Esclusivo: il testo della lettera dei lavoratori della Pignone al Sindaco

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
11 febbraio 1999 00:01
Esclusivo: il testo della lettera dei  lavoratori della Pignone al Sindaco

Assemblea sindacale aperta ieri mattina al Nuovo Pignone. Vi hanno preso parte i presidenti delle commissioni industria e lavoro della Camera Nerio Nesi e Renzo Innocenti, il presidente della Regione Vannino Chiti, della Provincia Michele Gesualdi e il sindaco di Firenze Mario Primicerio, insieme a 2.000. Oggi una delegazione sindacale viene ricevuta dall'arcivescovo di Firenze. Intanto NOVE è in condizione di pubblicare il testo della lettera che i lavoratori hanno inviato al Sindaco di Firenze il 31 gennaio, senza però che le rappresentanze sindacali del Pignone la facessero propria: Caro Sindaco, La sappiamo sensibile e impegnato sulla vicenda Pignone e abbiamo fiducia che userà la Sua autorevolezza personale e il Suo ruolo, in difesa, non solo di posti di lavoro, ma del rilievo economico e sociale che la nostra Azienda ha nell'area fiorentina.

Anche Lei ha già rilevato la particolare "novità" di questa vicenda: cassa integrazione per 400 persone, non a fronte di una crisi di commesse, o di profitti; profitti che, al contrario, sono stati sempre elevati e attualmente sono rilevantissimi. Lei si sarà sicuramente documentato, ma riportiamo qui alcuni degli indici più significativi: - Portafoglio ordini 3.663 miliardi; - 403 macchine da produrre; - Utili netti di 167 miliardi nel 1997 con un picco di 233 nel 1996. Profitti comunque possibili anche su un prodotto relativamente "maturo" per l'alta qualificazione internazionale, tutta italiana e fiorentina, raggiunta dall'azienda prima della vendita delle azioni alla GE, e che, insieme al ricco portafoglio ordini già praticamente acquisito, rese possibile a chi ci governava, di trovare un caso spendibile di privatizzazione. Si parlò di vendita dei gioielli di famiglia, equivocando: perché chi ha problemi di soldi può vendere i gioielli di famiglia, ma non venderebbe certo una delle sue più redditizie attività, cedendo a prezzi di realizzo i futuri e alti profitti.

Ne è dimostrazione il tempo di ritorno dell'investimento, minore di 5 anni. Fu uno dei casi in cui succede che la politica difende se stessa a prescindere o contro l'interesse generale, ma poi tutti si diedero da fare per leggere in positivo l'evento. Non ci convinsero; purtroppo avevamo ragione noi, i fatti di questi giorni erano potenzialmente impliciti in quella ostinata decisione di privatizzazione. Ricordiamo queste cose, non per recriminare sul passato, ma per meglio far capire la svolta industriale, culturale e sociale di fronte a cui ci troviamo.

Avrà letto, e pensiamo anche direttamente ascoltato, le motivazioni che i dirigenti GE "americani" danno del piano di ristrutturazione che prevede i 400 esuberi, prontamente assecondati da "storici" zelanti manager italiani. A nostro parere, le cose hanno una diversa "ratio": in sostanza, è proprio l'alta redditività raggiunta dell'Azienda, o meglio la redditività delle azioni in mano a sempre più anonimi soggetti finanziari, slegati da ogni interesse verso il prodotto, il territorio, il bisogno di lavorare di donne e uomini....

E' la redditività per azione, assunta come misura di tutto e che deve solo salire, non può rischiare mai di scendere; ed è per questo che serve ancora maggiore "efficienza", che bisogna licenziare ("meglio prevenire che curare" , secondo il candido cinismo di dirigenti con stipendi di diverse centinaia di milioni annui), che la collettività deve assorbire, insieme all'incertezza di numerose famiglie, il costo economico (20 miliardi all'anno) di questa "assicurazione" sul reddito degli azionisti e sulla carriera del management.

A nulla serve, sembra, argomentare che il Pignone contribuisca a generare il 10% del reddito di GE (in Europa) con solo il 4% del personale e rilevare l'eccezionale contributo dato dal lavoro al profitto: al Pignone il lavoratore medio, a fronte di un salario mensile netto di 2.5 milioni di lire genera per l'azionista un profitto mensile netto di oltre 3.5 milioni. Siamo sicuri che Lei comprenda il senso distruttivo di questa logica. Con essa, ogni valore della tradizione migliore del lavoro e della vita sociale (i "giacimenti" di conoscenza tecnico-scientifica, l'uso della tecnologia, la rete di rapporti sociali che una fabbrica contiene, l'apporto alla ricchezza di un territorio e al benessere di una comunità......), che abbiamo faticosamente e talvolta drammaticamente conquistato e che sono ora presenti come elemento costitutivo della nostra coesione sociale, diventa puro fattore di moltiplicazione finanziaria.

Cioè materia (cose e uomini) da giocare sul mercato mondiale delle convenienze immediate, senza preoccupazioni di "futuro lungo", verso le generazioni e le città. E' il passo decisivo di un processo che importerà, da altre latitudini, stili di conflittualità gladiatorie interne all'Azienda, ricatto e impoverimento tecnico interno e in una vasta area di indotto, incertezza nelle famiglie degli occupati, maggiori difficoltà di dignitoso impiego nei giovani che studiano. Se questa logica prevale - e le logiche peggiori prevalgono con i fatti che avanzano - il Pignone verrà gradualmente svuotato dei suoi valori industriali e sociali e non resterà che un'area da destinare, al momento opportuno, alla rendita fondiaria.

Sappiamo che sono già in moto i compromessi, quelli che, dopo più o meno lunghe schermaglie e verità parziali comunicate ai lavoratori, rischiano di scambiare per vittoria la "riduzione del danno". Se si ammette di discutere di "quanti" e di "quali" cassintegrare, si sancirà la indipendenza della occupazione dai piani industriali e dai risultati di esercizio, vanificando ogni tutela per chi lavora e per chi si avvia al lavoro. Vorremmo che le istituzioni, a cominciare dal Comune, lo impedissero.

Ecco perché ci rivolgiamo a Lei direttamente, come credibile tutore della comunità cittadina. Si deve necessariamente contrattare e c'è chi è deputato a farlo, necessariamente costretto nel quadro di riferimento che l'iniziativa di GE ha posto. Ci permettiamo di chiedere a Lei un intervento forte, non contrattuale, che allarghi quel quadro. Non si devono mandare lavoratori in cassa integrazione in un'azienda che realizza tra i più alti profitti mondiali ...Questo non è negoziabile! Le chiediamo di dichiarare, a nome della città e della civiltà dei rapporti economici e sociali che qui vige, che Lei non lo permette.

Chiediamo che il Sindaco eletto dai fiorentini affermi da Palazzo Vecchio, e pubblicamente, che tutto può essere discusso e trattato per creare le condizioni migliori per lo sviluppo del Pignone a Firenze, ma che si deve subito cancellare la richiesta di cassa integrazione. E dia anche un segnale chiaro e deciso di conferma che l'area sulla quale è collocato il Pignone non è destinabile a uso non industriale. Se non l'ascoltano devono sapere, azionisti e manager, americani e italiani, che sfidano il Sindaco di Firenze e la città intera.

Qui ci sono le risorse per garantire ampie possibilità di sviluppo ad un'Azienda di grande livello tecnologico, rinnovandosi, ma senza corrodere e rinnegare il patrimonio di conquiste di democrazia economica e il rapporto, sociale, umano con la città. Il Pignone, nel 1954, ha già visto cosa una città può fare: rovesciare una perdita che sembrava inevitabile, in una nuova modalità di rilancio e di sviluppo, attraverso un sussulto culturale e sociale che ha lasciato il segno nel tessuto civile di Firenze.

Firenze in certi momenti ha saputo essere una città speciale, in cui sono nati fermenti innovativi o si sono neutralizzati processi regressivi. Spesso la forza dei fatti ritenuti ineluttabili, sta solo nella debolezza o nella convenienza immediata di chi dovrebbe contrastarli. Difendere il Pignone significa difendere il futuro della città. La salutiamo con fiducia. Un gruppo di lavoratori del Nuovo Pignone. Seguono 653 firme.

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