PNRR: Perché Non Riusciremo a Risorgere

Il caso emblematico dello stadio Franchi, nel cui restauro spenderemo € 95 milioni, che avrebbero potuto servire a altro

Nicola
Nicola Novelli
16 maggio 2021 10:39
PNRR: Perché Non Riusciremo a Risorgere

FIRENZE- Alla fine lo stadio Artemio Franchi è stato inserito tra i 14 progetti che saranno finanziati a livello nazionale con le risorse del Pnrr previste nel Fondo complementare del piano strategico grandi attrattori culturali. Per la riqualificazione dell'impianto, progettato da Pierluigi Nervi nel 1929, è previsto un costo di almeno 95 milioni di euro.

Confesso che se avessi immaginato che sarebbe andata così, non avrei firmato la petizione per proteggere la funzione calcistica del Franchi. Allora ritenevo, e ritengo ancora, che la destinazione sportiva della zona del Campo di Marte sia una buona scelta, che potrebbe essere migliorata dotando il quartiere di una linea tramviaria, oppure decidendosi finalmente a sfruttare la prossimità con l’omonima stazione ad Alta Velocità. Temevo che l’abbandono della stadio da parte dell’A.C. Fiorentina avrebbe creato un effetto domino sull’area immobiliare, lasciandola potenzialmente in pasto ad appetiti speculativi.

Ma non mi immaginavo proprio come sarebbe andata a finire. Cioè che spederemo una fortuna per “restaurare” un’infrastruttura di un secolo fa e che, comunque, alla fine non corrisponderà esattamente alle esigenze del calcio contemporaneo. Com’è possibile un simile paradosso? Andiamo con ordine.

Approfondimenti

Tutto comincia due anni fa, quando arriva a Firenze un signore di New York, che acquista l’A.C. Fiorentina. Se lo sentite parlare in italiano sembra il doppiatore di un film di F. F. Coppola, ma se lo ascoltate in inglese, si capisce subito che è laureato in ingegneria industriale alla Columbia University ed è uno dei maggiori imprenditori USA nel settore della cable Tv.

Questo signore americano, appena arrivato a Firenze, si accorge che l’associazione calcistica che ha rilevato e priva di patrimonio. Non solo non ha una sede di proprietà, ma prende in affitto lo stadio e persino i campi di allenamento delle squadre.

Si mette subito a lavoro e nel giro di pochi mesi individua e acquisisce un’area incolta alla periferia della città dove intende far sorgere il nuovo Viola park e la sede societaria. Poi cerca una soluzione moderna per lo stadio. Facendola breve trova la migliore opportunità a Campi Bisenzio, dove il sindaco gli metterebbe a disposizione un terreno in prossimità dell’incrocio di due autostrade e a pochi minuti dall’aeroporto internazionale Vespucci.

Ma ai fiorentini non sta bene. Anche se lo stadio verrebbe spostato solo a cinque chilometri dal confine urbano, parlano di espropriazione e chiedono al signore americano di tornare sui suoi passi. Gli propongono di deviare le sue attenzioni sull’area degli ex mercati generali a Novoli. Ma lui si accorge subito che quel pezzo di terra è sottodimensionato rispetto alle effettive esigenze della Fiorentina e soprattutto che gli vogliono far pagare un prezzo sproporzionato all’effettivo valore. Per inciso: com’è che in tutti questi anni gli imprenditori italiani non erano giunti alla stessa conclusione?

Così si ritorna al Franchi. Il signore newyorkese è pronto a ristrutturarlo a proprie spese, ma vuole renderlo fruibile e consono ai requisiti Uefa del calcio internazionale. Per questo incarica un prestigioso studio di architettura fiorentino, dotato di specifiche esperienze nel settore. E a questo punto entra in azione il solito coro greco.

A chi ci riferiamo? A quello stuolo di intellettuali che -anche se non ci hanno mai messo piede- “lo stadio Artemio Franchi non si tocca perché è un capolavoro architettonico intangibile”. Ma è ridotto a un ammasso di ruggine e sabbia? “Non importa, non gli si deve torcere neanche un capello”, pardon un fil di ferro.

Ovviamente il signore americano, non potendo rifarlo come servirebbe, annuncia che non ci spenderà un dollaro. Ma Firenze non batte ciglio: meglio nulla che niente.

E allora il Sindaco, nel vano tentativo di dare ragione a tutti, al signore americano, ai commercianti della zona, al coro degli intellettuali, alle imprese realizzatrici e agli archirestar fiorentini (che non hanno mai costruito una casa dalle fondamenta) estrae dal cilindro i gattini ciechi: lo stadio lo “restauriamo noi a regola d’arte” inserendo il progetto nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Tanto costa solo 95 milioni.

E i soldi chi ce li mette? L’Unione Europea? Ma la UE, almeno in parte, non siamo noi stessi? Perché spendere tutte queste risorse per rifare lo stadio tale quale? Non sarebbe meglio destinarle a un progetto più fruttuoso per lo sviluppo del paese?

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza si inserisce infatti nel programma Next Generation EU, il pacchetto da 750 miliardi di euro dell’Unione Europea in risposta alla crisi pandemica. Si tratta di un intervento epocale che dovrebbe contribuire a risolvere le debolezze strutturali dell’economia italiana e accompagnare il Paese su un percorso di transizione ecologica e ambientale. Il Piano ha come principali beneficiari le donne e i giovani per favorire l’inclusione sociale e ridurre i divari territoriali.

Che c’entra il vecchio impianto sportivo intitolato all’eroe fascista Giuseppe Berta con gli obiettivi UE di digitalizzazione e contrasto al cambiamento climatico? Nulla. Ma a Firenze nessuno fiata.

Che altro potremmo farci -domandate- con € 95.000.000,00? Tante cose. Le prime che mi vengono in mente: un piano per cablare a vera banda larga la provincia di Firenze, oppure un progetto di riforestazione ad anello di tutti i boschi limitrofi alle città toscane, o l’eliminazione (in superficie) della strettoia ferroviaria di Firenze che rallenta tutti i treni nazionali e che da un secolo strozza la città, ancora priva di adeguati sottopassi/sovrappassi ai binari. E ancora una nuova linea tramviaria, oppure la ristrutturazione delle strade provinciali e regionali per bypassare la città di Firenze.

Insomma ce ne sarebbero tante di idee compatibili con i principi affermati dal Next generation EU. Invece noi non abbiamo trovato di meglio che restaurare a regola d’arte un’infrastruttura che in molti paesi europei avrebbero buttato giù da decenni. Come dite? Sono sacrilego e ignorante? Riparliamone quando a Parigi presenteranno un avveniristico progetto di ricostruzione della cattedrale di Notre-Dame, non certo “a regola d’arte” e voi sarete lì a battere le mani.

La verità è che i fiorentini, come al solito, sono rimasti zitti. E gli unici parlare sono sempre i soliti. Inteletuali così snob perdere le consonanti, quelli dal facile ricorso al Tar, quelli che siccome sono laureati e una volta hanno vinto un concorso pubblico hanno in tasca il biglietto vincente della lotteria delle sentenze morali su ogni sorta di argomento.

Per loro, un ultimo pensierino. Non posso raccontare questa storia a Cosimo I de’ Medici, ma sono sicuro che si scompiscerebbe dalle risa. E a voi che credete che Giuseppe Poggi sia stato il distruttore della Firenze medievale, il principe spiegherebbe che quelle “catapecchie dei secoli bui” le ha fatte demolire lui, commissionando la ristrutturazione a due amici fidati, Giorgio Vasari e Bernardo Buontalenti.

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