaggi con scassi fatti a mano, muretti a secco). Poi è arrivata la crisi. Una crisi sociale, dice Socci: “era più dignitoso essere operaio che contadino”. Da qui lo spopolamento e poi la meccanizzazione.

Con le macchine sono arrivati lo stravolgimento delle pendenze, l’abbandono delle terrazze più alte, il sotterramento dei muretti. Solo negli anni ‘80, con la DOCG e la ripresa del mercato si sono cominciate a ricucire le ferite e rimediare ai danni del passato. La riscoperta degli “alberelli” e del secondo raccolto. “Grazie anche all’agriturismo” dice Socci “cioè all’esigenza di offrire un paesaggio agli ospiti”. Per questo, nel futuro, Socci vede il recupero dei muri a secco e dei drenaggi tradizionali per realizzare produzioni di pregio ma anche finanziamenti per il restauro del paesaggio antico per incrementare l’appeal dell’ospitalità.
Anche Duccio Corsini offre la sua testimonianza su questo argomento ricordando che quando, nel ‘92, ha deciso di abitare a Villa Le Corti il suo intento era soprattutto “immobiliare” cioè finalizzato all’agriturismo.

“Eppure” ha detto Corsini “tutti i primi anni sono stati dedicati solo all’agricoltura e al ripristino delle coltivazioni. Poi ho conosciuto Carlo Ferrini e sono entrato nel mondo del vino. Da lì è iniziata la vera avventura, sfociata poi in Alla Corte del Vino. Ma oggi ancora scontiamo le difficoltà della crisi che ha dominato gli anni dal ’64 ai primi Novanta. Ed è difficile sostenere le spese rivolte alla salvaguardia del paesaggio in proporzione all’economia di una piccola azienda.

Ci vuole l’aiuto dell’amministrazione. Perché il paesaggio è un valore collettivo: per questo è nata Alla Corte del Vino. Quando si portano le bottiglie all’estero non puoi mettere in valigia questa veduta delle colline chiantigiane...”
La parola dunque ad un amministratore, Riccardo Conti, che dopo essersi complimentato per l’idea e lo spirito di Alla Corte del Vino ha voluto evidenziare i meriti degli amministratori locali che hanno fatto grandi passi avanti sulla strada della concertazione e della sinergia, in questi anni.


Quello che ancora non è finito è “il lavoro di modernizzazione della Toscana, ma da toscani. Cioè offrire sempre più infrastrutture, non materiali ma immateriali, cioè servizi adeguati.” Conti ha indicato più strade per favorire lo sviluppo: la nascita di un “marchio ambientale” per le produzioni di qualità, finanziamenti della Comunità, la collaborazione tra pubblico e privato… “potremmo realizzare un piccolo laboratorio modello” ha auspicato Conti. Infine, ha chiuso Conti, non si può non riconoscere che la politica di vincoli passata ci ha almeno salvaguardato dalla cementificazione e ha mosso “animi nobili” verso l’agricoltura consentendo di costruire quel valore che ora possediamo e che dobbiamo salvaguardare.

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