La violenza politica in Toscana nel 1921, prodromo dello squadrismo

Nella relazioni al convegno di Empoli dello scorso anno, ora pubblicate dalla Casa Editrice Leo S. Olschki

Nicola
Nicola Novelli
11 dicembre 2022 17:14
La violenza politica in Toscana nel 1921, prodromo dello squadrismo

FIRENZE- Un punto di arrivo e un punto di partenza per la storiografia. Lo è stato il convegno organizzato nel settembre 2021 a Empoli, le cui relazioni sono adesso disponibili in un volume edito da Leo S. Olschki a cura di Roberto Bianchi.

Tema centrale la strage del 1º marzo 1921. 64 marinai in borghese, a bordo di due camion, per sostituire i ferrovieri scesi in sciopero dopo l'assassinio del sindacalista fiorentino Spartaco Lavagnini, assaliti a Empoli dagli attivisti proletari convinti di trovarsi di fronte a una spedizione punitiva fascista. Vennero uccisi sei marinai e tre carabinieri, prima che la città fosse occupata dai bersaglieri che effettuarono centinaia di arresti e dai fascisti che incendiarono la Camera del Lavoro.

I fatti di Empoli sono solo il culmine di una stagione di violenza politica che attraversa la Toscana tra 1920 e 1921 e che si concluderà nel 1922 con la presa del potere fascista. Il convegno empolese e il successivo libro curato da Roberto Bianchi, docente di storia contemporanea all’Università di Firenze, hanno il merito di collocare la vicenda sul piano storico, al centro della vasta ondata di crimini politici che si consumarono alla vigilia della marcia su Roma.

Approfondimenti

I delitti di Firenze, Ponte a Ema, Scandicci, Empoli, Montespertoli, Certaldo, Gambassi, Foiano della Chiana e Roccastrada, smettono così di essere trattati come episodi singoli e si ascrivono a un’epoca distante dai nostri tempi e che necessita di essere reinterpretata con le giuste lenti di ingrandimento.

Dunque, se cadono le teorie complottiste, come si spiega l’ondata di violenza politica nel primo dopoguerra?

Appunto come figlia del grande conflitto bellico che devasta l’Europa per cinque anni. Siamo di fronte a una società lacerata e quasi assuefatta alla morte, dopo 800.000 caduti al fronte e l’epidemia di spagnola. Una generazione di giovani che hanno imparato a usare le armi in trincea, non hanno paura di uccidere e che, dopo essersi unita nella fratellanza dei commilitoni sul campo di battaglia, si ritrova spaccata in due al suo ritorno a casa. Una moltitudine di artigiani, contadini, impiegati, militari, studenti sceglie una nuova divisa, quella politica, e milita negli opposti schieramenti, con la stessa spavalderia fatalista imparata sul Carso lungo la linea del fuoco.

Da una parte sembra obsoleta la via democratica per l’accesso al potere e, in tutta Europa, il movimento operaio si scinde a seguito della nascita dei partiti comunisti. Dall’altra la borghesia italiana, anche nel centro del paese, non è più quella pavida ante-guerra. Sa impugnare un fucile, o una pistola, e “difendersi” dai sovversivi proletari, più e meglio delle forze dell’ordine.

In questa stagione folle e senza limiti, in cui circolano armi in abbondanza e uomini che le sanno usare, taluni senza scrupoli, prevarrà lo schieramento dell’ordine, quello animato dai reduci raccoltisi nei fasci di combattimento. Con il consenso di categorie sociali impaurite e disorientate dalla inadeguatezza del sistema di governo dell’Italia liberale.

Un fenomeno quasi di carattere antropologico, l’ascesa di una generazione di sopravvissuti dalla guerra, che fa piazza pulita delle convenzioni e tradizioni moderate. Lo hanno imparato sul fronte e lo replicano per le strade delle città. 

Accade qualcosa di simile nel resto del continente, in Germania come in Spagna. Accade qualcosa di simile altrove e in altre epoche: basti ricordare la presa del potere dei reduci in Iran, al termine del conflitto decennale con l’Iraq. Mahmud Ahmadinejad conquista il governo nel 2005 quale l’espressione politica apicale della generazione forgiatasi nei massacri delle battaglie degli anni ‘80. E’ il punto di arrivo di una ascesa di ex pasdaran e guardiani della rivoluzione, sopravvissuti a una immane carneficina, in cui hanno preso parte spesso volontari.

Quando gli uomini imparano a uccidere, si assuefanno alla morte, quando un contesto sociale è invaso dalle armi, questo atteggiamento è destinato a riverberarsi per molti anni. Il convegno di Empoli del 2021 e il libro che ne è scaturito sono l’occasione per comprendere meglio una stagione conseguente alla Grande guerra, che produce il ventennio di dittatura e che sta alla radice della guerra di liberazione del 1944-5.

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