In dieci anni più bar e ristoranti e meno negozi in centro

E’ il trend dal 2008 al 2018 rilevato da Confcommercio. Stessi dati a Firenze e Siena. Botta e risposta tra Confcommercio e l'assessore comunale Cecilia Del Re

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
10 marzo 2019 17:39
In dieci anni più bar e ristoranti e meno negozi in centro

La Confcommercio nei giorni scorsi ha pubblicato i dati delle nuove aperture di bar, ristoranti, gelaterie e minimarket nel centro storico, che documentano un aumento spropositato di questo tipo di attività nella così detta area Unesco

“Voglio ricordare che siamo stati la prima città in Italia a chiedere al Governo una norma che ci consentisse di effettuare questo blocco, e che dopo di noi ci hanno seguito Roma e Venezia. I risultati di questo blocco sono straordinari: se nel 2016 nel centro storico avevano aperto 103 attività artigianali, nel 2018 le aperture sono state 144: siamo di fronte pertanto a una crescita del +50% di aperture in soli due anni (dati Camera di Commercio). Se poi davvero si ha a cuore un centro a misura non solo di turista ma vivibile anche per i cittadini, perché Confcommercio di fronte all'ultima ordinanza era contraria alla chiusura alle 22 per i minimarket? Altri dati significativi sono quelli del commercio lungo la tramvia: Firenze e Scandicci sono infatti gli unici due Comuni della Regione Toscana dove il commercio di vicinato è in crescita grazie a questa importante infrastruttura" ha ribattuto venerdì l’assessore allo Sviluppo economico Cecilia Del Re in merito allo studio di Confcommercio sulla scomparsa delle botteghe nel centro storico.

“I dati della nostra indagine, realizzata in 120 città italiane compresa Firenze, sono riferiti all’arco temporale 2008-2018, sono quindi tutt’altro che antichi e dipingono un quadro purtroppo non roseo per il commercio di vicinato. Ma nessun assessore al commercio dei vari Comuni analizzati se l’è presa sul piano personale come Cecilia Del Re, che evidentemente si è sentita toccata in qualche nervo scoperto -replica oggi Aldo Cursano, presidente Confcommercio Firenze- Che il 2019 abbia miracolosamente capovolto la situazione onestamente non ce ne eravamo proprio accorti.

E soprattutto non se ne sono accorti le migliaia di operatori che rappresentiamo e che, nonostante le affermazioni dell’assessore al commercio del Comune di Firenze, continuano a soffrire e, purtroppo, in qualche caso a chiudere. Anche considerando che le nuove attività non compensano mai in termini economici, per lo meno inizialmente, il vuoto lasciato da chi cessa. Abbiamo noi stessi segnalato agli organi di informazione i casi, al contrario, di successo (per non dire di eroismo) di coloro che hanno deciso di investire ed impegnarsi ancora di più di fronte a queste difficoltà.

Non vederli o minimizzarli rappresenta un atto di miopia politica grave, inaccettabile per chi amministra la città. Che dovrebbe invece fare tesoro di queste indicazioni e impegnarsi per migliorarle. La reazione piccata di chi si limita ad elencare i provvedimenti presi, a molti dei quali noi per primi abbiamo plaudito, non risolve i problemi e non rende più popolari. Evidentemente, il parere di chi vive e muore d’impresa è diverso da quello di chi vive nel Palazzo. Noi ci siamo, col nostro lavoro quotidiano e anche, perché no?, di denuncia.

E continueremo ad esserci. Sempre più determinati a fianco di chi continua ad operare sfidando gli oneri pesanti, le burocrazie e le inadeguatezze di un sistema che certamente non è orientato a premiare questi sforzi. Per quanto poi riguarda la proibizione di vendere alcolici da asporto dopo le 22, noi non ci siamo mai dichiarati contrari, abbiamo semplicemente chiesto di far rispettare le leggi vigenti, che già proibiscono la vendita per asporto di tali generi dopo le 21, piuttosto che disporre la chiusura di quelle attività che, al di là dell’alcool, sono intenzionate a continuare a fornire un servizio anche oltre tale orario.

Perché non è giusto, piuttosto che controllare e punire chi trasgredisce come chiediamo noi, colpire anche gli operatori corretti che chiedono solo di lavorare.”

Dal 2008 al 2018 anche il commercio al dettaglio nel centro storico di Siena è passato da 341 attività a 314 attività, erano 323 nel 2016. Trend non troppo dissimile per la parte esterna al centro: 401 attività nel 2008, 368 nel 2018 e 381 nel 2016. Per quanto riguarda alberghi, bar e ristoranti invece l’andamento è diverso: 228 ce ne erano a Siena nel centro storico nel 2008 e nel 2018 se ne contano 256, nel 2016 257. Una crescita che interessa anche la parte esterna al centro storico: se ne contavano 295 nel 2008 e se ne contano 309 sia nel 2018 che nel 2016. E’ la tendenza che emerge nella ricerca realizzata da Confcommercio nazionale con il contributo di Si.Camera (Agenzia delle Camere di Commercio).

E’ stata fatta un’analisi di 120 comuni, di cui 110 capoluoghi di provincia e 10 comuni non capoluoghi più popolosi (escluse le città di Milano, Napoli e Roma perché essendo multicentriche non è possibile la distinzione tra centro storico e non centro storico). In dettaglio, è stato analizzato l’andamento dello stock: degli esercizi al dettaglio di 13 categorie merceologiche (tra cui alimentari, rivendite tabacchi, farmacie, carburanti, computer, telefonia, libri, giocattoli, tessili, abbigliamento, ferramenta, mobili, commercio ambulante); degli alberghi e delle attività di ristorazione.

“Le nostre città appaiono spesso indebolite dalle grandi modificazioni di contesto in atto che coinvolgono, a livello globale, tutte le dimensioni della società, spingendole verso l’omologazione – dice la ricerca - Gli effetti del rapido cambiamento impresso dalla digitalizzazione sui nostri modi di vivere, produrre, acquistare e comunicare, si manifestano con maggior evidenza nella complessità dello spazio urbano. Rispetto a tali vecchi e nuovi problemi, le normative esistenti dimostrano debolezza e incapacità di offrire soluzioni adeguate. In tal senso, alcune città si sono dimostrate maggiormente capaci nell’attuare processi di rigenerazione urbana facendo leva sulle proprie peculiarità e valorizzando le loro potenzialità, sino a divenire città “vincenti” in grado di reinventarsi”.

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