Martedì 12 luglio (ore 21,30) Ute Lemper all'Anfiteatro Pecci per Pratoestate

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
11 luglio 2005 12:14
Martedì 12 luglio (ore 21,30) Ute Lemper all'Anfiteatro Pecci per Pratoestate

Primo appuntamento della rassegna F.M.F FEMALE MUSIC FESTIVAL, rassegna di grande musica al Femminile che presenta tre grandi voci della musica internazionale: Ute Lemper, Cristina Donà e Sarah-Jane Morris.

« Ogni canzone è una pièce di teatro che racconta di un paradiso perduto, e ci parla di oggi, e di noi » scriveva Ute Lemper a proposito dell’album Illusions.
Quando canta, Ute Lemper mette in scena suoni e parole di un piccolo universo personale; e se sono molti i paradisi perduti, quelli immaginati e quelli cercati nella storia della canzone moderna, lei ha scelto quelli intimi della chanson, del cabaret berlinese, delle rigorose parodie di Weil e Brecht, della nuova canzone alternativa americana, delle invenzioni di Nyman e, adesso, dei ritratti della tradizione ebraica, araba, slava.

Non è facile, nemmeno per un interprete coraggioso e appassionato, entrare in modo naturale in una canzone di tre, quattro minuti, quando ad averla scritta è una figura come quella di Kurt Weill; oppure, quando ad averla cantata è uno come Jacques Brel.
Non è scontato restituire le atmosfere del cabaret politico berlinese degli anni Venti; né è semplice immaginare il realismo fantastico e la malinconia della voce di Brel.
Ute Lemper, con sottile ironia e naturale passione, mostra come sia invece semplice legare identità (la sua) e memoria (la nostra).

Semplicemente, e con passione.
C’è qualcosa che la rende simile alle voci e alle figure che ricorda, e c’è qualcosa che la rende unica, originale. Infine, c’è un sottile gusto retrò che si rivela subito vivo, contemporaneo. La puoi ascoltare tenendo chiusi gli occhi, immaginando di essere ovunque, perché quello che canta – come lo canta – viene da tempi e luoghi che non si conoscono.
Ute Lemper svela il piccolo mondo del cabaret storico berlinese (Hollaender) e parigino (Piaf, Brel), il cui senso profondo, nell’America dove lei vive, si rivela non tanto nel vecchio music hall, ma nei club di San Francisco e del Village a New York a New York dove i songwriters (Dylan, Waits, Cave), oggi come negli anni Sessanta, recitano il loro dissenso verso la società e l’omologazione dell’arte.
Quando canta, il resto scompare: scompare la musica, il testo.

Restano i ritratti delle voci che interpreta, i luoghi e le atmosfere che si lasciano immaginare. Semplicemente, resta lei, insieme ad una memoria svestita da ogni pretesa storica e filologica.
E’ un yoyage che ricorda una suite di frammenti, legati a un percorso personale ma anche a un universo culturale riconoscibile; Weill, i Lieder dell’Europa a lungo dimenticata (quella slava, quella araba, quella ebraica), Brel, il tango d’autore, sono momenti sospesi tra ieri e domani, tra qui e altrove.

Sono momenti di un unico viaggio. La scelta del quartetto moderno e leggero costituito da pianoforte, batteria, basso e chitarra restituisce a questi momenti una memoria, spogliandoli della propria riconoscibilità sonora, ma non vocale.

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