Il ricordo di Antonino Caponnetto a vent’anni dalla sua scomparsa

A Montelupo Fiorentino un evento per ricordare il magistrato e il pool antimafia con Falcone e Borsellino

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
05 dicembre 2022 23:17
Il ricordo di Antonino Caponnetto a vent’anni dalla sua scomparsa

Dopo l’assassinio di Rocco Chinnici, si candidò e venne selezionato come Consigliere istruttore a Palermo, dove si ritrovò a guidare il Pool antimafia insieme a Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Giuseppe Di Lello, Leonardo Guarnotta. Il pool antimafia istruì il famoso maxi processo di Palermo, mandando a giudizio più di 400 indiziati per reati di mafia. 

Il 6 dicembre 2022 il MMAB di Montelupo Fiorentino ospiterà l’evento Vent’anni dopo: la memoria contro la mafia. Il ricordo di Antonino Caponnetto nel libro del figlio”. Sarà presente Massimo Caponnetto, autore del libro e figlio del magistrato. L'evento fa parte delle iniziative per la Festa della Toscana 2022, quest'anno dedicata all'articolo 21 della nostra Costituzione e quindi alla libertà di espressione.

La serata ha inizio alle ore 21.00 con l’introduzione di Don Alessandro Santoro della comunità delle Piagge. Le EdizioniPiagge, infatti, hanno pubblicato il libro “C’è stato forse un tempo: la storia dell’amore fra Nino e Bettina Caponnetto” proprio nel 2022. Oltre alla presenza di Massimo Caponnetto, l’incontro sarà arricchito dalla cantautrice Chiara Riondino, che eseguirà dal vivo alcuni brani sul tema della lotta alla mafia, fra i quali alcuni composti proprio a partire dai testi di Caponnetto.

Approfondimenti

Massimo Caponnetto ripercorre la storia del padre, non solo descrivendone la fervente attività (una vera e propria lotta contro il tempo, con la consapevolezza che presto avrebbero ucciso chiunque portasse avanti la lotta a Cosa Nostra), ma anche andando a ricercare le radici della motivazione che conduce una persona a dedicare tutta la propria vita a una causa, senza mai risparmiarsi, senza domandarsi perché, solo per andare verso l’ideale della giustizia.

Nell'occasione Nove da Firenze ha chiesto al suo allievo Vincenzo Musacchio un ricordo dell’uomo che ha dato tutto se stesso per la legalità.

Professore, lei ha conosciuto e collaborato con Antonino Caponnetto, che ricordo ha di lui?

Lo chiamavo nonno Nino, per me è stata una figura di eccezionale importanza. Umano, di una grande bontà d’animo pari alla sua rettitudine morale. Un uomo capace di essere autorevole e spiritoso al tempo stesso. Lo ricordo come un magistrato integerrimo e implacabile nella lotta alla mafia. Ancor di più come l’uomo che ha creduto fortemente nella diffusione di una cultura della legalità nelle scuole.

Come l’ha conosciuto?

Era il 17 febbraio 1995 e grazie all’intercessione di Maria Falcone riuscii a contattarlo e portarlo a Termoli come relatore sul tema “La lotta alla criminalità organizzata nello Stato di diritto: problemi e prospettive”. Mi rimase impressa nella mente la sua amarezza legata soprattutto al fatto che Giovanni Falcone e Paolo Borsellino diventarono eroi nazionali soltanto dopo la loro morte. Mi disse che tutti gli attacchi subiti fecero molto male ai due magistrati, anche se loro non lo davano mai a vedere.

Le raccontò qualcosa in particolare su Giovanni Falcone?

Mi raccontò della mancata nomina di Falcone, dopo il suo pensionamento, a capo dell’ufficio istruzione di Palermo. Il Consiglio Superiore della Magistratura gli preferì Antonino Meli. Il che era legittimo ma sconcertante, non con il senno del poi, ma già con quello che avrebbe dovuto guardare ai risultati del maxi-processo. Fu una ferita che lasciò un segno profondo in Giovanni Falcone.

Le raccontò anche qualcosa su Paolo Borsellino?

Mi rivelò che Paolo Borsellino sapeva di essere nella lista di morte della mafia e che il tritolo per lui fosse già arrivato a Palermo. Mi raccontò che aveva chiesto già un mese prima della strage alla Questura palermitana di voler disporre la rimozione degli autoveicoli dalla zona antistante all’abitazione della madre. Era affranto e incredulo su questo fatto. Non riusciva a spiegarselo.

La sua famosa frase “è finito tutto” dopo la morte di Borsellino che senso aveva? Le disse qualcosa in merito?

Mi disse che in quel momento sarebbe voluto morire anche lui. Che quelle parole da allora in poi avrebbero dovuto essere per noi un motivo in più per farsi coraggio, per riprendere le forze e la speranza, e lavorare alacremente sul cambiamento culturale e sulla lotta alla mafia. Da quel maledetto 19 luglio 1992 Caponnetto diventò il primo rappresentante dell’antimafia culturale, girò l’Italia in lungo e in largo per testimoniare nelle scuole la sua esperienza e portare avanti le idee dei magistrati uccisi dalla mafia. Ci sentimmo tante volte, ebbi il privilegio di avere il suo telefono di casa a Firenze dove, se non ricordo male, abitava in Via Baldasseroni e partecipammo insieme con alcuni incontri soprattutto con gli studenti.

Com’era con gli studenti?

Come un padre affettuosissimo con i suoi figli. Quando ripenso a quei momenti, mi pervade un’enorme sensazione di felicità. Quando vent’anni fa (era il 6 dicembre del 2002) morì in un ospedale fiorentino piansi come quando si perde un familiare. Ancora oggi mantengo la promessa che gli feci e che lui direttamente mi chiese di mantenere fino a quando le forze me lo avrebbero consentito.

Chiudiamo l’intervista con un episodio che in pochissimi conoscono?

Guardi le racconto un fatto divertente che non conosce nessuno. Quando fu mio ospite assieme a sua moglie, la mia mamma (pugliese doc) gli cucinò le orecchiette con le cime di rapa. Fece una recensione gastronomica dicendo a mia madre che la sua pietanza era eccezionale e che non aveva mai sentito sapori così autentici e genuini come quelli che aveva appena provato. Mia mamma si commosse e lui le strinse la mano con entrambe le sue dicendole col suo solito sorriso e la sua ironia: “Guardi che era un complimento”. Ridemmo tutti.

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