Carcere: un tempo di vita negato

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
22 maggio 2001 16:27
Carcere: un  tempo di vita negato

Nei giorni scorsi presso la Sala della Resistenza del Palazzo Ducale di Massa, si è svolto un convegno riguardante la vita carceraria. Il Vescovo Mons. Eugenio Binini ha presenziato la conferenza, coadiuvato da alcuni relatori, addetti ai lavori in questo settore: Mons. Antonio Cecconi (vice direttore della Caritas Italiana), il Dr Alessandro Margara che è Magistrato di sorveglianza di Firenze e infine il Dr Pier Giorgio Licheri, che ha raccontato la difficile ma toccante e costruttiva attività di volontario.
L'allarmismo dei media, oppure la forzatura politica di alcune istituzioni statali tratta il carcerato come un soggetto da tenere a distanza.

La mentalità obsoleta e molto pregiudiziale dell'opinione pubblica, molto spesso non facilita loro le cose, talvolta o quasi sempre penalizza ingiustamente la figura dell'uomo: si rafforza la distinzione fra "buoni" e "cattivi" come se la società o questa legge uguale per tutti fossero in grado di stabilire e decretare la portata di alcuni reati o capire realmente l'uomo che ha commesso il fatto. La diffidenza verso questo mondo di devianza è ripugnante ma per fortuna non è sempre così perché in alcuni carceri ubicati in Toscana si sta gradualmente muovendo qualcosa.

Vengono svolte all'interno del carcere attività manuali, sportive. Vi è una sorta di rieducazione alla vita, un recupero che permette di analizzare la propria coscienza e un aiuto valevole cristiano che impedisca loro di commettere qualcosa di sbagliato quando ritornano fuori. Il carcere di Massa ad esempio detiene un corpo lavorativo efficiente e soprattutto svolge un'attività di lavoro e socializzazione dignitosa e significativa. C’è una rieducazione scolastica infatti vi sono già diverse scuole che operano per il carcere.

Vengono quindi fatti sforzi notevoli, in Toscana si prevede la formazione di un polo industriale che consideri i carceri come piccole imprese.
Facendo riferimento ai recenti avvenimenti come il caso di Novi Ligure o meglio la vicenda di Erika e Omar, Mons. Cecconi, ha affermato che molto spesso le colpe dei nostri figli vengono addossate ai cosiddetti stranieri che soggiornano magari clandestinamente in Italia e quindi commettono tali cose. Ma non è questa la verità, esiste una società di devianza che non ha più una gerarchia di valori ma presenta forti connotazioni di aggressività.

Forse tra pochi anni sarà di moda commettere questa serie di delitti. L’uomo deve ricominciare a scegliere il bene. Ma dove si esulano il perdonismo e il pentitismo? Nelle piccole realtà come quella di Massa, l’attività procede gradualmente, ma spesso nei grandi carceri dove apparentemente vige l’aspetto borghese, vi sono sempre sorprusi che costringono il carcerato a chinare la testa o ad aggredire gli operatori.
Il carcere è davvero un tempo negato alla vita oppure è una ricrescita, un repentino ritorno alle buone maniere? Non si significa che chi sta dentro debba essere trattato un diverso perché molto spesso l’ingiustizia sociale, l’emarginazione, la debolezza induce a fare certe azioni.

Per carità non giustifichiamo colui che fa queste cose, semmai educhiamolo, costruiamolo. Con la manipolazione genetica si vuole forse o si vorrò realizzare una nuova razza. Ma intanto iniziamo con il sostegno. Ci vogliono metodi concreti.
L’innocenza è spesso una farsa ma l’umiltà è l’arma vincente... Tu carcerato non sei diverso perché stai oltre le sbarre, i veri mentori stanno fuori e forse sono anche i peggiori perché con veste buona nascondono la mela marcia, i pensieri oscuri e malvagi, le cattive intenzioni....
[R.

A.]

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