Sciopero a Firenze dei lavoratori pubblici: "Costretti al lavoro nero"

In piazza anche i precari del pubblico impiego che non vedono acquisito nessun diritto dopo anni di attesa

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
19 giugno 2014 13:35
Sciopero a Firenze dei lavoratori pubblici:

“Con la Riforma della P.A. di venerdì 13 giugno il governo Renzi mostra il suo vero volto autoritario e cinico, presentando a tutti il conto degli 80 euro che pochi hanno visto. Non è vero che la riforma manca di organicità, è anzi fin troppo chiaro il suo obiettivo: cancella i diritti dei lavoratori, il welfare, i servizi e riduce la Pubblica Amministrazione a sportello gratuito per le imprese. Cosa più grave: non c'è nessun impegno per il rinnovo economico dei contratti, bloccati dal 2009 e destinati ad esserlo ancora per molti, molti anni.

Le retribuzioni di 3,3 milioni di lavoratori pubblici sono tornate al livello di 30 anni fa, l'ingiustizia resta. I lavoratori del pubblico impiego sono l'agnello sacrificale di questa operazione, in alcuni tratti ammantata da una vecchia ma sempre efficace demagogia populista e che di buono non ha proprio niente. Basta leggere i documenti ufficiali, per comprendere cosa stia realmente accadendo. Oggi nessuno può avere più l'alibi di non aver capito” così i rappresentanti della USB che si sono ritrovati in piazza Salvemini a Firenze per protestare contro la Riforma prevista dal Governo Renzi.

In piazza non sono mancate accuse all’assenza delle sigle sindacali Cgil, Cisl e Uil che “hanno rinunciato alla lotta” e che “lasciano noi con 300mila iscritti a produrre autonomamente forme di contrasto dal basso” spiegano i portavoce che poi attaccano sui punti critici della Riforma con particolare attenzione al precariato. A parlare è anche una precaria della Scuola, Aurora: “Io ho avuto addirittura 5 contratti in un anno credo che i bambini non abbiano avuto neppure il tempo di memorizzare la mia faccia.

Molto spesso siamo distanti da casa, dobbiamo provvedere a pagare l’affitto e le relative utenze, io non posso dire al mio padrone di casa o al gestore di turno che sono ferma perché precaria, perché se non mi chiamano non mi pagano lo stipendio.. loro i soldi li vogliono sempre. Lo voglio dire chiaro, ci metto la faccia, non mi interessa, ci costringono a lavorare in nero. Tante belle parole, ma il risultato è questo, altro che lotta al lavoro nero”.

I punti critici. “Viene dichiarata apertamente la volontà di ridurre la presenza dello Stato, gli uffici periferici dovranno essere riarticolati a livello regionale, così come si parla di prefetture e di camere di commercio regionali, di accorpamenti di enti nazionali e Centrali. Questa operazione, insieme al taglio e all'accorpamento degli enti territoriali di diverse amministrazioni e all'obbligo di gestione unitaria di servizi strumentali (gestione del personale, del patrimonio, servizi contabili, sistemi informatici), che interesserà centinaia di miglia di lavoratori, oltre ad allontanare la P. A. dai bisogni dei cittadini, avvierà di fatto un processo di mobilità coatta di massa.

Viene introdotta la mobilità obbligatoria, fino a ieri negata dal ministro Madia in maniera tale da non allarmare i lavoratori e non disturbare il manovratore. I lavoratori possono essere trasferiti, anche in assenza di necessità oggettive, all'interno dello stesso Comune oppure nell'arco di 50 chilometri, anche in Amministrazioni diverse. Nessuna forma di tutela attraverso il coinvolgimento del sindacato: viene ribadito in maniera esplicita che è nullo qualsiasi accordo o contratto in contrasto con questa previsione. In caso di esubero, sempre che non si venga licenziati, è prevista la possibilità di demansionamento attraverso la collocazione in una qualifica inferiore o in una posizione economica meno favorevole, al fine di “ampliare le occasioni di ricollocazione”, che non è detto vi siano.

Il concetto di diritto acquisito salta definiti-vamente e il lavoratore del pubblico impiego deve imparare a vivere con la valigia pronta per andare dove lo mandano, anche con un salario molto più basso di quanto percepito fino ad oggi, pur di continuare a lavorare.

Nessun riferimento neanche ai 250.000 precari. Anche per loro nessun diritto acquisito da rivendicare. Come se 10-15 anni di lavoro svolto al servizio dello Stato e della cittadinanza non fossero assolutamente serviti a nulla.

Ovviamente nessun riferimento al rinnovo dei contratti. Il lavoratore pubblico non ha più alcun diritto, perché inutile, fannullone, non più funzionale al progetto organico di trasformazione in peggio del modello sociale.

Per mettere in campo un'operazione così devastante all'interno della P.A. è necessario che i lavoratori siano il più possibile disuniti, soli e soprattutto soli di fronte alla controparte. Dove esiste un sindacato degno di questo nome, deve cessare di avere quella funzione di tutela necessaria alla salvaguardia dei diritti collettivi. Se possibile deve cessare di esistere. Per questo Renzi e Madia (in particolare alle RSU), distacchi e aspettative sindacali senza che ciò produca il benché minimo risparmio. Il governo Renzi non ha nessuna intenzione di rispondere ai bisogni di cittadini e lavoratori in carne e ossa e si inventa un consenso virtuale alla riforma che nel Paese reale non c'è.

Intanto, nel solito gioco delle parti in commedia Cgil, Cisl, Uil rinunciano alla lotta e annunciano opposizione in quel Parlamento di cui sono maggioranza complice e prospettano reazioni gandhiane a una riforma di violenza inaudita. Oggi non scioperare contro questo attacco così pesante significa essere complici del tentativo di distruzione dello stato sociale e negativamente responsabili in prima persona del proprio destino lavorativo. Perché oggi nessuno può più avere l'alibi di non aver capito la portata della posta in gioco”.

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