La cultura del giardino nei secoli

Lo spazio verde inteso come luogo imprescindibile per lo sviluppo urbano, nella monumentale opera di Agnolo Pucci, I giardini di Firenze. Per i tipi di Olschki, alle stampe i primi due volumi di sei (pp. XXII-404 con 331 figg. n.t., Euro 38, e pp. XIV-552 con 160 figg. n.t., Euro 48). I volumi sono inseriti nella collana “Giardini e paesaggio”.

13 aprile 2016 16:01
La cultura del giardino nei secoli

FIRENZE - Addomesticare la selvaggia bellezza della natura, per renderla un qualcosa di godibile al piacere dell’uomo, attraverso sensazioni donate dai colori, dai profumi, dai giochi d’acqua e di luce. Si può così sintetizzare l’essenza dell’arte del giardiniere, così come la concepiva ancora Angiolo Pucci (1851-1934), ultimo esponente di una tradizione dell’arte paesaggistica che a Firenze vanta numerosi esempi di altissimo livello. Curatore del Giardino di Boboli, collaboratore di Giuseppe Poggi nella progettazione delle aree verdi di Firenze Capitale, e sovrintendente ai Pubblici Giardini, Pucci fu animato in vita da una profonda passione per l’orticultura, e dalla ricerca della maniera migliore per mettere questa scienza al servizio dell’architettura e della società; un’ottica, la sua, intelligente e moderna, che denota l’attenzione per la qualità della vita cittadina, senza prescindere dall’estetica.

Personaggio poco conosciuto ma non secondario Pucci,che dopo aver ricoperta la carica di sovrintendente ai Pubblici Giardini, fu docente presso la regia Scuola di Pomologia, e apprezzato scrittore, in particolare per l’Enciclopedia orticola illustrata, edita da Hoepli nel 1915, e del quale oggi possiamo apprezzare la vasta opera in sei volumi I giardini di Firenze, edita per i tipi della Leo S. Olschki, e curata dagli architetti Mario Bencivenni e Massimo de Vico Fallani, che hanno lavorato sui manoscritti originali, sinora conservati presso gli eredi di Angiolo Pucci. Dell’opera, sin qui inedita, già Pietro Porcinai aveva intuito il prezioso valore scientifico e documentario, le cui migliaia di pagine hanno giaciuto per anni nell’archivio dei discendenti. Ritrovate, trascritte e riordinate da Bencivenni e Fallani, vedono adesso la luce nell’elegante veste grafica di Olschki, che ce ne restituisce intatto il fascino.

Un’opera poderosa, che si sviluppa in sei volumi, i primi due dei quali appena pubblicati, con il titolo I giardini dell’Occidente dall’Antichità a oggi, e Giardini e paesaggi pubblici, e che intende affrontare, in maniera puntuale e sistematica, la nascita e l’evoluzione del giardino a Firenze, con un’ottica, però, agli eventi dell’epoca: per comprendere la valenza dell’opera, bisogna tenere presente come essa sia stata scritta in un periodo di profondi cambiamenti urbanistici che interessarono Firenze, ovvero quelli legati agli anni della Capitale.

In quell’epoca nacque il primo sistema di verde urbano gestito dall’Amministrazione comunale; e proprio la caratteristica della gestione del verde pubblico, è individuata da Pucci quale elemento imprescindibile per il formarsi di un vasto patrimonio di verde pubblico. Un patrimonio la cui presenza è essenziale per garantire una buona qualità della vita cittadina, e concorrere a formare la bellezza della città stessa. Da qui, la lunga e dettagliata analisi dei vari stili che nei secoli hanno caratterizzato l’arte di progettare giardini, esempi cui ispirarsi per continuare ad “abbellire la Natura”.

Il primo volume traccia la storia universale del giardino, dall’Età Antica al tardo Ottocento, attraverso approfonditi capitoli costruiti attingendo a importanti fonti storiche, quali le lettere di Plinio il Giovane, gli scritti di Tacito, Giovenale e Svetonio, passando per il Davanzati, Gregorovius, e una vasta scelta di autori francesi. Perché l’esauriente volume affronta le origini del giardino in Italia e in Europa, in particolare quelli d’Oltralpe, analizzando Versailles, le Tuileries, Fontainebleau, ma riservando una certa attenzione anche alla scuola nordeuropea, dall’Olanda al Regno Unito.

Fulcro centrale del volume, l’Italia e Firenze, dove, si apprende, nacque il giardino rinascimentale di cui Boboli forni il modello al resto della Penisola e del Continente. Il raffinato apparato iconografico, con numerose fotografie d’epoca, aiuta il lettore a raffigurarsi i capolavori descritti da Pucci, che nei secoli mostra come il concetto di giardino si sia modificato, e con esso la sua estetica.

L’imponente opera, entra nel vivo con il secondo volume, Giardini e paesaggi pubblici, strettamente dedicato a Firenze, e suddiviso in quattro capitoli che analizzano le vaste aree verdi strategiche per la bellezza della città: le Cascine (di origine medicea), il Viale dei Colli, la passeggiata dei Viali esterni, e infine il Parterre e i giardini interni alla città. Attraverso un gradevole stile narrativo, che spazia fra la tecnica e la storia, l’autore ricostruisce anche le vicissitudini urbanistiche di Firenze della fine dell’Ottocento, con i profondi interventi di Giuseppe Poggi che in parte ne cambiarono il volto.

Le 150 fotografie d’epoca che arricchiscono il volume, sono elemento prezioso per riscoprire il fascino della città di quegli anni, nei quali non mancarono opinioni divergenti circa il nuovo assetto urbanistico, come lo stesso Pucci documenta. Le aree verdi - di cui si narra la storia con dovizia di particolari -, furono elementi importanti di questi interventi, ai quali Pucci lavorò in prima persona, in qualità di collaboratore del Poggi, come accennato di sopra. Ma avventurandosi in questa narrazione che ha il profumo crepuscolare dell’Ottocento, il lettore viene a conoscenza della “personalità” dei vari giardini, abitati da numerose specie botaniche, accuratamente descritte dall’autore.

A impreziosire i due volumi, sia le sovraccoperte - sulle quali spiccano belle fotografie d’epoca -, sia l’ampio apparato iconografico interno, con numerose fotografie, mappe dei giardini, vedute cittadine e documenti d’epoca. Oltre a un ampio apparato critico, e interessanti saggi di approfondimento.

A questo imponente progetto editoriale, Pucci attese per circa venti anni della sua esistenza, non riuscendo però a trovare le giuste condizioni per procedere alla pubblicazione. Pubblicazione giunta oltre ottant’anni dopo la sua scomparsa, ma nonostante il tempo trascorso l’opera non ha perso il suo valore documentario, restando, inoltre, un prezioso contributo, anche per l’urbanistica moderna, su come progettare e valorizzare al meglio gli spazi verdi delle nostre città.

Nell’immagine, tratta dall’opera di Pucci, il Piazzale Michelangelo sul finire dell’Ottocento.

Niccolò Lucarelli

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