Autonomie locali: riforma regionale in un quadro nazionale incerto

Necessaria per lo sviluppo, secondo Riccardo Nencini

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
14 ottobre 2011 23:07
Autonomie locali: riforma regionale in un quadro nazionale incerto

FIRENZE – “Alla Toscana dobbiamo una risposta: quale architettura istituzionale può meglio favorire la crescita e lo sviluppo? La riforma degli enti locali che abbiamo presentato in Consiglio regionale mesi fa prova a rispondere a questa domanda”. Lo sottolinea l’assessore alle riforme e al rapporto con gli enti locali, on. Riccardo Nencini, intervenuto stamani al seminario, sulla riforma delle autonomie locali in Toscana, organizzato dalla prima commissione del Consiglio regionale a Palazzo Bastogi a Firenze. “Si può discutere nel merito della proposta – dice Nencini – Ed è giusto e legittimo aprire un dibattito.

Ma la bussola che dobbiamo sempre avere in mente è la migliore riforma per accompagnare ed aiutare lo sviluppo. Altrimenti, se costruiamo una riforma solo pensando ad abbassare i costi della democrazia, che non sempre sono poi i costi della politica, e senza una visione organica, di riforme non ha senso parlare”. L’assessore, nel corso del suo intervento, aveva anche richiamato la specificità toscana. “Qui nel Settecento c’è già stata una riforma e una semplificazione amministrativa – ha spiegato -: infatti abbiamo molti meno Comuni che in altre regioni d’Italia, al sud come al nord”.

Vercelli in Piemonte, 180 mila residenti, ne conta 86. Cuneo, quasi seicentomila abitanti, ne ha 250. La provincia di Firenze, con quasi il doppio di abitanti, si ferma a 44 Comuni. E in tutta la regione sono 287. “Ma una riforma, una riforma radicale – annota l’assessore –, è necessaria anche in Toscana. La globalizzazione e la situazione contingente ci dicono che servono istituzioni più forti e significative per sostenere lo sviluppo. Abbiamo cancellato le comunità montane e incentivato le unioni di Comuni.

Ci mancano anche vere città ed aree metropolitane, perchè lo sviluppo ha sempre marciato più velocemente nelle città e Firenze, per le sue infrastrutture, non può considerarsi tale. Ed anche rispetto questa mancanza la nostra proposta prova a indicare una strada”. Certo una riforma completa non può essere portata avanti dalla sola Regione. Serve una cornice nazionale. “Che purtroppo – conclude l’assessore – in questo momento manca od appare solo ad intermittenza”. “La Regione ha una responsabilità decisiva per far fronte all’incertezza che domina le nostre comunità e mantenere un adeguato livello di servizi.

Dobbiamo essere consapevoli che le risorse disponibili diminuiranno. Occorre uscire dalla logica del proprio orticello, perché tra poco non ci saranno più orticelli”. Lo ha sottolineato il presidente della commissione Affari istituzionali, Marco Manneschi (Idv), concludendo il seminario dedicato alla riforma delle autonomie locali in Toscana. Una riforma che, secondo Manneschi, deve essere “sufficientemente elastica, per reggere le torsioni del quadro nazionale”, tenere ben presente il problema della rappresentanza, come pure la necessità di accorciare una “filiera istituzionale troppo lunga”. Un punto, quest’ultimo, condiviso anche dal vicepresidente della commissione, Alessandro Antichi (PdL), secondo il quale occorre “eliminare il costo occulto dell’intermediazione politica”.

In questa prospettiva ha invitato ad una “maggiore incisività nelle fusioni dei comuni”, ad eliminare alcuni vincoli territoriali ed a rivedere il ruolo del Consiglio delle autonomie locali. I rappresentanti degli enti locali toscani sono stati unanimi nel sottolineare la precarietà del quadro di riferimento nazionale, che ancora non ha esattamente definito quali sono le funzioni fondamentali che le istituzioni territoriali dovranno svolgere. “Rifiutiamo le semplificazioni demagogiche – ha affermato Andrea Pieroni, presidente di Upi – che fanno coincidere l’abbattimento dei costi della politica con l’abolizione delle province.

Le province della nostra regione costano ai cittadini 2 euro e 50 centesimi”. Pieroni ha ribadito che non si tratta di “difendere i confini e le competenze attuali”, ma che occorre superare “la confusione e lasciare le competenze di area vasta a quel livello. “Non ci saranno difese corporative da parte di nessuno, ma la politica deve decidere dove andare – ha aggiunto Alessandro Cosimi, presidente Anci –. I costi della politica si abbattono intervenendo sugli enti intermedi, non sulla rappresentanza democratica”.

A suo parere un modello di provincia come ente intermedio di secondo livello potrebbe rappresentare una soluzione da tenere in considerazione. Un invito a salvaguardare la “governance territoriale, che ha permesso ai piccoli comuni montani di salvaguardare i servizi” è giunto da Aldo Morelli di Uncem. “Senza tanti sindaci – ha rilevato - impegnati quotidianamente nelle loro comunità, a titolo pressoché volontario l’impatto finanziario sarebbe stato devastante”. Sono quindi intervenuti i rappresentanti dei gruppi consigliari Alberto Magnolfi, capogruppo PdL, ha osservato che le difficoltà nascono dalle riforma costituzionale “frettolosa e spericolata” del titolo V della Costituzione.

Una riforma che “ha ampliato a dismisura le competenze concorrenti tra Stato e Regione”. “Le difficoltà non sono solo a Roma - ha aggiunto Magnolfi – non si può parlare di riforma delle autonomie locali toscane fino a quando non saranno ben definiti i concetti di area vasta, sistema metropolitano, città metropolitana. Fino a quando non avranno un significato preciso, resteranno solo parole”. “Non abbiamo grattato la pancia ai cittadini, ma li abbiamo ascoltati – ha dichiarato Rudi Russo (Idv) -.

Abbiamo presentato una proposta di abolizione delle province, con il trasferimento delle loro competenze alle Regioni ed ai Comuni. La proposta ha raccolto oltre 400 mila firme. Il messaggio è chiaro”. Secondo Russo occorre mettere fine alla “schizofrenia legislativa”, che ha bloccato le riforme attuative del Titolo V della Costituzione ed ha introdotto un federalismo che lascia i Comuni senza capacità impositiva. “L’abbattimento dei costi della politica si sta traducendo in un abbattimento dei costi dei consigli elettivi – ha affermato Monica Sgherri (Fed.Sinistra–Verdi) –.

Tutto questo mette a rischio la rappresentanza territoriale, politica, sociale, ma anche di genere”. A suo parere, un comune di diecimila abitanti non può avere nelle unioni lo stesso numero di rappresentanti del comune di mille abitanti. “Tutti siamo inorriditi – ha rilevato – quando Berlusconi ha affermato che le decisioni nel Parlamento le prendono i capigruppo”. “Abbiamo sempre difeso il ruolo delle Province, all’interno delle quali possono confluire alcuni enti intermedi, come i consorzi di bonifica” ha dichiarato il capogruppo di Lega Nord Toscana Antonio Gambetta Vianna – La riforma va nella direzione giusta, ma occorre coinvolgere i cittadini”. Secondo Giuseppe Del Carlo (Udc) occorre più determinazione nelle fusioni dei Comuni.

“Abbiamo già fatto l’esperienza delle associazioni intercomunali – ha osservato – Non serve tenerli in piedi in questo modo”. A suo parere la semplice abolizione delle Province non è sufficiente. “Qualcosa va fatto – ha concluso – La loro trasformazione in un ente di secondo livello è un’ipotesi da prendere in considerazione”.

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