Rogo in fabbrica a Prato, sette vittime che adesso fanno discutere

Le fiamme di Prato hanno causato il crollo del fabbricato adibito a dormitorio nel più grande polo di insediamenti industriali dell'area metropolitana. Enrico Rossi scrive a Letta

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
02 dicembre 2013 12:41
Rogo in fabbrica a Prato, sette vittime che adesso fanno discutere

Ditta tessile al Macrolotto, sette morti e tre ustionati nell'incendio scoppiato in via Toscana che oggi fa discutere e tornare d'attualità il tema del lavoro nero, dello sfruttamento, dell'integrazione e dei diritti negati. Le fiamme di Prato hanno causato il crollo del fabbricato adibito a dormitorio nel più grande polo di insediamenti industriali dell'area metropolitana. I corpi rinvenuti tra le macerie dei loculi in cartongesso. Un uomo è morto aggrappato alle inferriate di una finestra.

Testimoni hanno sentito urla provenire dal capannone, mentre la colonna di fumo era visibile da mezza città a causa del forte vento. Oggi alle 15 la vice presidente della Provincia di Prato Ambra Giorgi si recherà insieme al vice presidente della Cna Wang Li Ping, a visitare i due feriti dell'incendio del Macrolotto in ospedale. Ambra Giorgi spera di poter salutare ed esprimere la propria partecipazione ai familiari dei due lavoratori. Oltre lo sfruttamento più brutale, e si sconfina nella schiavitù, violando i diritti umani più elementari, di questo si parla oggi. Sulla tragedia di Prato che ha causato la morte di sette lavoratori rivolgo al governo nazionale un forte appello: lo Stato deve intervenire con un Piano nazionale.

L’ho fatto già in altre occasioni, sia con il Ministro degli Interni Maroni che recentemente con il ministro Alfano. Ma questa volta devono ascoltarmi. lo scrive Enrico Rossi in una lettera aperta inviata al Presidente Enrico Letta. Ciò che deve essere chiaro è che il distretto delle confezioni cinese di Prato agisce in una specie di extraterritorialità, è una sorta di delocalizzazione alla rovescia, dalla Cina al macrolotto di Prato, dove non esistono regole e dove tutto si basa essenzialmente sullo sfruttamento brutale dei lavoratori con paghe di un euro all’ora, stipati come topi nei soppalchi dormitorio dei capannoni dove si lavora, in condizioni che non sono assolutamente paragonabili a quelle degli immigrati italiani negli anni ’60 perché nel distretto cinese delle confezioni si vive in condizioni che sono al di sotto dei fondamentali diritti umani, per cui non è esagerato parlare di condizioni di schiavitù. Questo sfruttamento brutale con orari di lavoro prolungato e notturno consente di produrre un economia al nero, che è la più grande del centro-nord d’Italia, garantendo una rendita enorme legata agli affitti dei capannoni e ad una produzione just-time , detta “pronto moda” che riempie i negozi delle città europee con abiti a basso costo. Risulta evidente, anche dalle indagini della magistratura, l’esistenza di un racket dell’estorsione a cui sono sottoposte le stesse aziende cinesi, per cui se esiste in Toscana un problema mafia e pizzo si può presupporre che esso sia localizzato in modo consistente a Prato. E’ evidente che questa situazione non si può risolvere affrontandola solo sul piano sociale, con interventi pur necessari di integrazione, sulla scuola e sanità, già sviluppati a buon livello, né semplicemente sul piano repressivo, soprattutto se questo si limita ad azioni dimostrative, anziché esercitare una pressione verso la legalità in modo costante e coerente. Per questo è necessario un Piano nazionale strutturato, da costruirsi con il governo che deve esercitare tutti i suoi poteri investendo la politica estera, di sicurezza, insieme ad iniziative legislative sul piano fiscale e industriale. 1) Il governo cinese deve essere chiamato in causa direttamente sia per costruire accordi in materia di lotta alla criminalità, sia per contrastare e concertare la concessione dei visti in uscita dalla Cina eliminando quanto più possibile il fenomeno della clandestinità. 2) La presenza dello Stato a Prato in tutte le sue articolazioni deve essere rafforzata, allo scopo di esercitare il controllo della legalità in maniera costante e intelligente.

Non è possibile che a Prato si rilascino 1.500 visti di soggiorno all’anno e non si sappia neppure quale sia la reale consistenza della comunità cinese. 3) Occorrono interventi legislativi che in tutta l’area interessata al fenomeno consentano di esercitare un più rigoroso controllo sugli affitti e sulle cessioni. In un quadro di rigorose politiche della legalità la Regione Toscana è disposta a rafforzare il proprio intervento attraverso un aumento degli operatori. 4) Occorrono politiche per favorire l’emersione economica e aiutino gli imprenditori che vogliono mettersi in regola.

Si devono consentire, anche con specifici interventi legislativi e supporti economici, la graduale emersione dell’economia cinese del distretto. 5) Tutta l’area del distretto deve essere oggetto di un pesante intervento di ristrutturazione urbanistica e territoriale, integrando alle funzioni produttive, funzioni commerciali e abitative. Insomma: un grande progetto di trasformazione finalizzato a garantire condizioni minime di vivibilità alle migliaia di lavoratori che già in quella zona vivono in condizioni disumane.

Si tratta di procedere ad una mappatura delle destinazioni d’uso effettiva, e quindi ad una variante urbanistica su tutta l’area che riordini ed integri le diverse funzioni esistenti, prevedendo anche in questo caso agevolazioni e semplificazioni. Tralascio altri aspetti: sanità, scuola, sociale, formazione, su cui come ho già detto, bisogna intensificare iniziative che volontariato, amministrazioni locali e Regione, stanno già sviluppando senza peraltro ricevere particolari aiuti dallo Stato. Propongo un piano nazionale per trasformare una realtà di sfruttamento e schiavitù in un una grande occasione di crescita, di sviluppo, e di integrazione.

Prato, la Toscana e l’Italia possono avere il più grande e potente distretto delle confezioni d’Europa. Al Presidente del Consiglio Letta chiedo un incontro con l’obiettivo di definire entro tre mesi un accordo di programma che preveda tutti gli interventi necessari ad avviare questa bonifica, riconversione e integrazione. “Morire da schiavi, bruciati dentro una fabbrica, è un orrore indegno di un paese civile. Nella piana fra Firenze, Prato e Pistoia esiste una situazione di lavoro nero e immigrazione clandestina cinese che molto spesso coincide con la schiavitù.

Una tragedia annunciata, nata dall’indifferenza e dall’interesse di chi vuole speculare per lucro, anche mettendo in gioco delle vite umane”. E’ quanto ha affermato la senatrice fiorentina Rosa Maria Di Giorgi, dopo una visita alla zona del Macrolotto 1 di Prato, in cui si è consumato il rogo della fabbrica cinese. “Ora servono interventi decisi – conclude la senatrice Di Giorgi -, controlli capillari e un’applicazione ferma delle regole che esistono e devono essere rispettate.

Ma serve soprattutto una percezione diversa della sicurezza da parte dei cinesi stessi, che devono iniziare a prendere coscienza dei diritti di chi lavora”. «Un consiglio regionale straordinario per il “caso Prato”.» A chiederlo ufficialmente è il Presidente del Gruppo regionale Nuovo Centrodestra (NCD) Alberto Magnolfi con parole di compassione ma anche di denuncia. «Il primo sentimento - chiarisce Magnolfi - è di cordoglio e la prima esigenza che sentiamo è quella di una riflessione intima e sofferta che dovrebbe, per almeno qualche ora, sopire le davvero inopportune polemiche di parte. Poi, inevitabilmente, verrà il tempo di aprire un esame senza ipocrisie, a 360 gradi su questa tragedia annunciata e sulle condizioni di illegalità, di abbrutimento e di schiavismo che fanno di Prato, ci piaccia o meno, una drammatica emergenza nazionale.» «Con questo spirito - prosegue il Presidente pratese - abbiamo richiesto una seduta straordinaria del Consiglio regionale, per esaminare in tutti i suoi aspetti, economici, sociali, di legalità e di sicurezza pubblica, il quadro complesso ed allarmante di cui la tragedia di questi giorni rappresenta solo un caso eclatante, tra i tanti che ogni giorno avvengono a telecamere spente e tra quelli che - è facile prevedere - potrebbero avvenire.» «Di fronte a fatti così gravi è triste dover prendere atto che sinora il “Caso Prato” non è riuscito ad imporsi all’attenzione delle Istituzioni e dell’opinione pubblica italiana, se non per sporadiche inchiesta di colore. Siamo convinti - conclude Alberto Magnolfi - che ogni sforzo debba essere finalizzato a far maturare nella coscienza e nelle Istituzioni a livello nazionale una piena consapevolezza della dimensione del fenomeno e della tremenda complessità della sfida che non può essere lasciata soltanto a provvedimenti emergenziali ed all’impegno degli attori a livello locale.» “Una strage che poteva essere evitata.

I sette morti e i due feriti gravi rimasti coinvolti nell'incendio di un capannone in zona Macrolotto sono il frutto di una situazione di illegittimità che va avanti ormai da anni, di uno sfruttamento dei lavoratori che va oltre ogni limite e ogni legge, costretti a vivere e lavorare negli stessi locali, assieme alle loro famiglie, accatastati, in soppalchi fatiscenti e senza alcun rispetto delle normative di sicurezza. Una situazione, quella del Macrolotto, nota a tutti, che periodicamente torna a far parlare di sé, e che per questo doveva già essere attenzionata.

Ma perché i controlli non sono scattati prima? Perché i locali non vengono ispezionati periodicamente. E’ vero che diventa quasi impossibile verificare ogni stabilimento, ma quando si suppongono delle irregolarità bisogna trovare le energie sufficienti per farlo. E’ questo il senso e il dovere dello Stato. Solo così si può evitare di piangere le vittime di queste tragedie”. E’ la presa di posizione del Segretario Regionale dell’Italia dei Valori della Toscana Giovanni Fittante, che chiede più attenzione e più tempestività dei controlli in materia di lavoro, dopo la tragedia di Prato. Immediata anche la reazione del Segretario Nazionale dell’IdV Ignazio Messina, secondo cui “l’Italia non può chiudere gli occhi di fronte a queste tragedie.

Bisogna adoperarsi affinché vengano rispettate le regole e i diritti dei lavoratori. Chiunque opera nel nostro Paese deve attenersi a norme certe e condivise”.

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