Craxi, una ferita ancora aperta

Esce domani in sala ‘Hammamet’, l’ultimo film di Gianni Amelio sul controverso leader socialista, interpretato da Pierfrancesco Favino. Ed è già scontro politico

Elena
Elena Novelli
08 gennaio 2020 22:23

Non sono mancate le polemiche stamani, al cinema Adriano di Roma e in contemporanea all’Anteo di Milano, durante la conferenza stampa di presentazione di ‘Hammamet’, il film sugli ultimi sette mesi di vita di Bettino Craxi. In particolare il dibattito si è infiammato quando da Milano ha preso la parola Gianni Barbacetto de Il Fatto Quotidiano, che in sostanza ha accusato Amelio di essere stato troppo ‘tenero’ con l’uomo politico, se non addirittura di aver messo in cattiva luce il pool di ‘Mani Pulite’.

"Non ho fatto un film contro i giudici di Milano - ha gridato il regista contro Barbacetto, in un’accorata difesa del suo film - vi sfido a trovare una sola immagine contro di loro”. “Quello che dice Favino è il pensiero di Craxi, che infatti inquadro in 4/3 e non in 16/9 come il resto delle immagini - ha spiegato Amelio - ed è come se virgolettassi i sui discorsi”. “Non insulto nessuno - ha ribadito - come è stato fatto credere dal vostro giornale”. “La vostra è cattiva informazione”, ha tuonato portando avanti una polemica col quotidiano, partita già qualche tempo fa e, c’è da scommetterci, destinata a non spegnersi facilmente.

E al confronto in sala, faceva intanto eco l’intervista a Bobo, uscita sempre stamani su La Repubblica. "Inizialmente ho avuto uno scazzo con Amelio e la produzione - ha detto il figlio di Bettino Craxi - perché l’elemento romanzato prevale su quello politico”. “Mentre scorrevano le immagini mi dicevo continuamente 'ma Bettino non parlava così' - ha dichiarato Bobo al quotidiano - mi arrabbiavo per certi fatti non veritieri".

"Il film non analizza le ragioni profonde su cosa accadde in Italia dopo la fine della Guerra fredda - ha spiegato nell’intervista - bisognava ristabilire un nuovo ordine, in economia e in politica, e mio padre si rifiutò di guidare una rivolta nazional-capitalistica del sistema, perché come disse in un famoso discorso al congresso socialista di Bari, citando Ugo La Malfa: 'Io sono un uomo del sistema'. Allo stesso tempo il nuovo ordine mondiale non poteva più tollerare eccessivi elementi di autonomia nazionale.

E siccome non erano più tempi di golpismo militare si scelse l’arma del golpismo giudiziario o della purificazione morale".

Ma sbaglia chi cerchi nell’opera analisi o ragioni politiche. Ciò che interessa a Gianni Amelio è l’uomo. “Parlo di un uomo potente che ha perso lo scettro - ha dichiarato il regista al suo tredicesimo film - e lo seguo nella sua lunga e inesorabile agonia, fino alla morte”.

‘Hammamet’ ci mostra uomo che in pubblico sfodera sicurezza e arroganza, ma in privato combatte contro se stesso e i suoi fantasmi. Ricorda Macbeth, questa figura macerata e logorata dal potere, anche nel corpo che sanguina proprio come il personaggio shakespeariano. E che al culmine del suo successo - ci racconta in una delle sue confidenze allo spettatore - ha sete, tanta, troppa, e scopre così la malattia, o meglio la sua fragilità umana.

Il suo spettro invece è Fausto, interpretato dal tormentato Luca Filippi, che ricorda il Fausto di ‘Colpire al cuore’, primo film di Amelio in cui faceva da sfondo il terrorismo. Lì era il figlio a cercare la morte del padre, qua invece è il figlio di un amico inascoltato, che poi diventa vittima sacrificale, così come Fausto è il simbolo di tutti gli orfani dei molti che si tolsero la vita in quegli anni.

Ha un impianto teatrale l’opera di Amelio, con il mare che fa da fondale: un mare denso, una barriera invalicabile che separa per sempre Craxi dall’Italia; un mare insondabile e minaccioso da cui non escono gli squali di Spielberg, ma che porta di volta in volta comparse della vita splendente e passata dell’uomo di potere. E non c’è bisogno di dar loro dei nomi, lo stesso Bettino non viene mai chiamato col suo, perché sono tutti riconoscibili, e necessari nella loro funzione archetipica.

Si avvicendano così i politici come il cinico Renato Carpentieri, o l’amante devota interpretata da una matura e meravigliosa Claudia Gerini, o il figlio per l’appunto, forse la figura più poetica interpretata dal delicato Alberto Paradossi, che sulle note di “Piazza grande” cerca di riannodare un rapporto interrotto col padre. “Prima veniva la politica, poi il partito, poi gli amici, e infine venivamo noi - ha dichiarato ancora Bobo nell’intervista di stamani a Repubblica - io ho cercato di essere un padre diverso”.

Sul palcoscenico di Hammamet, accudiscono Craxi una moglie onnipresente - eppure sideralmente distante come solo le mogli sanno essere, e come lo è l’elegante Silvia Cohen -, e la figlia - interpretata da una rigorosa e impeccabile Livia Rossi - qui chiamata Anita, l’unica ad avere un nome in onore all’eroe del leader socialista: Giuseppe Garibaldi.

Tra i riferimenti di Amelio nel costruire il personaggio di Stefania Craxi e il suo rapporto col padre, ci sono Elettra ed Agamennone, Cassandra e Priamo, Cordelia e Re Lear. Come la vera, Anita è una figlia caparbia, sempre al suo fianco fino allo stremo, perfino contro voglia, come quando lo accompagna dall’odiata amante. Una figlia che lo difende ad oltranza, anche contro se stesso e al suo desiderio di autodistruzione. Come dice lui stesso in una deliziosa battuta che fotografa l’opposta visione della vita dei due: “Lei vuole aggiungere anni alla vita, io voglio aggiungere vita agli anni”.

Poi c’è Pierfrancesco Favino, che sulla sua immensa interpretazione - a cui non aggiungiamo altre parole per non rovinare a chi vedrà il film la magia della finzione - ha ringraziato i truccatori e ricordato i maestri dell’accademia, che gli hanno insegnato come la maschera consenta un contatto con qualcosa di molto più intimo, che a volte si ha paura di toccare. Favino naturalmente va di molto oltre la maschera, e se ne serve per mettere a nudo l’anima e il corpo del presidente, che come i politologi sanno, in un vero leader vanno sempre a braccetto.

L’unica concessione del film ai successi della carriera politica di Bettino Craxi, viene dal nipotino che chiama il nonno ‘comandante’, e che in una tenera e struggente scena sulla spiaggia, ricostruisce con i suoi soldatini l’episodio di Sigonella. Così, mentre fuori dal cinema scoppiavano le micce di un conflitto mondiale in cui l’Italia non ha nessuna voce in capitolo, a qualcuno dentro è venuto il magone ripensando a quell’uomo ostinatamente antipatico, e a quando ‘si stava meglio quando si stava peggio’.

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