Mobilità urbana: senza una visione globale si resta fermi

Se mancano adeguata analisi e progettualità globale, com’è ovvio, Firenze è destinata al collasso

Nicola
Nicola Novelli
16 giugno 2021 08:27
Mobilità urbana: senza una visione globale si resta fermi

FIRENZE- Come al solito la colpa è dei cittadini. Parola della vicepresidente del Consiglio comunale Maria Federica Giuliani, che afferma: “Le piste ciclabili offrono un collegamento sia longitudinale che trasversale della città che, purtroppo, molti ciclisti ancora non usano e lo si vede dal fatto che sono tanti coloro che continuano a pedalare sulla strada invece che sulla ciclovia”. E questo nonostante che “Il Comune ha già realizzato, con un ingente investimento, oltre 100 chilometri di piste ciclabili”.

Cento chilometri di piste ciclabili: e dove sono? Domanderete voi. Forse la vicepresidente del Consiglio comunale si riferisce a quei pezzi di ciclabile che non conducono a nulla? Oppure a quelle strisce bianche tracciate con la vernice lungo trafficatissime arterie cittadine alla vigilia elettorale e destinate a sbiadirsi perché considerate pericolose dai ciclisti? Basterebbe rispondere a queste due domande per capire come mai tanti cittadini preferiscono non usarle.

Perché è ovvio che sbaglia chi progetta una pista ciclabile in un area, solo perché lì è facile realizzarla, oppure tracciarla dove servirebbe, ma non con i necessari requisiti di sicurezza. Perché quando si interviene su un sistema complesso come la mobilità urbana, bisogna essere dotati di una visione globale, in mancanza della quale si rischia sempre di sbagliare.

Approfondimenti

Come è successo a Viale Poggi, dove in questi giorni è stato decisa l’inversione del senso di marcia, che ha immediatamente provocato ingorghi circostanti nelle ore di punta e scatenato le ire degli abitanti. La Vicesindaca Alessia Bettini si è affrettata a giustificarsi: "Si tratta di un provvedimento di cui si sta studiando l’efficacia". Conferma implicita che un piano del traffico non esiste e che si va avanti per singoli tentativi.

Infatti è in un altro modo che dovrebbe andare. La Giunta comunale dovrebbe affidare a un gruppo di esperti, urbanisti e tecnici della mobilità, l’analisi approfondita dei flussi di transito, quartiere per quartiere. Poi dovremmo stimare l’evoluzione del traffico urbano nei prossimi decenni e quindi intervenire con un progetto intermodale. E dire che i buoni esempi non mancano. Basterebbe andare in giro per le città d’Europa per scoprire tante buone pratiche, da copiare a Firenze. Dalla A alla Z, da Amburgo a Zurigo. Partendo dai fondamentali.

Prima di tutto gli accessi alla città, che fatte salve la Fi-Pi-Li e l’Autostrada A1, sono gli stessi di 50 anni fa. Basti pensare a Peretola, dove esibiamo l’unico tracciato autostradale che parte con un semaforo, o la fine del raccordo Marco Polo, che quasi va a sbattere contro la facciata dei palazzi.

Poi si dovrebbero sciogliere i nodi di transitabilità. A partire dagli sbarramenti di flusso costituiti dal tracciato ferroviario che ancora oggi taglia in due longitudinalmente la città. Che ne dite dell’otto volante di piazza delle Cure? O dell’assenza di un sottopasso tra viale Mazzini e viale Manfredo Fanti?

Poi, l’analisi di cui sopra sul fabbisogno di spazi di sosta, avrebbe dovuto suggerire dove realizzare i necessari parcheggi scambiatori (se del caso in sotterranea). Invece a Firenze sono stati fatti dove era facile realizzarli. Con il risultato di averne, anche molto capienti, ma per lo più vuoti, come nel caso di piazza Alberti e del Parterre.

Di seguito lo sviluppo delle tramvie, faccenda ampiamente conclusa nel resto d’Europa, mentre qui siamo ancora alle prese con i finanziamenti dell’opera. Basti pensare che a Montpellier (300 mila abitanti) il progetto della prima linea partì quasi in contemporanea con Firenze e che oggi la città nel sud della Francia dispone di cinque linee in esercizio, per complessivi 50 chilometri di rete interurbana sino alle spiagge di Perols.

Ma tutto questo a Firenze non è mai stato fatto. Non con metodo. Con il risultato di avere interventi spot, dall'esito incerto perché mai integrati in una visione globale. Si pensi all’inutilità di fatto della ferrovia urbana Porta a Prato-Piagge, via Cascine, che ha sprecato risorse economiche e impegnato un sedime già pronto su cui avrebbe potuto passare una linea di tramvia. Per non parlare del fantomatico tapis roulant, che dovrebbe collegare Santa Maria Novella alla stazione AV Macelli, che non c'è. La lezione del PisaMover non ci ha insegnato nulla?

Persino le innovazioni tecnologiche sono vissute come un problema. In tutto il mondo i monopattini e i nuovi mezzi elettrici sono considerati una straordinaria risorsa per diminuire il numero di mezzi a motore sulle strade e ridurre l’inquinamento atmosferico. Invece sui titoli dei giornali fiorentini i monopattini diventano una “minaccia”. Come mai? Forse perché non abbiamo progettato per loro adeguati spazi di transito? Forse perché, per evitare la promiscuità con le automobili, i conducenti preferiscono passare sui marciapiedi?

L'unica soluzione è vietarne l'uso? Eppure basterebbe voltarsi indietro per scoprire che, prima della motorizzazione di massa, si doveva e sapeva gestire il problema del transito promiscuo di mezzi diversi. Provate a chiedete a un vigile urbano in pensione com’era complessa la mobilità fiorentina negli anni ’40, quando per le strade della città si mescolavano biciclette e carrozze a cavallo.

Eppure basterebbe trascorrere un fine settimana a Siviglia per sapere come fare. Nella capitale dell'Andalusia infatti il centro storico è stato trasformato da un intervento che ha esteso la pedonalizzazione a tutta l’area monumentale e risanato i selciati. In altre parole, sono spariti i marciapiedi tradizionali, sostituiti da spazi pedonali delimitati da placche metalliche, o pioli. La strada è una superficie piana, riservata al transito di biciclette e nuovi mezzi elettrici. Così è normale vedere scendere dai convogli della tramvia (in centro senza pali) giovani con sottobraccio un hoverboard, con cui completare l’ultimo tratto del loro viaggio intermodale.

Invece a Firenze nessuno si è preoccupato della sopravvivenza dei tradizionali marciapiedi, incompatibili con la mobilità contemporanea, oltre che intollerabile intralcio per i soggetti a ridotta mobilità. Da decenni sono spariti in gran parte d’Europa. Invece qui se ne pretende la manutenzione. Dimenticando che furono concepiti secoli fa, quando le strade non erano lastricate e i pedoni dovevano essere protetti dal fango e dal transito di carri trainati da animali. Animali!

Oggi che la zoologia diserta le nostre strade, gli umani fiorentini non riescono a differenziarsene con le caratteristiche che sarebbero loro proprie: intelligenza e metodo. E senza adeguata analisi, visione lungimirante e progettualità globale, la mobilità urbana, com’è ovvio, è destinata al collasso.

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