Settembre 2025 segna il quarantennale dell’ultimo delitto del Mostro di Firenze.
Ogni anniversario riporta il caso in prima fila, spesso a colpi di ricordi sgranati e teorie lampo. Questo libro entra nella conversazione con un’altra scelta: rimettere i fatti davanti a tutto. “Cartucce con la “H”. La pistola, le scene, gli atti: i delitti del Mostro di Firenze” (515 pagine) di Demetrio Sforzin è un viaggio dentro le otto scene canoniche, raccontate con una bussola semplice e ferrea: scena, laboratorio, catena, tempo. Niente rivelazioni promesse, niente scorciatoie: si parte dai luoghi, si passa dai reperti, si misura ciò che gli oggetti possono davvero dire.
Il lettore ritrova la firma operativa che attraversa gli anni: rientranze cieche, arrivo a piedi, la calibro 22 a contatto o quasi, secondo tempo di lama quando la finestra lo consente, fuga in pochi minuti. Accanto all’atlante tecnico, Sforzin propone una lettura limpida delle piste, dei passaggi investigativi e del rapporto con stampa e web: non per alimentare il mito, ma per capire dove il racconto si è sovrapposto alla prova e dove, invece, la prova ha tenuto.
Dentro c’è anche qualcosa di nuovo: due idee nate sul campo e pensate per essere verificate, non credute. La scala dei passi misura la distanza operativa tra la strada e la soglia d’invisibilità che ricorre scena per scena; la rete dei salti guarda alle scelte dei luoghi come a pochi corridoi pedonali, ripetuti negli anni, con uscite entro un minuto. Se reggono ai controlli, aggiungono una metrica; se non reggono, cadono senza drammi. È questo il patto con il lettore.
Il finale non cerca un nome. Restituisce una forma: un operatore solista, sobrio, funzionale, che governa il rischio con pochi gesti ripetuti. È la risposta più netta che le scene consentono, proprio mentre il quarantennale riaccende la memoria di tutti.
Triestino di nascita ma fiorentino di adozione, ha impostato questo lavoro come un’officina: prima i luoghi, poi gli atti, infine le letture. La sua voce è asciutta, didattica quando serve, sempre orientata al controllo delle fonti e alla distinzione fra fatto, inferenza e opinione. Ha scelto di non promettere rivelazioni: preferisce offrire strumenti — dal glossario operativo alla griglia scena/laboratorio/catena/tempo — che il lettore può usare anche fuori da questo caso. Nel capitolo conclusivo firma un profilo dell’autore dei delitti come “forma”: una risposta misurabile e falsificabile, non un gioco di specchi. Sulla vicenda dei duplici delitti delle coppiette, Sforzin ha già pubblicato il libro Tutti i mostri di Firenze.