La biomusicologia

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
10 novembre 2005 15:09
La biomusicologia

Riceviamo e volentieri pubblichiamo da Alessandro Bertirotti dell'Università di Genova, relatore all'incontro "Sviluppi della Creatività e Reti di Condivisione del Cambiamento" che avrà luogo a Firenze, il 21 novembre prossimo:

Sino agli inizi della seconda metà del XX secolo, la musicologia tendeva a trascurare le indagini rivolte allo studio degli aspetti creativi e biologici sottesi alla musica. In modo diverso si comportavano le nascenti neuroscienze. Discipline che iniziavano a studiare i fatti musicali per indagare l’eziologia di alcuni disturbi legati ad abilità linguistiche e musicali, causati ad esempio da ictus o da altre cerebrolesioni.
La biomusicologia nasce con le opere di Nils L.

Wallin, il quale conia il termine e per primo tenta di riallacciare i rapporti fra musicologia e biologia. Questo accade nel 1982, un momento storico assai propizio, quando esplode un forte interesse per il “fenomeno musica” tra i neuroscienziati, gli psicologi cognitivisti, i ricercatori sull’intelligenza artificiale e gli esperti in etologia umana ed animale. Questo rinnovato interesse scientifico pone le basi per una nuova ri-definizione di musica, in chiave anche biologica piuttosto che solo culturale.
Nel 1997 Fiesole ospita un convegno dal titolo emblematico, Uomo, mente e musica, al quale partecipano studiosi provenienti da tutto il mondo.

I risultati di questo incontro sono raccolti in un testo intitolato The Origins of Music (Wallin N.L., 2000). Nel testo appaiono le discipline che concorrono alla definizione teorica ed applicativa della biomusicologia, ossia la musicologia evoluzionistica, la neuromusicologia e la musicologia comparata.
La musicologia evoluzionistica si occupa delle origini della musica, della questione dei canti animali e dell’evoluzione della musica in rapporto a quella dell’uomo.
La neuromusicologia si occupa di individuare le aree del cervello che sono coinvolte nel processo musicale, i meccanismi neurocognitivi che si attivano durante l’ascolto ed esecuzione della musica, e dell’ontogenesi delle capacità musicali ed abilità musicali (Bertirotti A., 2003).
La musicologia comparata si occupa delle “funzioni culturali” ed utilizzazione della musica, dei vantaggi-costi legati alla musica, delle pressioni selettive che veicolano l’evoluzione musicale e delle caratteristiche universali dei sistemi e comportamenti musicali.

Per fare un esempio, la domanda cruciale che si pone il ricercatore di biomusicologia è, in chiave prettamente evolutiva: in che modo una facoltà come la musica, che manca di “uso diretto”, è sfuggita all’implacabile e forte azione selettiva della Natura (Wallin N.L., 2003, pag. 23) Forse la musica esiste ancora perché “innocua e senza significato teleologico”, oppure perché poligeneticamente strutturata in cooperazione e dotata di pregnanza esistenziale?
In sostanza, la domanda madre di tutti gli altri quesiti e tipici delle diverse discipline che studiano la musica, è: la musica, apparentemente senza scopo, a che cosa è utile?

Notizie correlate
Collegamenti
In evidenza