I bambini in Toscana stanno bene ma sono sempe meno

L'iperprotezione verso i propri ragazzi rebde più difficoltoso il passaggio dall'infanzia all'adolescenza: da un'indagine di Roberto Volpi. I Centri affido nella nostra regione: carenze normative e strutturali

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
11 dicembre 2012 20:35
I bambini in Toscana stanno bene ma sono sempe meno

Un quadro sostanzialmente positivo sulla condizione generale dei bambini e ragazzi toscani: livelli elevati di salute, grande disponibilità di spazi e opportunità di gioco, famiglie molto attente, attività extrascolastiche. Insomma dal rapporto sui minori in Toscana curato da Roberto Volpi, ‘Bambini e ragazzi in Toscana. A partire dai dati, fuori dagli stereotipi’, presentato oggi all’Istituto degli Innocenti a Firenze, tutto sembra filare liscio. Ma non mancano gli aspetti problematici, come sottolineano l’assessore al welfare Salvatore Allocca e l’autore della ricerca. “Quando parliamo di minori – ha detto l’assessore – dobbiamo sempre sottrarci da stereotipi e luoghi comuni, che purtroppo vengono ingigantiti a dispetto di quella che poi è la realtà.

Viviamo in una società in cui fa notizia l’eccezione, e non la regola. E questo vale per tanti aspetti. Prendiamo la sicurezza, prevale quella che è la percezione, che poi finisce per prevalere sulla realtà. Viviamo in un mondo percepito e questo vale anche quando parliamo di bambini e ragazzi”. Ci sono tanti parametri che ci dicono che i nostri bambini e ragazzi stanno bene. “I dati – ha aggiunto Allocca – sono importanti ma non ci dicono tutto. Dobbiamo anche considerare le trasformazioni del modello sociale, delle famiglie, che ormai sono tutte con un figlio.

La conseguenza è che i nostri bambini vivono iper protetti e tutti i percorsi di crescita vengono ad indebolirsi. Mancano processi che prima si vivevano con maggior serenità e che adesso, in molti casi, finiscono per rendere più difficoltoso il passaggio dall’infanzia all’adolescenza che è poi la fase più delicata. Qui entrano in gioco altri fattori, altre pressioni. E disuguaglianze, che sono mal sopportate dai bambini e dai ragazzi”. Eccessiva concentrazione, da parte delle ricerche e delle indagini che li riguardano, sugli aspetti negativi, quelli cioè destinati a far più audience.

“C’è la tendenza – ha spiegato Volpi durante l’incontro – a mettere l’accento sui fenomeni drammatici che li riguardano (scomparsi o abusati sessualmente, morti di tumore o in incidenti stradali) ma che in Toscana assumono dimensioni piuttosto esigue. Spesso, quando si parla di minori, l’attenzione si concentra sulle visioni negative senza invece spostarla su quanto viene fatto in termini positivi, sui traguardi raggiunti, sulle possibilità che si aprono. Non è una prerogativa dei mass-media ma anche di chi lavora nei servizi per l’infanzia, dei professionisti e degli esperti che studiano questo mondo.

Un eccesso di protezione e di divieti, che contribuisce a ritardare il passaggio dall’infanzia all’adolescenza per mancanza di libertà e autonomia”. “In un mondo di bambini rarefatti – ha concluso Volpi – e la Toscana è ai primissimi posti in questo mondo, quel che assume una consistenza relativamente ai bambini è quasi esclusivamente la visione preoccupata, ansiosa e ansiogena con cui vengono descritti e vissuti e il senso spasmodico di una protezione nei loro riguardi che non sembra mai essere sufficiente”. Altro capitolo, talvolta doloroso, è quello che riguarda l'affidamento dei minori.

Una Toscana fatta a macchia di leopardo, dove le esperienze positive si accompagnano a opacità pronunciate e dove si conferma, sempre e comunque, che per tutelare i bambini in affidamento temporaneo non basta selezionare e formare le famiglie affidatarie, perché qui si tratta di un servizio e “non di puro e semplice volontariato”. Quindi occorrono risorse e strutture sui territori, riferimenti costanti, come precisa a più riprese il mondo dell’associazionismo che sfila nella commissione d’inchiesta guidata da Stefano Mugnai (Pdl).

Un servizio, quello di affidamento, disciplinato da norme regionali e che fa perno sui Centri affido, costituiti dai Comuni in collaborazione con le strutture socio-sanitarie del territorio. I Centri, come emerso in commissione, operano in maniera non omogenea e ci sono zone della Toscana che ne sono sprovviste. Nella commissione sull’attività di affidamento dei minori a comunità e centri alla luce della vicenda del Forteto, Mirco Landi e Andrea Bartolini, dell’Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie (Anfaa); Anna Maria Columbu, portavoce del Coordinamento delle associazioni toscane Ubi minor e Maria Dina Tomei della Comunità Papa Giovanni XXIII, descrivono il “sistema” in Toscana, dentro una realtà fatta di esperienze diversissime.

“Lo diciamo chiaramente – afferma Columbu – siamo molto critici sull’attuazione delle norme: senza risorse i servizi non viaggiano, e i volontari non possono fare tutto da soli”. Così emergono i casi di Pisa, dove il centro affidamento non riesce ad assicurare la presenza fissa dell’equipe destinata a seguire famiglie a bambini (assistente sociale, psicologo, educatore) rispetto per esempio a Firenze, dove invece di equipe ce ne sono due e dove Andrea Bartolini, vicepresidente Anfaa e genitore affidatario, conferma in prima persona: “C’è una equipe dedicata, abbiamo ricevuto un’ottima formazione”.

Le diversità sul territorio, del resto, coinvolgono aspetti di delicatezza assoluta. I commissari (Maria Luisa Chincarini, Idv) insistono in particolare sulla necessità di colloqui successivi all’affidamento, a tu per tu tra il bambino e l’assistente sociale, ulteriori rispetto agli incontri periodici con assistenti sociali, educatori e famiglia affidataria (e poi anche con la famiglia naturale). E se Landi spiega come dovrebbe sempre viaggiare il servizio di affidamento – a cominciare dalla formazione specifica per gli attori coinvolti, dagli operatori alle famiglie –, il lavoro portato avanti nella commissione d’inchiesta sollecita una valutazione sul funzionamento dei servizi sociali sul territorio (Paolo Bambagioni, Pd), per capire se e come intervengano prima e dopo gli affidamenti (“Ciascuno di noi ha un’esperienza diversa – conferma Landi – e c’è chi ha denunciato l’assistente sociale per abbandono di minore”).

L’associazione comunità Papa Giovanni XXIII ha consegnato alla commissione la propria esperienza: otto case famiglia a conduzione familiare su tutto il territorio toscano; 50 bambini ospitati, la maggior parte disabili gravissimi, affidati ai servizi sociali e collocati presso le case famiglia. Oltre ai disabili anche bambini normodotati e anche adulti (accoglienza per ragazzi di strada, per esempio): per il 60 per cento delle persone ospitate la Comunità riceve una retta, il restante 40 ne è sprovvisto.

Associazione nazionale, alla fine del percorso di riconoscimento in Regione Toscana, la Comunità conferma il continuo ricorso ai servizi sociali, come pure l’esistenza di controlli a cadenza regolare. (Cam)

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