Villa Stibbert: un caso emblematico

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
23 gennaio 2000 20:30
Villa Stibbert: un caso emblematico

Si concluderà il 30 luglio l'esposizione di 183 capolavori della collezione giapponese di Villa Stibbert. Si tratta, potremmo dire, di un caso esemplare del rapporto che questa città ha con il proprio patrimonio storico-artistico.
Frederick Stibbert fu un vero precursore nel collezionismo di opere giapponesi. Iniziò ad acquistare i primi oggetti gia nel 1870, negli anni in cui il Giappone, da poco riaperto al commercio con l'Occidente, partecipava alle grandi esposizioni, sollecitando l'attenzione dei collezionisti occidentali.

Stibbert riuscì a creare una collezione di 1.800 pezzi, tutti di grande qualità, comprendente non solo armi e armature eccezionali, ma anche oggetti di uso quotidiano e d'arte. La raccolta è da anni inaccessibile al pubblico, perché collocata ai piani superiori della villa, tecnicamente non a norma, e l'attuale esposizione offre un assaggio sublime del raffinatissimo assieme.

Ma anche per quanto riguarda la collezione Stibbert nel suo complesso l'esposto non è che una parte minore delle decine di migliaia di oggetti custoditi nel bell'edificio.

E villa Stibbert non è certo un caso a se, ma anzi rappresentativo della norma dei musei fiorentini, che custodiscono le proprie raccolte prevalentemente lontane dalla vista dei visitatori. Per carenza di finanziamenti, o di personale di vigilanza, per inagibilità, o ancora assenza di inventario, o di sistemi di sicurezza, molte istituzioni sono costrette, come allo Stibbert, ad alternare in esposizione al pubblico piccole scelte di pezzi, rispetto a quelli conservati in archivio, se non addirittura negli scantinati.

Per non parlare di quei musei che sono del tutto chiusi da anni, o da decenni.
Immaginatevi Firenze con tutti musei sempre aperti e le collezioni completamente esposte. Una città con spazi espositivi doppi, o tripli, rispetto all'attuale, e che redistribuirebbe necessariamente anche in aree periferiche, anche in provincia, l'immenso patrimonio nascosto. Immaginate dunque un polo culturale di prim'ordine, non la solita città d'arte, ma il "museo dei musei" per eccellenza, un fenomeno unico al mondo, che richiamerebbe visitatori in numero ben superiore al consueto, anche rispetto a un anno fortunato come quello giubilare.

Ma dovete immaginarvi anche una struttura ricettiva evoluta, diversa dall'attuale "turista mordi e fuggi", con sistemazioni alberghiere prolungate, un sistema di mezzi trasporti complesso, che consenta anche ai non motorizzati (quasi tutti i turisti) di spostarsi agevolmente da un punto all'atro della rete monumental-museale. E in tutto questo possiamo anche immaginare un indotto culturale fiorente, che richiama i maggiori studiosi e i più brillanti artisti del mondo a confrontarsi con un tesoro che non è solo dei fiorentini, ma dell'umanità.
Bella fantasia, non è vero?
Eppure non assurda, non impossibile, certo lontana dalla visione della città che abbiamo.

O per meglio dire, che hanno, tutti coloro che ancora oggi continuano a proporci un'idea di città, come complesso produttivo, cioè fenomeno industriale (a Firenze?!) della società dei consumi. E che da noi ha finito per significare degrado del patrimonio monumentale e saturazione automobilistica dell'area urbana. Un'idea che giustifica l'allarmismo lanciato ad ogni chiusura di uno stabilimento industriale, con perdita di posti di lavoro, ma che fa sì che nessuno si scandalizzi del fatto che 2/3 del patrimonio museale fiorentino sia ancora inaccessibile al pubblico.

Come se il turismo culturale non fosse la prima fonte di reddito della città!
Abbiamo un tesoro di inestimabile valore sotto i nostri piedi. Non si tratta di pozzi di petrolio, o di miniere di metalli preziosi da raggiungere scavando profondissime miniere. Si tratta invece di collezioni storico-artistiche accatastate nelle cantine della città. Noi ne custodiamo le chiavi, ma non ci siamo ancora decisi a spalancarne i forzieri per mostrarle al mondo.

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