Al Fabbricone La grande abbuffata dal film di Marco Ferreri

Da giovedì 17 a domenica 20 giugno 2021, una drammaturgia di Francesco Maria Asselta e Michele Sinisi

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
14 giugno 2021 22:00
Al Fabbricone La grande abbuffata dal film di Marco Ferreri

Dopo il debutto a Milano la settimana scorsa, da giovedì 17 a domenica 20 giugno al Teatro Fabbricone (ferialiore 20.00, domenicaore 18.00) va in scena l’adattamento teatrale del film LA GRANDE ABBUFFATA, prodotto da dal Teatro Metastasio di Prato insieme a Elsinor, con una drammaturgia inedita firmata dal regista Michele Sinisi e da Francesco Maria Asselta.

Fischiato al Festival di Cannes dalla critica per la sgradevolezza e la volgarità pornografica delle immagini, il film di Ferreri ebbe invece un incredibile successo di pubblico, inusuale se si considerala forza eversiva e antiborghese dei suoi contenuti. La storia dei quattro amici che si rinchiudono in una villa decisi a suicidarsi mangiando e bevendo fino alla morte diventa potente allegoria di una società incentrata sul consumo, abituata a divorare tutto. Insieme al drammaturgo Francesco M.

Asselta, il regista opera una vera e propria riscrittura del testo indagando sul rapporto fra un sistema tuttora votato all'abbuffata indiscriminata (di informazioni, di prodotti, di opinioni, di fatti senza soluzione di continuità) e il corpo come organismo in grado di riprendere possesso del presente tornando alla sua esistenza fisiologica. Lo spettacolo diventa il punto finale di un processo creativo cominciato molto prima e raccontato attraverso brevi trailer, interviste, incursioni durante le prove documentati e pubblicati sui canali social.

Partendo dal presupposto che il teatro debba prima di tutto curiosare nella zona della verità e essere specchio del presente, Michele Sinisi allestisce lo spettacolo proprio sulla scia dell’esperienza vissuta in questi ultimi mesi: “Durante il lockdown sono saltati i confini del concetto di rito, ricominciare come se nulla fosse successo è impensabile. Abbiamo accettato la violenza del teatro in streaming e non ci siamo resi conto che l'assenza del teatro era il teatro stesso.

A questo punto per me si è reso necessario ripensare al linguaggio teatrale ed esplorare nuovi codici comunicativi”. Su una scena volutamente disadorna in cui compaiono un tavolo da obitorio, una cucina rudimentale, uno schermo, tre celle di acciaio e, sullo sfondo, un water pronto ad esplodere issato su una pedana, assistiamo ad una contaminazione continua tra palco e platea, ad un’iper produzione di segni e linguaggi diversi in cui fanno incursione video pescati dalla rete, schermi, jingle pubblicitari, file audio in dialetto pugliese stretto diventati virali su WhatsApp.

Un’esplorazione continua dell’osceno che dialoga ironicamente con la narrazione televisiva, la fiction, la pornografia dell’immagine e, in sintesi, con il nostro presente. E così i personaggi che abitano la scena entrano ed escono dalla parte in continuazione, mettono in discussione la trama, fanno e disfano battute, improvvisano ricordando allo spettatore di essere prima di tutto attori, impegnati in una ricerca creativa che va ben al di là della semplice finzione.

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