Pitti Uomo: lo scenario economico

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
20 giugno 2001 19:14
Pitti Uomo: lo scenario economico

Nonostante il consistente successo economico, l’immagine delle industrie italiane che producono tessuti, abiti e calzature è tuttora divisa tra gli apprezzamenti per la straordinaria performance competitiva e l’alone di “precarietà” che circonda fattori come lo spessore organizzativo o la difendibilità dei livelli occupazionali. Siamo di fronte ad una specie di strabismo, in parte amplificato dai media, ma comunque presente nel sistema moda italiano, un insieme molto complesso di aree di affari e settori dove coesistono imprese brillanti e innovative e organizzazioni con ruoli e profili più opachi.
In effetti, finora la comunicazione ha preferito enfatizzare gli aspetti mondani del successo della moda italiana e ne ha trascurati altri, forse di minore appeal, ma oggi al centro delle attenzioni del mondo politico: l’occupazione, gli equilibri sociali e territoriali o le tematiche ambientali.


Del sistema moda sono stati apprezzati i consistenti saldi commerciali e il ruolo di locomotiva dell’immagine dell’Italia nel mondo; questo non vale, tuttavia, per il contributo delle sue imprese in termini di occupazione, diretta e indiretta, tanto nei segmenti forti del mercato del lavoro che nelle aree più deboli, o per i tanti elementi di innovazione che essa ha introdotto a livello industriale e terziario o, ancora, per le sue capacità di attivare relazioni e progetti con il mondo della ricerca, della cultura, dell’arte.
Il progetto de I libri bianchi del Made in Italy vuole appunto rappresentare l’occasione e il mezzo per fermare i riflettori del mondo politico-istituzionale e della stampa sull’insieme dei contributi offerti dal sistema moda e sul suo futuro.

Il primo rapporto, Fashion Economy, ferma i riflettori sulle molte facce dell’occupazione nel sistema moda, presente e futura, e sul ventaglio di strumenti di flessibilità utilizzati dalle imprese per adattarsi a mercati caratterizzati da una elevata stagionalità.
Non a caso esso è stato lanciato dal Centro di Firenze per la Moda Italiana e da Pitti Immagine nel 2001, anno in cui si celebrano i primi 50 anni di moda italiana, partita proprio a Firenze con le sfilate di Giorgini e con la Sala Bianca di Palazzo Pitti.

Alla presentazione di Fashion Economy, in occasione dell’inaugurazione del 60esimo Pitti Immagine Uomo, partecipano:
Vittorio E. Rimbotti, presidente del Centro
Paola Bottelli, giornalista de Il Sole 24 Ore
Mario Boselli, presidente di Pitti Immagine
Domenico De Masi, sociologo del lavoro e docente
Marco Ricchetti, economista e co-autore del rapporto.

Il primo capitolo
L’occupazione nel sistema moda - propone una radiografia dell’occupazione industriale nella sua articolazione settoriale, dimensionale e territoriale.

I dati del Censimento intermedio del 1996 consentono di apprezzarne il peso quantitativo e la sua distribuzione a livello regionale. Nel complesso, il quadro generale si presenta abbastanza equilibrato tra imprese di dimensioni diverse e, soprattutto, evidenzia un percorso evolutivo che si muove in direzione di un consolidamento sia nel Centro Nord sia nel Mezzogiorno.

Il capitolo successivo
I cento lavori della moda - affaccia una mappa delle numerose professioni, e soprattutto di quelle nuove, legate alle fiere del settore, alle sfilate, alle attività editoriali, al design, alla logistica e alle reti distributive.

Questa parte esamina anche le trasformazioni in atto nei profili professionali tradizionali e si sofferma sulle tensioni presenti nel mercato del lavoro.
Della flessibilità dei cicli produttivi e, di riflesso, di tutte le attività e del mondo in cui sono utilizzati i fattori (a cominciare dal lavoro) si occupa il terzo capitolo: Moda e mercati volubili. Oltre a ripercorrere il modo in cui le relazioni industriali, nel tempo, si sono sforzate di conformarsi al campo di forze dei mercati della moda (part time, week end, job sharing,..), sono stati esaminati casi particolari di flessibilità come la scansione dei tempi del lavoro nei distretti industriali.
Il quarto ed ultimo capitolo – L’industria della moda e lo sviluppo del paese - propone uno sforzo di analisi prospettiva e affronta temi controversi, anche sotto il piano emotivo, come la paura per gli effetti della delocalizzazione e le possibilità di una rapida diffusione di nuclei forti di attività tessili, dell’abbigliamento e delle calzature nel Mezzogiorno.

I riflettori puntati sul mondo del lavoro nel sistema moda si spengono sulla mappa dei distretti, vecchi e nuovi, assunti ancora come saldo baluardo del sistema moda italiano.
Il rapporto è corredato da tavole statistiche per i riscontri quantitativi ed è incastonato da alcune brevi case histories per ricostruire la vivacità e il fascino di questo grande laboratorio dove si combinano in molti modi diversi costumi, ingegno, organizzazione e imprenditorialità.

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