La Compagnia Krypton al Teatro Studio di Scandicci con “Il Guardiano” di H. Pinter

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
03 dicembre 1999 09:00
La Compagnia Krypton al Teatro Studio di Scandicci con “Il Guardiano” di H. Pinter

Dopo la fortunata trilogia beckettiana, la Compagnia Krypton ha esordito martedi 30 novembre (fino al 19 dicembre) al Teatro Studio di Scandicci con una delle opere migliori del drammaturgo londinese, “Il Guardiano” (The Caretaker), scritta nel 1960. Lo stile scarno ed essenziale di Pinter, capace di portare sulla scena stralci di conversazioni quotidiane catturate in tutta la loro intensità ma anche nella loro vacuità e incoerenza, in quest’opera prende la forma di una complessa azione che si svolge all’interno di una “stanza indecifrabile”: qui si respira un’atmosfera di autentica incomunicabilità ed è a questa atmosfera che si è richiamata, con eccellenti risultati, la regia di Giancarlo Cauteruccio.

Il regista ha scelto il testo per una personale identificazione con uno dei personaggi; Davies, il guardiano, un vecchio barbone portato a casa da Aston, interpretato al meglio da Giuseppe Savio, tutto angoscia chiusa ed essenziale. Il terzo personaggio, Mick, fratello di Aston, la cui violenza verbale sovraccarica la scena, è interpretato da Fulvio Cauteruccio, (autore anche della colonna sonora), in una felice coincidenza espressiva. La stanza, luogo della scena in cui si svolge il dramma, viene rielaborata dal regista con la consueta bravura, nel suo approccio al teatro come spazio da strutturare con la luce e i suoni.

Scena. Personaggi. Oggetti. In una vecchia casa di Londra c’è una stanza con una finestra. Lungo la parete di sinistra un letto di ferro. Sopra un armadietto con barattoli di vernice, viti etc. Alcune scatole e vasi a fianco del letto. Una porta in fondo a destra. Accanto, tutto ammucchiato, una scala a pioli, un acquaio da cucina, un secchio, un carrettino, cassetti vuoti, scatole. Sotto questo mucchio un altro letto di ferro. Di fronte una cucina a gas. Su questa una statua del Buddha.

A destra un paio di valigie, un tappeto arrotolato, una lampada, una sedia rovesciata, casse, un attaccapanni, alcune assi di legno. Sotto il letto vicino alla parete di sinistra un aspirapolvere che non si vede finchè non viene usato. Un secchio pende dal soffitto. Nel secchio cade ogni tanto una goccia d’acqua. Nella stanza entrano due tali, uno è Aston, uomo di mezza età, l’altro è Davis, un barbone con un paio di sandali. In seguito entrerà Mick, fratello di Aston. “Il guardiano” è la storia dei rapporti che si stabiliscono tra questi tre personaggi e gli oggetti che li circondano.

Non ha importanza chi siano i tre. Importa il fatto che essi non riescano ad intendersi, vivono e agiscono in una condizione di perpetuo malessere, sono sempre attanagliati da un’angoscia sottile. Il regista Giancarlo Cauteruccio è stato molto abile a dare voce ai famosi silenzi di Pinter, nella sua ricognizione psicologica dei tre personaggi, nello snodare un’azione piuttosto statica frutto degli squilibri psichici dei tre. E’ stato inoltre bravo, grazie alla traduzione di Alessandra Serra, a rendere il personaggio di Davies attendibile e molto umano, rispetto alla figura fredda e un po’ intellettualistica di Pinter.

Bravo è stato Giuseppe Savio, nel suo sgomento chiuso e solitario, quando ha evocato l’allucinante ricordo del male patito in una clinica psichiatrica. Infine un riconoscimento al fratello di Giancarlo Cauteruccio, Fulvio, che nell’interpretare il personaggio di Mick ha trasmesso il “quid” della disinvoltura e della gratuita e pungente cattiveria. (R.O.)

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