Prato, torna a salire l'occupazione nel tessile

Ecco i dati del periodo 2016-2018. Gli addetti sono aumentati del 3,5%. Il settore in maggiore crescita è quello delle confezioni di abbigliamento: più 25%

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
23 maggio 2019 10:31
Prato, torna a salire l'occupazione nel tessile

E’ stata discusso in questi giorni l’ultimo rapporto sull’andamento del mercato del lavoro nell’area pratese. Il rapporto, che si inserisce nella ricerca commissionata e finanziata dal Comune di Prato e dal COGEFIS(Comitato di Gestione dei Fondi per gli Interventi Sociali, costituito da Confindustria e CGIL, CISL e UIL), è il prosieguo ed aggiornamento del precedente report presentato nel 2017 e fotografa l’evoluzione degli ultimi 3 anni.

La ricerca - realizzata da Enrico Fabbri e Fabio Boscherini del Laboratorio di Scienze del Lavoro (LABORIS) del PIN - è frutto dell’analisi sistematica delle comunicazioni obbligatorie che le aziende devono effettuare per l’assunzione dei lavoratori. Queste, opportunamente elaborate, forniscono una fotografia del flusso occupazionale all’interno delle aziende del Distretto. Il rapporto sviluppa un’analisi della struttura produttiva e dei flussi occupazionali dell’ultimo triennio, evidenziando come il sistema economico pratese si evolva e quali conseguenze vi siano state sul fronte occupazionale.

Nel periodo 2016 – 2018, il settore che vede crescere maggiormente il numero di unità produttive è stato quello delle confezioni di abbigliamento. Tale incremento si è accompagnato ad una crescita degli addetti pari al 25% (si è, cioè, passati da 18.118 unità nel 2016 a 22.669 nel 2018).

Il settore tessile, invece, diminuisce le unità locali del 5,5% (che da 2.810 del 2016, divengono 2.656 nel 2018), ma aumenta in maniera apprezzabile l’occupazione. Infatti, gli addetti salgono a 16.130 nel 2018, crescendo del 3,5% rispetto al 2016.

L’impressione che si trae è che nel settore tessile siano in atto dei processi di ristrutturazione settoriale, attraverso i quali le aziende che sono sopravvissute alla crisi stiano strutturando maggiormente le funzioni aziendali, ma – al contempo – incrementino le proprie dimensioni. I processi di cambiamento in atto – lungi dall’essere conclusi – implicano non solo un aumento della manodopera, ma anche una variazione della composizione qualitativa della forza lavoro: I lavoratori cognitivi avviati passano da 617 unità, nel 2016, a 779, nel 2018. (+26,3%). Tuttavia, anche il lavoro manuale sale: l’incremento fra il 2016 e il 2018 è di oltre il 30%.

Fenomeni analoghi si verificano anche nel settore delle confezioni di abbigliamento: il lavoro cognitivo aumenta di circa il 56%, ma nel momento in cui devono essere espulse delle professionalità dal sistema produttivo, come è accaduto nel 2018, queste risultano provenire – in proporzione – più dall’ambito cognitivo che da quello manuale. Infatti, fra il 2016 e il 2018, le cessazioni riconducibili alle competenze cognitive sono aumentate di circa il +51%, contro il +36% relativo a quelle manuali (mentre nel settore tessile le maggiori cessazioni, fra i due periodi, caratterizzano di più le mansioni manuali, +20,4%, che quelle cognitive, +16,5%).

Da quanto visto sin ora, quindi, sembra che nell’ambito delle confezioni di abbigliamento non vi sia una piena consapevolezza del valore aggiunto derivante dalle competenze di ordine cognitivo, in riferimento agli effetti che questo potrebbe avere sui processi di innovazione di prodotto e di processo. Quindi, di fronte alle difficoltà del mercato, non si tende a differenziare tale tipo di manodopera nel trattamento e i lavoratori cognitivi vengono licenziati in maniera proporzionalmente maggiore rispetto a quelli manuali.

Riguardo i movimenti occupazionali, prevalgono gli avviamenti con contratti a tempo indeterminato. Il dato – in controtendenza rispetto a quello nazionale – va, tuttavia, ridimensionato: infatti, se si espungono dagli avviamenti indeterminati quelli delle confezioni di abbigliamento (che, come è noto fanno un utilizzo anomalo di tale strumento contrattuale) la forma contrattuale, che totalizza la maggioranza, diviene quella del tempo determinato, mentre i contratti a tempo indeterminato scendono del 68% (da 19.626 si passa a 6.175 unità).

Nel settore tessile prevalgono i contratti a tempo determinato (costituiscono quasi il 56% degli avviamenti del 2018) seguiti, a distanza, da quelli a tempo indeterminato (il 33% degli avviamenti 2018). Tuttavia, se fra gli avviati, si distinguono i cinesi (si tratta del 22,1% degli avviati di settore), questi ultimi vengono avviati a tempo indeterminato nell’82% dei casi. Segno di una probabile penetrazione degli imprenditori cinesi nella filiera tessile, che tendono ad applicare, anche qui, modalità gestionali già viste nel settore delle confezioni di abbigliamento.

Nel settore delle confezioni di abbigliamento, invece, non vi sono sorprese in termini di tipologia contrattuale: prevalgono i contratti a tempo indeterminato (86,7% degli avviamenti del 2018), seguiti – a lunga distanza – dai contratti a tempo determinato (12%). La vera sorpresa riguarda, invece, le cessazioni che, dal 2016 al 2018, sono aumentate del 38,3% (si è passati da 8.616 cessazioni a 11.917) senza che – nel medesimo periodo vi sia stato un incremento degli avviamenti (che erano 12.246, nel 2016, e sono divenuti 12.199, nel 2018), determinando un vero e proprio crollo dei saldi: i quali sono passati da +3.544, nel 2016, a +282 nel 2018.

Il settore delle confezioni sembra, dunque, smettere di crescere occupazionalmente, senza – tuttavia – una diminuzione della base occupazionale, che invece pare essere caratterizzata da un turn - over crescente

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