I bambini e il mondo delle marche a Prato, Pistoia, Lucca e Firenze

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
02 agosto 2006 13:47
I bambini e il mondo delle marche a Prato, Pistoia, Lucca e Firenze

La ricerca è stata condotta a titolo di esercitazione didattica nell’ambito del corso universitario di Marketing - Ricerche di Mercato - del professor Vincenzo Freni, presso il dipartimento di MTA di Prato della Facoltà di Economia di Firenze.
Il target dell’indagine sono stati i bambini di età compresa tra i 6 e i 12 anni, che sono stati intervistati al fine di tracciare un quadro del loro stile di vita nel tempo libero e del loro ruolo e atteggiamento nei processi di consumo, con particolare riguardo al loro rapporto con le marche dei prodotti commerciali e all’impatto che esercita su di loro la comunicazione pubblicitaria, anche quando non a loro diretta, sia in termini di riconoscibilità dei tratti della personalità dei brand che in termini di influenza nei consumi.
La metodologia di rilevazione per la conduzione dell’indagine è stata l’intervista personale tramite un questionario somministrato ad un campione di 124 coppie di individui (genitori e bambini) residenti nelle province di Prato, Pistoia, Lucca e Firenze.


Trattandosi di un’indagine campionaria statistica, i dati personali sono stati raccolti in ompleto anonimato e vengono tutelati nel rispetto della legge 675 (norme sulla privacy.
Inoltre in considerazione dell’età degli intervistati è stato fatto riferimento al Codice di Condotta dell’ESOMAR (l’organizzazione che associa i ricercatori, sociali e di marketing, a livello mondiale), il quale tutela i soggetti più deboli e più vulnerabili (in questo caso i bambini) attraverso linee guida che vincolano il rilevatore nello sviluppo e nella somministrazione del modulo d’intervista.
Nel rispetto del Codice di Condotta infatti il questionario è stato compilato in presenza di un adulto, al quale abbiamo fornito preventivamente tutte le informazioni sullo svolgimento e sullo scopo della nostra indagine, garantendo sia la privacy dei dati raccolti che la tutela della sensibilità del minore.
La parte iniziale del questionario è destionata ai genitori stessi per acquisire alcune opinioni sul figlio/a esposto alla comunicazione pubblicitaria e sulla condizione economica e sociale (CES).
La parte restante del modulo d’intervista era destinata al bambino dal quale abbiamo ottenuto risposte in piena autonomia attraverso la formulazione di domande, precedentemente sottoposte a taratura, scritte con un linguaggio chiaro e semplice e tramite l’ausilio di cartellini stimolo che riproducevano le immagini delle marche più famose e diffuse anche per il sostegno di una considerevole comunicazione pubblicitaria.
L'indagine mira ad una valutazione obiettiva della presenza delle marche nell’universo mentale dei bambini e dell’eventuale condizionamento operato dalla comunicazione pubblicitaria.
Nonostante che la capacità di spesa diretta di questi soggetti nel range d’età 6-12 anni sia necessariamente molto contenuta si tratta per le aziende di un investimento pubblicitario di grande rilevanza.

Infatti non soltanto i bambini sono in grado di "condizionare" fortemente la scelta d'acquisto di beni importanti (casa, auto, viaggi, computer…) ma rappresentano, soprattutto, i decisori dell'acquisto dei prossimi anni; un target da raggiungere, e fidelizzare, anticipando la concorrenza. Si comprende quindi l'importanza che l’industria attribuisce alla comunicazione che raggiunge questa fascia di popolazione, un vero e proprio investimento sul proprio futuro commerciale.
Sembra evidente che quando i destinatari della comunicazione sono soggetti come i bambini con strutture mentali ancora in via di formazione e minime barriere culturali ogni presenza estranea all'ambito propriamente infantile non debba essere considerata innocua o casuale ma piuttosto percepita in termini di una inquietante intrusione.
In effetti, l'immaginario del mondo infantile risulta, fin dalla prima età, presidiato da alcune "marche famose"; non è in azione soltanto la comunicazione televisiva (alla quale molti bimbi vengono esposti anche in assenza dei genitori) ma pure le insegne e i manifesti presenti nelle aree urbane.

Molti punti vendita monomarca non hanno un'autentica finalità di vendita ma piuttosto quella di esporre il brand per associarlo al prestigio della parte monumentale e socialmente più attiva della città.
L'altra componente principale della comunicazione è rappresentata dal passaparola, dalla comunicazione tra i bambini che si dimostrano ampiamente vulnerabili alla pulsione imitativa nei confronti dei coetanei per quello che riguarda accessori e abbigliamento; si tratta in effetti dell'applicazione di una specifica tecnica comunicazionale (il "viral marketing") che si fonda sulla diffusione “esponenziale” degli attributi del brand per contatto verbale (virale, appunto, come il contagio di una malattia) da consumatore a consumatore.


L'universo infantile evidenzia inoltre una diffusa, precoce assimilazione, di un comportamento di tipo consumistico, verosimilmente mutuato dai genitori (o dai modelli televisivi).
Per quanto di regola il bambino riconosca di disporre già in pratica di tutto quello di cui può sentire bisogno si mostra anche alla ricerca di nuovi oggetti di desiderio, da sollecitare ai genitori (in genere alquanto accondiscendenti), sempre in attesa di una nuova gratificazione attraverso l'atto di acquisto.
È quindi una strategia, studiata e pianificata minuziosamente, quella che seduce (o manipola) l'immaginario infantile il quale rappresenta, come evidenzia la presente ricerca, un obiettivo primario della comunicazione dei brand.
Resta in sottofondo, in un momento in cui tanto si parla di “Responsible Business” la tematica etica dell'influenza esercitata dalle aziende su soggetti psichicamente non formati, spesso privi di resistenze culturali e, soprattutto, inevitabilmente acritici e inconsapevoli dei significati soggiacenti alle proprie scelte di consumo.
Emerge dalle risultanze che solo una quota ridotta (circa il 25%, gruppo che abbiamo classificato come piccoli unbranded crescono, vedi più avanti) dell'universo 6-12 anni riesce ad esprimere un atteggiamento di sostanziale riserva e distanza nei confronti della comunicazione delle marche.

La componente prevalente (circa 50%, gruppo denominato io sono, io voglio) invece esibisce, più o meno consapevolmente, atteggiamenti di pesante condizionamento. La quota residua (circa 25%) composta da soggetti 6-8 anni, mostra una consapevolezza limitata dei brand ma annuncia già per gli anni a venire, una propensione ad assumerne valori e significati.
Assistiamo quindi fin dalla fascia d'età più bassa (quella fino ad 8 anni) all'accoglienza da parte dei bambini dei nomi e delle immagini dei brand nel loro repertorio di "conoscenze" in via di costruzione.

Ma è soprattutto in quella successiva ai 10 anni che, con la progressiva autonomia dalle scelte dei genitori, si manifesta un passivo assorbimento del sistema dei valori veicolato dall'immagine della marca (prima ancora che questo si traduca in scelte di consumo).
La principale barriera all'invasione dell'immaginario infantile da parte del mondo delle marche sembra costituita dal livello culturale (piuttosto che economico) della famiglia e dall'abitudine alla lettura (piuttosto che la dipendenza dalle trasmissioni televisive o dai videogiochi).

I 3 cluster
Al fine di poter meglio interpretare le differenze nello stile di vita e negli atteggiamenti dei bambini verso il mondo del consumo e in particolare delle marche, gli intervistati, sulla base delle risposte fornite ad una batteria di item su comportamenti e opinioni legati all’esperienza dell’acquisto e del consumo sono stati riaggregati in tre cluster, ognuno dei quali espressione di una tipologia di “baby consumer”.

Il cluster “fra le mura domestiche”
Rappresentano circa il 25% del campione.

Soprattutto bambine, di età inferiore, 6-8 anni, sono dediti alla lettura oltre che a giocare con amici/fratelli e guardare film e TV. Vivono il tempo libero all’interno delle mura familiari e protette dall’atteggiamento vigile dei genitori. Sono contrassegnati dalla percezione di possedere già tutto ciò di cui hanno bisogno (in questo periodo della vita il genitore resta il decisore degli acquisti); apprezzano comunque lo shopping (accompagnare babbo e mamma in giro per i negozi). È il cluster meno metropolitano (quasi il 40% vive nell’hinterland del capoluogo di provincia).


Meno indipendenti, anche per l’età più giovane, si affidano, più degli altri cluster al genitore per cambiare il canale TV; risultano essere nelle maggior parte dei casi figli unici, particolarmente protetti. Si riscontra fra i genitori un livello di istruzione superiore (oltre la metà ha almeno un diploma).
L’auto più desiderata da questo gruppo di giovanissimi è la BMW, seguita dalle confortevoli e tranquille berline familiari (Fiat, Opel); manca in questo cluster il richiamo, che si affermerà nelle età successive, dell’auto sportiva.

Il cluster “piccoli unbranded crescono”
Pesano circa il 25% del campione, con una presenza equilibrata di maschi e femmine.

I genitori sono più spesso laureati; sono bambini molto esposti alla televisione e che dispongono anche di una paghetta più consistente degli altri. Vengono “interpellati” dai propri genitori sugli acquisti più importanti per la famiglia (auto e casa); si sentono già consapevoli di cosa (e dove acquistare). Anche se risultano molto esposti alla pubblicità sono comunque più refrattari al mondo delle marche e ai loro valori. Meno attratti dal mondo dei consumi, anche per educazione familiare, si mostrano meno petulanti nel sollecitare l’acquisto di prodotti e meno spesso dispongono di telefonino.

Anche nell’ascolto della televisione evidenziano comportamenti culturalmente più educativi, distinti dagli altri gruppi (ad esempio assistono ai giochi a quiz).

Il cluster “io sono, io voglio”
È il gruppo numericamente più consistente: pesa circa il 50% del campione. Questa è la fascia di intervistati dove l’ideologia della marca si è maggiormente affermata; i bambini io sono, io voglio sono soprattutto maschi che passano molto del proprio tempo libero a guardare la TV (oppure a videogiocare); sono anche più adulti degli altri (11-12 anni) e più spesso in sovrappeso (più di uno su 4), meno frequentemente figli unici.

Il bambino del cluster io sono, io voglio si muove con disinvoltura nel territorio della marca e ne recepisce i valori. Questi bambini sensibili ai richiami della marca avvertono l’esigenza, in misura superiore agli altri cluster, di disporre di denaro e di acquistare i prodotti più pubblicizzati; acquistano merendine e altri prodotti visti in TV, si fanno consigliare nei propri acquisti dagli amici così come consigliano i loro amici sugli acquisti da fare. Apprezzano le marche famose e sollecitano i propri genitori quando sono in giro per lo shopping ad acquistare anche per loro (magari facendo dei capricci per forzare la situazione).
La macchina dei sogni di questo cluster è quella sportiva e aggressiva (Ferrari, Lamborghini e Porsche).
Se il livello di istruzione dei genitori dei bambini io sono, io voglio risulta inferiore rispetto agli altri cluster (spesso licenza media inferiore), significativamente non è così per il reddito.
Siamo pertanto in presenza in una consistente fetta della popolazione infantile che esibisce una particolare vulnerabilità di fronte ai modelli di consumo propositi dalla comunicazione televisiva, una situazione della quale le “marche famose” hanno saputo approfittare per inoculare il sistema di “valori” (cioè la pulsione al consumo dei prodotti industriali) in soggetti indifesi, culturalmente e emotivamente, anche prima della transizione nel mondo dei teen-ager.
All’età di 10/11 anni la maggior parte dei bambini è ormai entrata a pieno titolo nel mondo degli acquisti dove i valori della marca sono parte integrante dei rapporti sociali ed espressione della personalità di chi li utilizza.
Atteggiamenti e comportamenti dipendono solo in parte dall’età Ci sono, in media, solo 6 mesi di differenza per quello che riguarda l’età tra il cluster Io sono io voglio e quello Fra le mura domestiche; naturalmente bisogna tenere presente che nell’infanzia atteggiamenti e comportamenti sono sottoposti ad un’intensa evoluzione.

La differenza d’età fra tra il cluster Io sono io voglio e quello Piccoli unbranded crescono, invece, risulta più contenuta e le diversità di atteggiamento sembra scaturire soprattutto dall’influenza dell’ambiente familiare.

Il tempo libero
Nella percezione del genitore il tempo libero del bimbo (quello presidiato dalle ore di scuola e di studio) è occupato dal gioco con i coetanei da una parte e dalla televisione e dalla consolle per videogiochi dall’altra (o del P.C.); spicca nel cluster Fra le mura domestiche il ruolo della lettura ed in quello Io sono io voglio l’affermarsi della consolle per i videogiochi.

Se presso il cluster Fra le mura domestiche l’ascolto della televisione raggiunge il livello più alto si nota però una maggiore varietà forme di intrattenimento: non solo la lettura ed i videogiochi ma anche le attività di tipo manuale (disegnare, dipingere). Il cluster piccoli unbranded crescono evidenzia una minore presa sia della televisione che dei videogiochi.

Mammatv una balia di tutto di più
L’esposizione al mezzo televisivo appare decisamente rilevante. Al crescere dell’età la presenza della TV aumenta; tra i maschi in misura superiore alle coetanee.


Mediamente la televisione viene seguita per un’ora e mezzo al giorno. Tra i bambini di 11-12 anni l’esposizione al mezzo televisivo cresce di altri 30 minuti. L’antagonista della TV, tra i maschietti 11-12enni è ormai la consolle per i videogiochi. Il tempo dedicato dalla tastiera tende infatti a corrispondere a quello dedicato al telecomando del televisore (negli USA si è già assistito al sorpasso).

A spasso per Cartoonia e dintorni, nel paese di Roger Rabbit
Il nostro campione evidenzia un interesse largamente predominate per i cartoni animati, predilezione che raggiunge il massimo livello presso il cluster Fra le mura domestiche (oltre 90%).
In seconda posizione troviamo l’attrazione per i film ed i telefilm (oltre il 50%).

Il tratto caratteristico del cluster Io sono io voglio corrisponde all’interesse per lo sport; l’interesse per i quiz è tratto precipuo del cluster Piccoli unbranded crescono. I documentari risultano graditi a un bambino su 3.

Tempo libero
Dal punto di vista dei bambini stessi (invece che del genitore) le differenze tra i cluster si ricompongono; mentre perde rilievo l’ascolto della televisione e giocare con i coetanei rappresenta l’esigenza più sentita (70%, non sussistono diversità tra i cluster) la spinta alla competizione (sport e videogiochi) accomuna i cluster Io sono io voglio (in particolar modo) e Piccoli unbranded crescono.

La paghetta
La disponibilità (o meglio la richiesta) di soldi da spendere in autonomia si generalizza al momento dell’uscita dall’infanzia.

In precedenza la paghetta ha solo un significato simbolico senza concretizzare da parte del bambino una effettiva capacità di spesa.

Ed ora: “stacco pubblicitario”
La maggioranza dei giovani telespettatori si espone alla comunicazione pubblicitaria nonostante la possibilità di evitarla attraverso il telecomando. Il cluster più esposto alla comunicazione commerciale è quello Tra le mura domestiche (in prevalenza costituito da bambine), il quale concentra inoltre la propria attenzione sui cartoni animati che rappresentano pertanto lo strumento privilegiato della comunicazione commerciale rivolta ai bambini.

Gli altri cluster evidenziano una maggiore resistenza al messaggio pubblicitario che si esprime soprattutto con l’uso del telecomando. Naturalmente la ripetizione del messaggio (anche all’interno della stessa pausa pubblicitaria) è motivata proprio dall’intenzione di aggirare questo comportamento di autodifesa da parte del bimbo.

La TV dispensa consigli per gli acquisti
Almeno nella consapevolezza del bimbo, gli effetti immediati della pubblicità si concentrano nel comparto dei giocattoli (le differenze tra i cluster sono minime); naturalmente la comunicazione pubblicitaria rivolta ai bimbi mira prima che alla spinta all’acquisto (pur sempre sottoposto al controllo dei genitori) alla creazione dell’immagine del brand nella consapevolezza del bimbo e all’imposizione del sistema valoriale costruito intorno al brand.
L’altra principale pulsione d’acquisto evocata dalla comunicazione pubblicitaria rivolta ai bimbi è rappresentata dal consumo di merendine e prodotti per la colazione; in questo settore si evidenzia una certa resistenza da parte del cluster Piccoli unbranded crescono mentre quello Io sono io voglio (nonostante l’autonomia nell’uso del telecomando) risulta il più disponibile.
In materia di abbigliamento e accessori le più vulnerabili risultano le bambine del cluster Tra le mura domestiche.
Il bambino come consulente degli acquisti familiari più importanti I genitori hanno come regola quella di “consultare” (cioè di coinvolgere) i bimbi sugli acquisti familiari più importanti (viaggi, abitazione, auto o anche computer); questo il motivo per cui vengono fatti oggetto di una comunicazione di prodotti non a loro rivolti.

Il product placement (l’inserimento strategico di prodotti nei film, nei video clip o nei video giochi) arruola di fatto i bambini nella guerra commerciale tra le marche trasformandoli in promotori dei prodotti nei confronti dei propri genitori.

La presenza delle marche nel mondo dei bambini
La vera efficacia della comunicazione pubblicitaria rivolta ai bambini non corrisponde alla pulsione all’acquisto evocata nel piccolo spettatore ma piuttosto nella creazione di un clima propizio al brand all’interno del gruppo amicale dei coetanei, dove la percezione favorevole dell’uno alimenta e rinforza quello dell’altro.

E’ il cluster Io sono io voglio quello che evidenzia la minore capacità di resistenza a questo meccanismo di coinvolgimento mentre quello Piccoli unbranded crescono mostra una considerevole refrattarietà. La resistenza del cluster Tra le mura domestiche risulta ancora maggiore anche se sembra legata ad una dipendenza dai genitori più accentuata (è il gruppo amicale che coinvolge meno più che un atteggiamento critico verso la suggestione dei brand).
Circa la metà dei bambini intervistati ritiene di non aver avuto consigli da parte dei propri coetanei per gli acquisti ma comunque di averne dati.


Questo circolo (virtuoso/vizioso) di suggerimenti che si autoalimenta coinvolge quasi la metà dei bambini. Il 15% dei bambini intervistati si propongono come autentici opinion leader, promoter del consumo delle diverse marche.

Let’s go shopping
Il coinvolgimento nei brand da parte dei bambini non arriva a far ammettere il piacere dello shopping (il giro dei negozi e delle vetrine) ai piccoli maschi; sono quindi le bambine (che si concentrano nel cluster Tra le mura domestiche) che ammettono francamente la piacevolezza dell’esperienza dello shopping.

Gli atteggiamenti dei cluster Piccoli unbranded crescono (che pure risulta equilibrato dal punto di vista del genere) e Io sono io voglio sono invece di rifiuto generalizzato dell’esperienza dello shopping insieme ai genitori.
Solo il cluster Io sono io voglio (quasi il 60%) ammette il richiamo delle “marche famose” e l’esigenza di indossare abbigliamento firmato; il rifiuto è invece decisamente prevalente fra le bambine del cluster Tra le mura domestiche (quasi 3 su 4) e ancora superiore presso il cluster Piccoli unbranded crescono (più di 4 bambini su 5).

Le merendine
La capacità di scelta della marca coinvolge già 4 bambini su 5 nella fascia d'età fino a 8 anni e diventa quasi generale nella fascia d'età 11-12 anni; al tempo stesso la scelta tende con l'età a concentrarsi su una marca ad esclusione delle altre.

Il bambino mostra così di trasformarsi in un piccolo consumatore, protagonista dell'acquisto invece di subire le scelte dei genitori.

Le marche dei prodotti alimentari
Si riscontra in genere una maggiore attenzione alle marche da parte dei maschi rispetto alle femmine; anche per le marche di prodotti alimentari si nota un'assimilazione quasi completa della notorietà delle marche dopo i 10 anni (le marche largamente coincidono con quelle delle merendine e dei prodotti per la colazione).
Le marche delle consolle dei videogiochi L'immaginario infantile in questo comparto è dominato da una marca, in modo particolare per quello che riguarda l'indicazione a livello spontaneo; la situazione della notorietà si riequilibra solo in parte per quello che riguarda l'indicazione dopo suggerimento.

Comunque la discrepanza tra bambini e bambine è molto evidente (la consolle per videogiochi attrae molto più i bambini delle bambine).

Le marche dei telefonini
Sono 4 su 5 i bimbi che sono stati in grado di indicare almeno una marca di telefono cellulare; le bambine hanno evidenziato una minore attenzione alle marche (un po' meno di 3 bambine su 4). Già nella fascia d'età fino a 8 anni quasi 2 bambini su 3 sono stati capaci di indicare una marca di telefono cellulare (ad evidenziare la pervasività della comunicazione).

In media ogni bimbo ha saputo indicare (a livello spontaneo) 1.3 marche, nella fascia d'età più elevata (11-12 anni) la media sale a 1.9.
Dopo gli 8 anni in pratica tutti i bimbi conoscono (notorietà suggerita) almeno una marca di telefono cellulare; anche la diversità di atteggiamento tra bambini e bambine si attenua per quello che riguarda la conoscenza delle marche (quasi 9 su 10 per entrambi i generi) anche se il numero delle marche conosciute risulta inferiore rispetto a quello dei bambini (in media 1.8 vs.

2.3).

I brand dei gestori telefonici
Per i principali gestori della telefonia mobile la notorietà (suggerita) coinvolge almeno 2 bambini su 3; se fino ad 8 anni la conoscenza dei brand dei gestori della telefonia mobile supera già il livello dei 2 terzi, dopo i 10 anni coinvolge circa 9 bimbi su 10, senza eccezioni.

I brand di scarpe sportive
La marca più conosciuta supera ampiamente (a livello spontaneo) il livello di notorietà del 50%, mentre il principale competitor dispone di una conoscenza superiore ad bambino su 3; la notorietà dei brand si generalizza comunque dopo i 10 anni.
Anche a livello di notorietà suggerita l'universo infantile risulta dominato dalle stesse 2 marche, peraltro con un notevole attenuazione della differenza di notorietà.

L'altro competitor raccoglie l'indicazione di un bambino su 3. La notorietà subisce una notevole accelerazione dopo gli 8 anni. L'attenzione per le marche in questa tipologia di prodotto risulta decisamente maggiore tra i bambini rispetto alle bambine.

I brand di abbigliamento
Un po' meno di 3 bimbi su 4 hanno saputo indicare (ricordo non aiutato) almeno una marca di abbigliamento; in media appunto ogni bimbo ha indicato un brand. Se i bambini hanno saputo indicare in media 1.2 brand le bambine evidenziano una minore attenzione alle marche (0.9 brand in media).

Con l'età si assiste ad una moltiplicazione dei brand conosciuti con una media di indicazioni che arriva ad 1.3 nella fascia d'età successiva a 12 anni.
A livello di notorietà (ricordo aiutato) si evidenzia il ruolo protagonista di una marca, presente nella consapevolezza di 4 bimbi su 5; il principale competitor supera comunque il livello del 50%. Solo una fascia marginale, concentrata nella fascia d'età fino ad 8 anni non ha saputo riconoscere nemmeno un brand di abbigliamento tra quelli proposti.

Il brand dei produttori di automobili
Persino nella fascia d'età fino a 8 anni sono 3 su 4 i bimbi che hanno saputo indicare almeno una marca di produttori di automobili.

Le vere differenze tra bambini e bambine corrisponde soprattutto all'indicazione per le auto da competizione e sportive.

Percezione di simpatia per i brand
Il presidio dell’immaginario infantile da parte dei brand presuppone la proiezione di un’immagine di amicizia e allegria, che coinvolga emotivamente questa fascia di pubblico, anche per oscurare la percezione qualitativa del prodotto (di tipo industriale e quindi di natura diversa rispetto ad un prodotto artigiano o familiare); abbiamo infatti sottoposto all’attenzione dei bimbi esclusivamente brand del settore food.
Sulla base delle nostre risultanze questa strategia si dimostra per alcune multinazionali del settore di particolare efficacia riuscendo ad ottenere l’indicazione della maggioranza dei bimbi intervistati e, nella fascia d’età maggiore (11-12) fino a 2 terzi delle preferenze; si tratta in particolare di soft drink e di fast-food, prodotti la cui adeguatezza per questa fascia di consumo (valore dietetico, contenuto in grassi, presenza di additivi) viene sempre più messa in discussione, anche in rapporto alla diffusione dell’obesità in età infantile.
Percezione di adeguatezza dei prodotti alimentari in relazione all’età Abbiamo voluto indagare inoltre quale sia fra i bambini la percezione della fascia d’età adeguata per il consumo (alimentare) dei prodotti delle marche più famose; nella “cultura” alimentare infantile l’età del trapasso dai prodotti a intensa connotazione infantile corrisponde in genere alla barriera dei 10 anni.

A partire da questa età il bambino tende a spostarsi su prodotti percepiti come più adulti (in particolare fast-food, bevande gassate ma anche per quello che riguarda prodotti per colazione e merendine).

Percezione della moda fra i bambini
Se solo poco più di un bambino su 3 nella fascia d’età fino a 8 ani è stato in grado di precisare il nome di un brand di abbigliamento percepito come “alla moda” fra i bambini della stessa età già nella fascia fino a 10 anni la “consapevolezza” del fattore moda arriva a coinvolgere 3 bambini su 4.

Anche in questo caso l’età critica è rappresentata dalla barriera dei 10 anni dopo la quale la consapevolezza della moda si generalizza; in questa fascia d’età, inoltre, diventano predominanti i brand legati allo sport, comunque molto più tra i maschietti che le bambine. Assistiamo inoltre alla presenza in questa fascia che prelude al passaggio dall’infanzia all’adolescenza di un gran numero di marche di abbigliamento, suggerendo l’esistenza di piccoli clan, o tribù, dove un certo stile, o anche soltanto etichetta, di abbigliamento rappresenta un segno di appartenenza ed un mezzo di aggregazione.

I bambini ed il telefonino
La disponibilità personale di un telefono cellulare rappresenta per i bambini la conquista di uno spazio di autonomia progressivamente acquisita; se nella fascia d’età fino a 8 anni meno di un bimbo su 6 “possiede” un telefono cellulare in quella successiva fino a 10 anni il telefonino è disponibile per più di un bimbo su 3.

La penetrazione del telefono cellulare si estende a quasi 4 bambini su 5 nella fascia d’età fino a 12 anni.
Ma l’esigenza di possesso da parte del bambino si esprime intensamente fin dalla fascia d’età più bassa dove un bimbo su 3 fra quelli che ancora non dispongono ha già fatto richiesta in questo senso ai genitori. Nella fascia d’età successiva (9- 10 anni) i bambini ancora privi che chiedono ai genitori un telefono cellulare sono quasi 2 su 3.
Il mondo infantile dei telefoni cellulari risulta fortemente presidiato dalle marche, dove anzi una marca leader di mercato dispone di una quota ampiamente superiore alle concorrenti.

Il predominio della marca leader si accentua fra i bambini rispetto alle bambine.
L’identificazione del telefono cellulare con la marca leader si conferma anche fra i soggetti che ancora non lo posseggono dove quasi il 40% ha indicato il brand leader, lasciando alle altre marche quote marginali; meno di un bimbo su 3 ha manifestato un desiderio di acquisto privo di una connotazione di marca.

Notizie correlate
Collegamenti
In evidenza