Speciale Porto Alegre 3

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
02 febbraio 2002 17:49
Speciale Porto Alegre 3

Dal nostro inviato Cristiano Lucchi, direttore di Altracittà - giornale della periferia- Michel è un ragazzo di 15 anni preso per strada da una pattuglia della polizia di San Paolo. Preso sì, non arrestato, perché non c'era nessun ordine di cattura che pendeva sulla sua testa, non c'era nessun giudice che avesse richiesto il suo fermo, non c'era nessuna fragranza di reato.
Ma la polizia lo ha preso lo stesso. Perché Michel è famoso, ha solo 15 anni ma è il ragazzo più famoso della città.

É il delinquente per eccellenza, ladro, spacciatore, tossico, il suo nome è sempre sui giornali. Cosa ci può essere di peggio nel Brasile di oggi?
Beh, qualcosa di peggio in effetti c'è, Michel non ha fatto niente ma è da un mese in carcere, viene pestato sistematicamente dagli educatori del minorile, il suo corpo è testimone diretto della tortura subita. Michel però non ha chinato la testa, ha denunciato i maltrattamenti subiti. Il faldone dell'indagine è sulla scrivania di Salgado Ebenézer, uno dei diciassette procuratori del Tribunale dei Minori di San Paolo.

Ebenézer si ritroverà Michel davanti alla sua scrivania. Dovrà ascoltare la sua denuncia, le sue parole di adolescente ferito. Per adesso davanti alla scrivania del procuratore voglio andarci io, per domandare, capire la situazione, per scrivere di questa assurda storia.
All'ingresso del Tribunale mi fermano, i miei calzoni corti sono un affronto alla giustizia brasiliana, basta però tirare fuori la tessera di giornalista e l'aria cambia, la porta si apre. Il mio status sociale mi consente di andare al di là del regolamento.

Adesso sono dentro.
Non è un tribunale come siamo abituati a vederli in Italia, sembra più un ambulatorio del servizio sanitario, ampie stanze e lunghe code, in fondo un corridoio con 17 porte, una per procuratore. In una sala ci sono i familiari dei ragazzi, in attesa di riabbracciare seppur per un attimo i loro figli. Hanno volti disperati, molti uomini piangono. I ragazzi sono a pochi metri di distanza, in un'altra sala d'attesa e sono vestiti con una sorta di divisa, molto chiara. Hanno i capelli rasati a zero e se si spostano all'interno della stanza o verso altri luoghi lo fanno in fila indiana, occhi bassi e mani dietro la schiena.

È umiliante, per loro e per tutti i presenti.
Percorro tutto il corridoio, la stanza di Ebenézer è quasi in fondo, a sinistra. L'aria condizionata viaggia a pieno regime, i 35 gradi di temperatura sono un ricordo che si cristallizza sulla fronte. Sono rigido, il mio portoghese non mi permette di discutere alla pari con il procuratore, con me c'è Monica e anche Antonio che per fortuna il portoghese lo conosce bene.
Alla parete c'è un bellissimo poster in tela. È a colori, con sopra disegnati bambini che giocano, che si divertono.

Una scritta li sovrasta "Dichiarazione internazionale dei diritti del Fanciullo" e poi qua e là attaccati sul muro dei fogli fotocopiati con frasi del Vangelo, il rispetto, la bontà... Il sudore sulla fronte ricomincia a scendere. Ma che succede, ci prendono in giro?! A chi la danno a bere questi procuratori?
Salgado Ebenézer chiama un inserviente, gli chiede qualcosa e poi ci saluta, è gentile, ci fa accomodare nella sua stanza, fuori le palme sventolano al vento caldo dei tropici. Sorride, è molto disponibile e loquace.

Comincia a parlare del sistema repressivo brasiliano.
"Il mio é un lavoro molto duro. Stiamo lottando contro un sistema non contro delle persone. Questo sistema esiste da cinquecento anni, ha un retaggio coloniale, europeo. Qui noi abbiamo la cultura dello schiavo, della repressione violenta di chi è diverso o poco funzionale al sistema. Le conquiste civili degli ultimi venti anni faticano molto a entrare nella mentalità del brasiliano medio. E purtroppo anche del potere politico e della magistratura."

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