Meglio fare silenzio? “L’ultimo tabù” di Carlo Bartoli

Un libro sulla narrazione del suicidio, da collocare sulle scrivanie di ogni redazione giornalistica, oltre che su quella degli addetti ai lavori delle professioni socio-sanitarie

Nicola
Nicola Novelli
30 settembre 2019 09:21
Meglio fare silenzio? “L’ultimo tabù” di Carlo Bartoli

“Meglio fare silenzio” pare l’invito che un Salvador Dalì (ritratto su un murales) rivolge al lettore, sin dalla copertina, dell’”Ultimo tabù”, il libro di Carlo Bartoli, appena pubblicato nella saggistica di Pacini editore. Meglio fare silenzio, piuttosto che parlare, o scrivere a sproposito sul tema del suicidio, soprattutto se si è giornalisti, o blogger, ma anche utenti di social media, che con le nostre parole possiamo provocare una ricaduta negativa, talvolta pericolosissima su un pubblico per lo più sconosciuto.

Terzo volume dei Quaderni della formazione, una collana patrocinata dall’Ordine dei giornalisti della Toscana e dalla sua Fondazione, di cui Bartoli è presidente, “L’ultimo tabù” è un trattato sui risvolti etici e morali dell’atto in sé e sul modo in cui questa scelta intima e privata viene trattata nel mondo dell’informazione. Come in un corso di formazione professionale, l’autore prende per mano il lettore, mettendolo di fronte a casi concreti di cronaca e alla loro interpretazione da parte di esperti clinici e sociali, per costruire una consapevolezza della complessità della questione e del delicato ruolo che i narratori (professionali, o meno) posso svolgere.

Carlo Bartoli, giornalista professionista, con una carriera sviluppata tra Paese Sera, La Nazione e Il Tirreno, dal 2012 tiene un corso di comunicazione giornalistica all’Università di Pisa. Ma anche come presidente dell’Odg Toscana ha sempre contraddistinto il suo impegno nella dimensione deotologica del lavoro. “L’ultimo tabù” è un po’ il coronamento di un’azione di sensibilizzazione che Bartoli porta avanti in seno all’Ordine dei giornalisti da anni.

Nonostante se ne parli poco e male, il suicidio è un fenomeno di straordinaria rilevanza sanitaria e la comunicazione sui casi di cronaca può avere un impatto nocivo sui fruitori del’informazione. Un messaggio pubblico corretto sul suicidio è un’esigenza sociale essenziale, soprattutto per limitare quelli che la dottrina clinica definisce “atti di impulso”, frutto appunto di emulazione. Il saggio di Bartoli si concentra dunque sulle modalità con cui la tradizione giornalistica ha trattato sinora il suicidio, facendone emergere la responsabilità professionale, in particolare nel fornire informazioni sui servizi di aiuto e prevenzione.

Non esiste una ricetta universale, ma un atteggiamento consapevole può aiutare i giornalisti e tutti coloro che trattano l’argomento a livello pubblico. Soprattutto alla luce delle novità dell’universo digitale, in cui la dimensione narrativa del racconto collettivo, impone una nuova e originale declinazione dei principi deotologici consueti. Carlo Bartoli traccia la strada sul lato giornalistico, lanciano un chiaro invito a percorrere lo stesso sentiero morale anche a grandi, o piccoli, operatori informatici e ai soggetti regolatori del mercato informativo.

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