Archivio Zeta e Aristofane al Teatro Rifredi

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
09 dicembre 1999 11:15
Archivio Zeta e Aristofane al Teatro Rifredi

Ottimo debutto della nuova compagnia teatrale fiorentina Archivio Zeta che, martedì 7 dicembre (fino a sabato 11 dicembre) al Teatro Rifredi, si è misurata con la celebre opera di Aristofane “Gli Uccelli”. I giovani artisti, tutti con alle spalle un discreto bagaglio di esperienze teatrali e televisive e dotati di un indubbio talento, si sono impegnati in una lettura profonda, e il più possibile rispettosa, del testo originale, grazie anche alla traduzione attenta di Guido Paduano, mantenendo intatta la struttura della commedia attica antica, con i ritmi e i tempi dati dall’alternarsi degli attori da un personaggio all’altro.

Dove il regista Gianluca Guidotti ha lanciato, con notevole abilità, una sfida ai meccanismi del teatro greco, senza tradire la sostanza dell’opera di Aristofane, è nell’espressione della sua creatività visuale, che lo ha spinto nella costruzione della scena, pensata insieme a Sergio Tramonti, come uno spazio scarno, essenziale, intorno ad una pedana mobile in legno che si trasforma continuamente, così come gli attori nei vari personaggi. In tale spazio indefinito, luogo utopico chiamato “Nubicuculia” (città delle nuvole e dei cuculi), plasmato dalla musica e dai suoni, il regista esprime in modo suggestivo la carica di feroce comicità dell’autore greco, comicità che però nasconde sottotesto un fondo di drammatica inquietudine ed eterna scontentezza.

Bravi gli attori Francesco Colella, Gianluca Gambino, Stefano Scherini ed Enrica Sangiovanni (nel ruolo del coro), che hanno interpretato i circa 15 personaggi ricreando quell’atmosfera si spaesamento e straniamento che si respira nell’opera di Aristofane. Da citare infine la bellissima voce fuori campo di Marisa Fabbri nel ruolo della dea Iride.

L’utopia di Aristofane.
“Gli Uccelli”, una delle 11 opere di Aristofane giuntaci intera, fu scritta nel 414 a.C., durante l’infelice avventura di Atene in terra siciliana.

L’opera infatti risente di una certa inquietudine del suo autore, nonostante il suo distacco nei confronti della vita politica ateniese. E’ infatti il distacco e la stanchezza nei confronti di Atene e degli ateniesi che spinge due vecchi, Pistetero ed Evelpide ad abbandonare la città e ad andare a vivere con gli uccelli. Si rivolgono allora all’Upupa, che un giorno era stato uomo (Tereo), e lo convincono a fondare una città fra cielo e terra. La costruzione di questa città utopica si rivela un percorso verso un incubo, sia per il presentarsi di tutti quegli importuni che rendevano così difficile la vita ad Atene (un poeta, lo spacciaoracoli, un astronomo, un ispettore del mercato), tutti pronti ad offrire servigi e a fare fortuna, sia per la mania che gradualmente ingabbia il protagonista Pistetero.

Aristofane, a differenza di altre opere, qui rappresenta in modo irriverente e spregiudicato anche gli dei, riservando loro battute feroci ed esilaranti. La fuga dalla realtà, propria di quest’opera, diventa sempre più amara, fino a segnare una disfatta dell’utopia, un salto, come ha osservato giustamente il regista Guidotti, nel vuoto della fantasia.

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