Museo di Storia Naturale, la balena del Cenozoico riserva nuove sorprese

Il fossile rinvenuto nel 2007 nelle colline di Orciano Pisano al centro di una ricerca sull’adattamento degli organismo ad ambienti estremi.

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
10 settembre 2009 15:17
Museo di Storia Naturale, la balena del Cenozoico riserva nuove sorprese

Com’era il Mediterraneo nel Cenozoico? Lo documenta il fossile di una balena appartenente al Museo di Storia Naturale dell’Università di Firenze - rinvenuto nel 2007 nelle colline di Orciano Pisano - che riserva ora nuove sorprese non solo per i paleontologi. Lo scheletro del cetaceo è al centro di una ricerca condotta dai paleontologi del Dipartimento di Scienze della Terra e dello stesso Museo, pubblicata nel numero di settembre della rivista internazionale Geology, che aggiunge un importante tassello alla comprensione dell’adattamento degli organismi ad ecosistemi che non dipendono dalla luce (“Mediterranean fossil whale falls and the adaptation of mollusks to extreme habitats”). La particolarità del reperto è quella di aver mantenuto la connessione anatomica e di essere circondato da una fauna fossile costituita da pesci e invertebrati, il che ha permesso agli studiosi di documentare che cosa è successo in tempi geologici nell’ecosistema marino creato dalla morte del grande mammifero che si è adagiato a circa 150 metri di profondità, sui fondali dell’antico mare cenozoico che occupava buona parte dell’attuale Toscana.

Ma il reperto permette adesso ai paleontologi di fornire un importante contributo alla ricerca dei biologi marini circa l’adattamento degli organismi ad ambienti estremi, dove sostanze velenose per la maggior parte degli organismi a noi noti permettono la sopravvivenza di quelli che sfruttano energia attraverso la chemiosintesi e non la fotosintesi. “Secondo un'ipotesi sostenuta sia da dati paleontologici che molecolari, e ora dal lavoro dei ricercatori della nostra Università, le carcasse di balena durante il Cenozoico hanno costituito delle “pietre di passaggio” in senso evolutivo per l'adattamento agli ambienti estremi di mare profondo - afferma Stefano Dominici, del Museo di Storia Naturale -.

Il nostro contributo di paleontologi, grazie allo studio di un reperto fossile così ricco di informazioni, è quello di aver fornito la verifica di una ipotesi difficilmente ottenibile dai biologi con indagini in situazioni naturali”.

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