Vittorio Sermonti: "Ho bevuto e visto il ragno"

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
14 novembre 1999 22:01
Vittorio Sermonti:

Sermonti mercoledì 17 novembre sarà alle ore 17,30, alla Biblioteca Comunale Centrale (via S. Egidio,21 - Firenze) dove è in programma il nuovo appuntamento del ciclo di incontri organizzato dall’assessorato alla Cultura e curato da Anna Benedetti. (dm) Dantista di fama, Vittorio Sermonti ha attraversato per anni la poesia dantesca e quindi ne è stato a sua volta attraversato, ma forse non ci saremmo aspettati questa forma di "pezzi facili" riuniti uno dopo l’altro senza l’interruzione di sottotitoli.

Sono poesie antipoetiche, dissacratorie, autoironiche, sono contagiose e le si rilegge, o se ne sorride a distanza di tempo e luogo. Sono saette, folgorazioni, capaci in due righe di evocare con distruttivo humour complesse e crudeli realtà oppure di squarci espressionistico-surrealisti. Non che Sermonti abbia mai mancato di ironia, anche quando ha dedicato il suo acume alla non facile lettura delle tre cantiche della Commedia di Dante. Ma non aveva mai scherzato così direttamente sulla faticosa esperienza quotidiana del vivere e quindi su come lui stesso l’ha affrontata e l’affronta.
Strappare un sorriso, di conoscenza improvvisa o immediato riconoscimento, con pochi versi brevi sulla pagina bianca è un’arte ricca e sottile, ma affatto inconsueta nella tradizione, molto seriosa, della poesia italiana tra Otto e Novecento.

Vittorio Sermonti, che è magnifico lettore di poesia ad alta voce, come dimostrano le sue letture dantesche in pubblico, ha un sensibilissimo orecchio interno in cui si sono depositati gli echi di culture poetiche abituate all’ironia: dall’epigrammatica latina al wit, quel fulmineo salto mentale d’arguzia che lega campi d’esperienza in apparenza distanti nella poesia settecentesca inglese; all’abilità, attinta da Heine, di tarpare le ali all’aulico contrapponendolo subitamente al pedestre e al quotidiano; al gusto di sgonfiare i turgori romantici con un blando tono di nonchalance alla Laforgue.

Di italiano Sermonti sembra aver accolto soltanto il tono antilirico, divertito e autodeprecatorio di Guido Gozzano. Echi, fusi in una sintesi personalissima in grazia soprattutto di un gusto giocoso per la versificazione abile fino al virtuosismo, che sembra nascere dal rimpianto per la cantabilità raffinata dei grandi librettisti italiani, da Metastasio a Da Ponte. Si sorride a ogni poesia, in questo libro, spesso si ride di cuore, per un effetto di rapida agnizione di un concetto, di un senso che da sempre ci sfuggiva.

E il senso ultimo che ci rimane è una gioiosa accettazione stoico-epicurea della limitatezza e della malinconia del vivere.
Vittorio Sermonti è nato a Roma nel 1929. Ha pubblicato, fra l’altro, tre romanzi: La bambina Europa (1954), Giorni travestiti da giorni (1960), Novella storica (1968): un libro di racconti (Il tempo fra cane e lupo, 1980), un ponderoso saggio sul calcio (Dov’è la vittoria?, 1983), tre volumi danteschi in forma di racconto critico (1988, ’90, ’93). Fra il 1995 e il 1997 ha letto nella Basilica di San Francesco a Ravenna l’intera Divina Commedia.

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