Lavoro: mezzo milione di immigrati mancano all’appello dell’Inps

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
11 dicembre 2003 13:38
Lavoro: mezzo milione di immigrati mancano all’appello dell’Inps

Firenze, 11 Dicembre 2003 - In Italia 1 lavoratore immigrato su 2, tra quelli con permesso di soggiorno, non è regolarmente iscritto all’Inps ma è su questo, invece, che si giocherà il loro futuro. E’ quanto emerso dal convegno L'INCIDENZA ECONOMICA DELL'IMMIGRAZIONE, organizzato a Firenze dalla Fondazione Cesifin Alberto Predieri - Centro per lo studio delle istituzioni finanziarie promosso dall'Ente Cassa di Risparmio di Firenze.
Sono mezzo milione gli immigrati che mancano all’appello delle liste Inps poiché ”catturati” dal lavoro sommerso.

Il dato risulta da una comparazione tra il numero di permessi accordati e il numero di cittadini stranieri contribuenti Inps. Tra il 1999 e il 2001 il saldo è stato negativo ed oscillante di anno in anno fra le 485.000, le 500.000 e le 600.000 unità. In particolare, in un confronto fra dati del 2001, viene evidenziato che rispetto a 1.212.554 permessi di soggiorno concessi, sono solo 600.000 gli stranieri in regola con l'Inps suddivisi tra industria (275.000), agricoltura (75.000), lavoratori domestici (140.000) e lavoratori parasubordinati (110.000).

Secondo altri dati degli Ispettorati del lavoro, nel 2000 il 60% dei lavoratori stranieri irregolari individuati risultava essere regolarmente presente in Italia. Le conseguenze dell’immigrazione sono evidenti anche sulla finanza pubblica e sul sistema pensionistico. Per quanto riguarda il primo aspetto, appare che l’immigrato regolare, dopo un certo numero di anni di permanenza, presenta caratteristiche assai simili ed assimilabili al lavoratore autoctono. Nel caso degli immigrati irregolari o clandestini il rischio che essi diventino un onere netto per la finanza pubblica è elevato, anche se fruiscono dei servizi pubblici in misura minore della media.

Per esempio solo il 2% degli irregolari ha un ricovero ospedaliero, contro un 10% dei regolari.
Riguardo al sistema pensionistico, l’immigrazione ha sicuramente un effetto positivo, non solo perché il fenomeno è recente e viene erogata agli extracomunitari una pensione ogni 200 lavoratori, ma anche perché gli oneri sono minori, in quanto gli immigrati percepiscono una pensione di reversibilità molto più raramente degli autoctoni.
Sul piano economico, è scontato che il lavoro regolare degli immigrati , compensando il declino naturale delle forze di lavoro, abbia un effetto positivo sulla crescita attesa del sistema.

Non è scontato che essa determini un aumento del tasso di crescita della produttività, influenzato dall’età, dalla qualifica, dall’istruzione degli immigrati e dalla durata dell’immigrazione. E’ da qui che nasce l’obbligo per la politica di incoraggiare la stabilizzazione e l’integrazione dell’immigrato per favorirne la migliore performance lavorativa e di agevolare la formazione delle famiglie e l’investimento in capitale sia nelle prime, sia - e soprattutto - nelle seconde generazioni.

Infine, l’immigrazione, da sola, non può risolvere lo squilibrio del sistema previdenziale: il contributo che essa può dare non è irrisorio, ma neppure risolutivo. E’ opinione condivisa che una politica orientata a favorire la presenza di breve periodo degli immigrati ostacoli la loro regolarizzazione che dipende invece da stanzialità e dal radicamento sociale e territoriale. Per quanto riguarda le imprese, indagini recenti confermano che la manodopera straniera svolge, in assoluta prevalenza, un ruolo complementare rispetto a quello nazionale; sta però emergendo una domanda d’impiego di immigrati con qualifiche più elevate.

Questo implica politiche maggiormente selettive rispetto all’attualità. Se i flussi d’immigrazione, nel prossimi ventennio, restassero ai livelli degli ultimi anni, nel 2023 lo stock d’immigrati, di prima e seconda generazione, raggiungerebbe i 6,5 milioni rispetto ai 2,5 milioni stimati per l’inizio del 2003. E’ un’ipotesi che molti considerano prudente, e che conferma le migrazioni come la maggiore forza di cambiamento della società italiana. Il successo del cambiamento dipenderà in buona misura, dai processi di integrazione delle seconde generazioni - i figli degli immigrati - che nel 2023 saranno almeno un milione e mezzo.

Le politiche d’integrazione, nazionali e locali e le risorse investite; la positiva sinergia tra istituzioni pubbliche, private e associazionismo; l’azione della scuola: da questi fattori dipenderà se gli appartenenti alla seconda generazione d’immigrati sapranno inserirsi positivamente nella società prospera nella quale si formeranno o saranno vittime di esclusione e protagonisti di conflitti. Il clima non è sfavorevole, nonostante la vacillante politica immigratoria e l’alta incidenza della irregolarità e della clandestinità peraltro regolarizzate dalle ripetute sanatorie.

I sondaggi, infatti, rivelano una crescente maturità dell’opinione pubblica: la maggioranza degli intervistati è convinta che gli immigrati prendono lavori rifiutati dagli italiani ed è favorevole al voto degli immigrati, alla regolarizzazione di chi ha un lavoro, alla concessione della cittadinanza. L'82% di italiani ritiene che avere una famiglia di arabi per vicini di casa non sia di “nessun problema”, ma esistono anche un 60% di nostri connazionali secondo i quali gli immigrati che vivono in Italia continuano ad essere troppi e un 52,3% che pensa che il loro aumento favorisca criminalità e terrorismo.
A rilevare i nuovi atteggiamenti degli italiani rispetto al fenomeno immigratorio é stata un’indagine dell’istituto Irpps-Cnr di Firenze, comparata con altri studi svolti a più riprese sul fenomeno dell’immigrazione tra il 1987 ed il 2002.
Dal confronto risulta che oggi c’é un 62,5% di connazionali che dà una valutazione positiva alla presenza degli stranieri in Italia “perché ciò permette il confronto tra culture”.

Per quanto riguarda l’esempio degli arabi come vicini di casa i cambiamenti sono stati netti nell’arco di quindici anni: nel 1987 il 14,7% avrebbe avuto problemi ad averli come vicini; nel 2002 solo il 4% la pensava così, mentre é salita di quasi 18 punti la quota di chi non avrebbe nessuna contrarietà in tal senso rispetto al 1987-88 (64,3%). Tra le categorie più aperte laureati, studenti ed insegnanti; meno favorevoli i disoccupati, casalinghe, pensionati, anziani e persone con basso titolo di studio.

Tre italiani su 5 vedono di buon occhio gli immigrati quando giungono per sostituire gli autoctoni nelle mansioni più faticose, e non per togliere lavoro. L’89,5%, inoltre, é del tutto in disaccordo con l’ipotesi di stabilire per lo stesso lavoro un trattamento salariale inferiore agli immigrati rispetto agli italiani. Sulle politiche migratorie il 74,5% pensa che ´il governo dovrebbe stabilire il numero di lavoratori stranieri’ (era l’87,8% nel 1991). L’82% degli italiani é d’accordo nel regolarizzare i clandestini, che riescono a trovare lavoro ma il 52,8% é per espellerli immediatamente e il 71,7% per dare la cittadinanza dopo 5 anni in Italia.

La crescita della popolazione straniera in Toscana
La Toscana, come è noto, è stata interessata negli ultimi anni da flussi migratori di importanza sempre maggiore, sia per la loro dimensione quantitativa che per la loro pervasività territoriale.
Secondo l’ultimo rapporto Caritas gli immigrati regolarmente soggiornanti in Toscana al 31.12.2002 sono circa 130.000.

Questa stima viene raggiunta applicando al totale dei permessi di soggiorno sul territorio regionale una maggiorazione del 16,8% (adottata dall’Istat) necessaria per stimare la presenza dei minori che, di norma, vengono inclusi nei permessi dei genitori (Paletti, 2003). I dati ufficiali relativi alla consistenza degli stranieri regolari, collocano la Toscana, con gli oltre 111mila soggiornanti al 2002, tra le prime sei regioni italiane, dopo la Lombardia, il Lazio, il Veneto, l’Emilia Romagna e il Piemonte.

Mentre, un dato ancor più significativo, ovvero l’incidenza dei residenti stranieri sulla popolazione complessiva, modifica questa ideale graduatoria ponendo la Toscana al quinto posto e modificando, non di poco, la posizione di alcune regioni.

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