La Ferita che squarcia Palazzo Strozzi

L’installazione dell’artista francese JR fotografa la nostra ferita culturale interiore

Daniele
Daniele Vriale
22 marzo 2021 21:57
La Ferita che squarcia Palazzo Strozzi

Percorrendo Via degli Strozzi, l’omonimo palazzo fa capolino alla nostra sinistra e, da alcuni giorni, lentamente disvela l’installazione che JR, istrionico artista francese, ha esposto sulla facciata del quattrocentesco edificio fiorentino.

Alta oltre 25 metri, La ferita – questo il nome dell’opera - ci appare come uno squarcio verticale sul muro, con l’effetto di proiettarci al suo interno.

Al piano terreno compare un porticato rinascimentale, con tipici archi, capitelli e colonne, ma scevro della presenza umana, come a richiamare le nostre desolate piazze e strade.

Approfondimenti

Al livello superiore, sono rappresentati i capolavori botticelliani della Primavera e della Venere che, uniti al Ratto delle Sabine del Giambologna, ci proiettano in una sala di un immaginario museo, anch’esso deserto e privo dell’elemento umano, dove alle opere d’arte non rimane che ammirarsi reciprocamente.

All’ultimo piano si accede ad una imponente libreria, di una immaginifica Biblioteca, dove una scala antistante, sembra evocare l’irta salita per accedere alla conoscenza. Anche qui l’umanità è assente e tristemente nessuno sta percorrendo quella ascesa al sapere.

La Ferita è dunque un urlo silente, ma a differenza del celebre dipinto di Munch, non è un urlo univoco ma universale. L’arte e la cultura giacciono, in un assordante silenzio, abbandonate a se stesse, come vedove dei loro adepti. Noi, abituali visitatori, ammiratori, lettori, siamo come svaniti nel nulla.

Indubbiamente la forza di questa opera consiste nel connubio empatico tra la ferita inflitta alla cultura, rappresentata da JR, e le nostre ferite interiori, in un metaforico abbraccio, che mai come adesso, assurge a gesto di futura rinascita.

Non di minore interesse risulta osservare gli sguardi ed i comportamenti dei passanti, casuali o volenti visitatori. Essi rimangono in assoluto silenzio, compìto, come durante un minuto di raccoglimento, o al massimo sussurrano qualcosa al vicino. Lo sguardo è fisso sull’opera come a volersi far compenetrare da quel messaggio sì forte, e solo dopo averlo percepito interiormente, solo allora, immancabilmente scattano alcune fotografie.

Ancora una volta la Fondazione Strozzi propone, nella culla del rinascimento, arte contemporanea di grande qualità, degna di essere ospitata da una città che ha nel proprio DNA genio, talento e stile.

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